di Andrea Lestini
Sommario: 1. Una Premessa – 2. La gestione delle sopravvenienze contrattuali – 3. Delimitazione della problematica – 4. La conservazione del contratto: rimedi legali, convenzionali e giudiziali – 5. Rinegoziazione e potere del giudice: reductio ad aequitatem, buona fede, equità – 6. Profili comparatistici – 7. Disciplina generale, interventi settoriali e rimedi specifici – 8. Conclusioni
- Una premessa
L’improvvisa e drammatica emergenza determinata dalla diffusione pandemica del “Coronavirus” porta inevitabilmente a riflettere sul senso e sul valore della Communitas [], suscitando nel giurista delicati interrogativi []. Le problematiche, in vario modo connesse agli effetti dell’irruzione di una pandemia tanto repentina quanto devastante nel travolgere un tessuto di radicate abitudini e consolidati stili di vita, sono infatti diverse [].
Nei molteplici contributi che, con diversità di prospettive, hanno ampiamente analizzato la vicenda, si evidenzia dunque come l’attenzione dell’interprete [] debba necessariamente coinvolgere diverse aree, a partire dalle fonti del diritto fino alla incidenza sull’esecuzione dei rapporti contrattuali, passando per i diritti fondamentali della persona [], per i sentimenti [], per i rapporti tra poteri dello Stato, per i rapporti tra Stato e Regioni e tra Stato e Unione europea []; senza peraltro trascurare il diritto del lavoro [] e dell’impresa, nonché la (ri)organizzazione e gestione della giustizia [].
Nella letteratura giuridica – con riferimento al diritto civile [] – terreno d’elezione particolarmente ricco si è rivelato quello delle obbligazioni e dei contratti, in ragione della necessità di considerare la tensione dialettica che si è instaurata tra l’esecuzione dei contratti stessi e la realtà di un ordinamento scandito da continui decreti emergenziali che direttamente o indirettamente incidono sul perseguimento delle finalità individuali []. L’emanazione di provvedimenti che esulano dalla normale prevedibilità, incidendo sensibilmente sulla vita delle persone [] nonché sulla regolare esecuzione dei contratti, rappresenta invero un terreno di verifica della generale tenuta ed effettività delle tutele contrattuali [].
- La gestione delle sopravvenienze contrattuali
In tale contesto [], ci si è chiesti, fra l’altro, se anche il diritto privato [], e in particolare il diritto delle obbligazioni, dei contratti [] e della disciplina della responsabilità del debitore ex art. 1218 c.c., possa atteggiarsi in termini diversi tanto rispetto al «modo in cui è stato concepito e ordinato grazie all’elaborazione plurisecolare dei giuristi» [] quanto al «modo in cui solitamente opera, con un’apparente impermeabilità ovvero insensibilità alle vicende contingenti, potenzialmente idonee a incidere, in modo pesante, come nel frangente che stiamo attraversando, sulla vita degli individui e della comunità in termini socio-economici» [].
Il tema è estremamente complesso [] ma origina dalla diffusa sensazione per cui le disposizioni del nostro ordinamento positivo, previste in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione ed eccessiva onerosità – quali ipotesi di risoluzione del contratto [] – si rivelano inidonee a fronteggiare e gestire le difficili vicende che potrebbero presentarsi [].
Diversi studi e riflessioni, come noto, esprimono preoccupazione sulla capacità delle regole attuali, specie in tema di obbligazioni e contratti, di reggere alla prova della pandemia, evidenziando l’insufficienza degli “anticorpi” [] che l’ordinamento vigente è in grado di produrre e, quindi, rilevando l’esigenza di una legislazione dell’emergenza ad hoc [] e, in termini più generali, di una riforma del codice civile italiano, peraltro già da tempo sollecitata e diffusamente auspicata [].
Tale analisi, a ben vedere, si inserisce nella più ampia tematica della tutela dei diritti [], la quale riguarda gli strumenti che l’ordinamento predispone per governare le sopravvenienze [] (e l’inadempimento).
In particolare, se da un lato emergono rimedi volti alla caducazione del contratto dall’altro si afferma l’esistenza e la legittimità di un principio giuridico volto alla conservazione del contratto []. Ebbene, se da tempo la dottrina italiana ha richiamato l’attenzione sull’opportunità di ammettere la revisione dei contratti (specie se di durata) [], il dibattito relativo all’esistenza, nel nostro ordinamento, di un generale obbligo legale di tal fatta e all’opportunità di prevederlo espressamente è stato “risvegliato” proprio dall’emergenza sanitaria connessa alla diffusione della pandemia [].
Infatti, lo studio dei rimedi manutentivi e conservativi assume importanza nella convinzione che la conservazione del contratto rappresenta il più delle volte una soluzione più vantaggiosa rispetto al suo scioglimento [].
Al riguardo, le disposizioni del nostro ordinamento positivo presentano, del resto, già diverse tecniche di revisione e di adeguamento del contratto (e cioè legali, convenzionali, giudiziali) [], collocate sia nella parte generale sia nella parte speciale del diritto dei contratti [], oltre che evidentemente in leggi speciali.
In tale contesto, l’attenzione degli interpreti [] ha coinvolto principalmente due ordini di problemi.
Il primo riguarda gli strumenti (ulteriori rispetto alle ipotesi di risoluzione) predisposti dall’ordinamento affinché i conflitti suscitati dagli effetti delle sopravvenienze determinate dalla pandemia siano gestiti, per ragioni di giustizia contrattuale, all’interno di una logica della “relazione” contrattuale []; salvo considerare gli specifici settori in cui si è cercato di intervenire attraverso la predisposizione di norme del tutto eccezionali volte a gestire l’emergenza [].
Conseguentemente (e questo è il secondo aspetto, profondamente legato al primo), si è cercato di capire come l’indagine sulla prospettiva rimediale così svolta, lungi dall’essere fine a se stessa, ben potrebbe (e dovrebbe) imporre una seria riflessione “di sistema”, al fine di giungere ad una più moderna edificazione di tecniche di adeguamento del contratto, anche attraverso una organica riforma legislativa.
A queste questioni si aggiunge, a ben vedere, anche l’indagine circa i limiti imposti all’autonomia privata in ordine alla disciplina legale della risoluzione, la quale si traduce usualmente nell’interrogarsi circa la validità della clausola di irresolubilità []. In tale contesto, assume particolare rilievo la problematica inerente alla disponibilità convenzionale ed anticipata dei rimedi previsti dalla disciplina della risoluzione, rispetto al momento in cui si verificano i presupposti per la loro attivazione [].
Delimitazione della problematica
- Emerge con forza, dunque, la necessaria consapevolezza secondo cui è in ogni caso maturo il tempo per riflettere (o continuare a riflettere) sui rimedi manutentivi del rapporto economico e non ragionare più in termini esclusivamente risolutivi [].
Infatti, qualora si ritenesse, sulla linea di autorevole dottrina, che nel nostro ordinamento vi sia un principio volto a favorire la conservazione del contratto rispetto al suo scioglimento, allora la questione degli effetti della pandemia sui contratti in corso potrebbe essere risolta applicando la regola manutentiva. Tale regola riceverebbe pertanto un avallo giurisprudenziale e sarebbe destinata a consolidarsi anche al di fuori del caso specifico.
Qualora, viceversa, si fosse maggiormente prudenti nel riconoscere la vigenza, l’esistenza e la legittimità di un principio giuridico volto alla conservazione del contratto, allora la drammatica vicenda della pandemia potrebbe (e dovrebbe) rappresentare l’occasione per uno studio della “prospettiva rimediale” non solo per risolvere problemi del tutto contingenti ma anche in una prospettiva “di sistema” che vada ben oltre l’emergenza.
Se si conviene su tale premesse si comprende come «il diritto (e, reciprocamente, l’obbligo) di rinegoziare (…) richied[a] un particolare impegno anche al giudice (del resto, già responsabilizzato dalle valutazioni previste dalle norme vigenti che richiamano l’equità come criterio di giudizio)» e che «i tempi sono certamente maturi per auspicare un’evoluzione del diritto dei contratti nel senso indicato, posto che il diritto civile oscilla (ed è destinato sempre più a realizzarsi) “tra legge e giudizio”» [].
- La conservazione del contratto: rimedi legali, convenzionali e giudiziali
Prima di appuntare l’attenzione sulle problematiche sottese, più specificamente, all’incidenza della emergenza pandemica sui contratti in corso, pare quindi utile fornire un quadro (seppure necessariamente sintetico) sulla prospettiva dei rimedi [].
Tali considerazioni, pertanto sono preliminari ad una più attenta riflessione sul modo in cui l’ordinamento deve reagire alle conseguenze pregiudizievoli degli eventi, scaturiti dalla improvvisa e drammatica emergenza determinata dalla diffusione pandemica, sugli equilibri economici contrattuali.
La natura del tutto eccezionale e mai vissuta prima della situazione che si è venuta a creare costituisce infatti «un’occasione unica per verificare la tenuta degli strumenti normativi per la gestione del rischio contrattuale, di concezione risalente all’emanazione del codice civile, in un momento in cui è già in corso una riflessione della disciplina sulle sopravvenienze in sede di proposta di legge delega» [].
Il tema dei rimedi per l’adeguamento del contratto alle mutate circostanze di fatto, come è noto, comprende numerosi e molteplici profili, quali il problema delle sopravvenienze, dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, del rischio contrattuale, della presupposizione [].
Al fine di meglio chiarire il perimetro entro cui la prospettiva rimediale si inserisce, è utile peraltro specificare che un problema di revisione del contratto si pone per i contratti di durata e per i contratti ad esecuzione differita.
L’indagine, in questa prospettiva, affonda le sue basi nella previsione di rimedi per la revisione e l’adeguamento del contratto presenti nella parte generale ovvero speciale del codice, pur se distribuiti e articolati in modo disordinato e non omogeneo [], in virtù dei quali si afferma, come anticipato, l’esistenza e la legittimità di un «principio giuridico della revisione del rapporto» []. Tale principio si manifesta dunque in vari ambiti di applicazione, agendo nel diritto comune dei contratti, degli atti unilaterali ovvero nel diritto dei singoli contratti, e si attua attraverso diverse forme e tecniche, potendosi così distinguere tra tecniche di revisione e di adeguamento del contratto legali, convenzionali e giudiziali.
Nei contratti tipici, in particolare, le tecniche “legali” di revisione e di adeguamento del contratto operano sempre all’interno del tipo, secondo modelli e paradigmi che è lo stesso ordinamento a prevedere nella definizione della disciplina di volta in volta prevista per il singolo tipo contrattuale. Ma tale adeguamento legale, quale espressione sia dell’interesse dei contraenti a mantenere in vita il contratto, sia del carattere flessibile del regolamento contrattuale, rappresenta la manifestazione di un più generale principio di disciplina dei rapporti di durata [].
Quanto alle tecniche di revisione e di adeguamento rimesse all’autonomia dei privati [], esse operano «in via preventiva rispetto al verificarsi di un evento che possa realizzare un effetto traumatico sull’assetto di interessi dettato dalle parti» [], e realizzano una gestione convenzionale del rischio, alternativa a quella legale.
In tal caso la conservazione del contratto è conseguenza di una scelta delle parti, attuata mediante l’inserimento, già nella fase di conclusione del contratto, di apposite clausole, ben distinte tra loro, di adeguamento automatico [] ovvero di rinegoziazione []. La prassi di inserire clausole di rinegoziazione all’interno di contratti di durata si è affermata, in particolare, con l’intento di gestire il rischio contrattuale, adattando il contratto al mutato contesto, e governare in tal modo l’incidenza delle sopravvenienze sull’assetto di interessi originariamente programmato dalle parti [].
Coerentemente con la variabilità e mutevolezza degli interessi di volta in volta concretamente dedotti in contratto, tali pattuizioni possono, a ben riflettere, assumere le più varie vesti e connotazioni ma nel contempo possono anche risultare ex post inidonee ad assicurare la conservazione del rapporto contrattuale turbato dalle sopravvenienze [].
Si tratta, evidentemente di tecniche di adeguamento che presentano problemi diversi (analisi del tipo contrattuale e interpretazione della clausola di rinegoziazione) rispetto a quelli posti viceversa dalle tecniche giudiziali di revisione.
Il dibattito, in quest’ultimo caso, è volto ad indagare se, all’insorgere di una sopravvenienza, la parte che ne subisce le conseguenze abbia o meno il diritto di chiedere, alternativamente alla risoluzione, la rinegoziazione del contratto o comunque una revisione dei suoi termini economici [].
Come noto, secondo un primo, tradizionale, orientamento, pur in presenza nel sistema di casi in cui è consentito giungere a revisione del contratto, sarebbe da respingere il tentativo volto a riconoscere un principio generale di rinegoziazione o revisione del rapporto contrattuale.
Altri autori, adottano invece un atteggiamento maggiormente possibilista, ipotizzando un intervento giudiziale diretto di revisione del contenuto del contratto []. In tal senso, parte della dottrina, ritiene estensibile al debitore onerato il potere di domandare la riconduzione del contratto ad equità, potere che però, testualmente, l’art. 1467 c.c. attribuisce (nei contratti di durata) al solo convenuto in risoluzione []; mentre altri studiosi, al fine di perseguire il medesimo risultato, ritengono che la possibilità di ottenere la revisione del contratto prevista, in materia di appalto, dall’art. 1664 c.c. possa prevalere sul disposto dell’art. 1467 c.c.
Ulteriori argomenti a sostegno della attività di rinegoziazione si rinvengono, poi, nei principi di buona fede ed equità nonché in numerose specifiche disposizioni codicistiche ed extra-codicistiche [] le quali confermerebbero «la tendenza dell’ordinamento nel senso dell’adeguamento del contratto» [].
L’istituto della revisione del contratto non è, dunque, completamente sconosciuto nel sistema legislativo italiano poiché il codice civile del 1942 e la legislazione speciale prevedono, per il verificarsi di sopravvenienze, numerosi casi nei quali è espressamente prevista la possibilità di procedere a revisione del contratto medesimo.
Peraltro, a conferma di tale impostazione “rimediale”, può osservarsi come l’istituto della revisione del contratto non è limitato ai soli casi di sopravvenienza contrattuale, ma è previsto dal nostro legislatore anche in alcune ipotesi nelle quali il contratto nasce affetto fin dall’origine da squilibrio tra le prestazioni [].
Ad avvalorare l’esistenza dell’obbligo di rinegoziare hanno altresì contribuito le convergenti soluzioni – indicative di valori rilevanti, se pur prive di forza vincolante – elaborate dalla cultura giuridica europea [].
- Rinegoziazione e potere del giudice: reductio ad aequitatem, buona fede, equità
Ciò che appare è dunque un sistema in cui, attualmente, si riconosce l’esistenza di un obbligo legale di rinegoziazione, cosicché i profili maggiormente problematici si sono spostati sull’intervento e sui poteri riservati al giudice, nell’ipotesi in cui la rinegoziazione non sfoci in un accordo.
Ci si chiede, invero, se tale intervento debba limitarsi ad accertare la violazione dell’obbligo di eseguire la rinegoziazione in buona fede e condannare al risarcimento del danno, o possa consistere, più incisivamente, in una rideterminazione eteronoma delle regole del rapporto.
Val bene rilevare che, una volta ricostruito il sistema nel senso della possibilità di poter enucleare (seppure con diverse argomentazioni) quel potere generale di rinegoziazione imposto alle parti, allora un’ulteriore indicazione giunge dagli approdi cui è giunta la dottrina attraverso l’analisi degli artt. 1467 e 1450 c.c. e della natura dell’offerta in essi prevista.
La natura dell’offerta rappresenta, come rilevato in dottrina [], uno dei capitoli più ricchi di idee e di discussioni in ragione del vivace dibattito che si è svolto tra coloro che ne affermavano la natura sostanziale [] e quelli che, al contrario, ne riconoscevano la natura processuale [].
Ebbene, ai fini che in questa sede rilevano maggiormente, può rilevarsi come quest’ultimo indirizzo, che nel tempo ha finito per prevalere sul contrario percorso interpretativo, una volta affermatosi, ha anche aperto la via «alla soluzione, in senso affermativo, del problema della costitutività del provvedimento giudiziale e quindi a consolidare la convinzione dell’ammissibilità di un’offerta generica, in quanto formulata come domanda proposta in via subordinata, per cui il giudice, ove richiesto dalle parti, può determinare giudizialmente l’entità dell’offerta sulla base di elementi oggettivi accertabili in giudizio» [].
Conseguentemente, nel passaggio ad una lettura in chiave processuale dell’offerta di modificazione «sembra di poter intravedere un costante e progressivo riconoscimento al giudice di un più penetrante potere di incidenza nella riduzione ad equità del contratto. In tal senso trova fondamento l’ammissibilità di un’offerta generica» [].
Si è consapevoli del fatto che l’istituto della reductio ad aequitatem è concesso, al convenuto in risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (e non alla parte colpita dalla sopravvenienza) o al convenuto in rescissione. La possibilità di offrire la reductio ad aequitatem, prevista dagli artt. 1467 e 1450 c.c., è infatti concessa, per paralizzare la risoluzione, alla parte che si avvantaggerebbe del sopraggiunto squilibrio (appunto, il convenuto in risoluzione), mentre a chi lo ha incolpevolmente subito non è dato altro rimedio che quello di procedere per lo scioglimento del contratto [].
Ciò su cui si deve riflettere è che, però, una volta riconosciuta l’esistenza di un principio generale di rinegoziazione (fondato non necessariamente sugli artt. 1467 comma 3 e 1450, ma ricavabile anche mediante diversi percorsi interpretativi) [] non si frappongono ostacoli ad un intervento del giudice che, ove richiesto, provveda ad integrare l’offerta di una delle parti []. In tal caso, più propriamente, peraltro, «il giudice non interviene sul contratto, integrandone il contenuto, ma interviene per la salvezza e composizione del conflitto degli interessi regolati nel contratto» [].
Allo stesso risultato giungono del resto le dottrine che fondano il potere di rinegoziazione e revisione (giudiziale) del contratto sul principio di buona fede ed equità [].
Ne deriva che, in caso di mancato accordo delle parti in ordine alla rinegoziazione, occorre ammettere una attività di revisione del contratto []. In questa prospettiva l’istituto della revisione del contratto trova fondamento nell’equilibrio tra le prestazioni, ed è finalizzato a garantire il perdurare di un tale equilibrio nel tempo []. Pertanto, non si tratterebbe di affrontare un problema di giustizia contrattuale, ma piuttosto di mantenimento dei rapporti di equivalenza fissati dalle parti [].
Nel contesto così delineato il problema riguarda, dunque, l’intervento ed il sindacato del giudice “nel” contratto. Infatti, come detto, in caso di rimedi conservativi ed in particolare nell’ipotesi di revisione del contratto, si consente «un intervento solidale, e non antagonistico, con l’autonomia contrattuale» [], e quindi, a ben vedere, non si pone in realtà una questione di intervento eteronomo.
Profili comparatistici
- La questione della revisione del contratto non può dirsi propriamente nuova.
Tale fenomeno già conosciuto nel periodo intermedio – ove si parlava ampiamente tanto di caducazione del vincolo contrattuale in applicazione della clausola rebus sic stantibus, quanto di reductio ad aequitatem dei contratti eccessivamente onerosi [] – fu sottoposto, nel XIX secolo, ad un diverso approccio, manifestato in osservanza ad una concezione del contratto incentrata sull’assoluto rispetto della volontà delle parti [].
Con il nuovo secolo si assiste, però, ad una nuova inversione di tendenza.
Il fenomeno è particolarmente evidente in Germania dove è maggiormente ammessa non solo la possibilità di risolvere i contratti, ma anche di adeguarli al mutare delle circostanze. La giurisprudenza, in tale ordinamento, è anzi solita affermare che «in primo luogo occorre accertare se sia possibile mantenere in vita il contratto ancorché con tutte le variazioni necessarie per ricondurlo ad equità» [] e che solo quando questo non sia possibile si potrà procedere al rimedio estremo della risoluzione del contratto []. In Germania, inoltre, in occasione della riforma delle obbligazioni del 2002 è stata specificamente regolata la revisione del contratto nel § 313 del BGB. Pertanto, tale esperienza, non rappresenta una effettiva innovazione in quanto da tempo la giurisprudenza tedesca aveva ammesso la revisione del contratto in applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo (§ 242 BGB), in tal modo confermandosi che anche in assenza di una specifica riforma legislativa è possibile veicolare e rendere operativo un nuovo istituto anche in via interpretative, in applicazione delle clausole generali.
Viceversa, sotto questo profilo, in altri ordinamenti continentali come per esempio la Francia, la situazione appare piuttosto diversa poiché, «salvo il limite della force majeure, continua in linea di principio a negarsi ogni rilevanza al mutamento delle circostanze (imprévision)» []. Peraltro, anche con riferimento a tale ordinamento, occorre rilevare come in sede di riforma del Code Napoléon del 2016, il legislatore abbia disciplinato in modo specifico la sopravvenienza nonché la revisione del contratto (art. 1195).
Nei paesi di common law, l’atteggiamento dei giudici inglesi ed americani si presenta alquanto restrittivo; invero, solo recentemente hanno iniziato a mitigare la regola tradizionale in base alla quale neppure l’impossibilità (originaria o sopravvenuta) assumeva rilevanza ai fini di una limitazione o esclusione di responsabilità [], con la precisazione però che alcune decisioni americane negli ultimi anni sono giunte anche ad ammettere in termini del tutto generali la possibilità di consentire la revisione del contratto, dando vita ad un intenso dibattito dottrinale di rilevante interesse [].
In tale contesto, in dottrina si è evidenziato come «nell’arco di poco più che un ventennio la revisione del contratto, che ancora verso la fine del ventesimo secolo poteva apparire come un istituto quasi eversivo, ha guadagnato progressivamente terreno, oltre che nei principali testi di soft law, anche in una pluralità di ordinamenti europei in via codicistica (Germania, Francia) o giurisprudenziale (Spagna)» [].
Disciplina generale, interventi settoriali e rimedi specifici
- Il giurista è, dunque, chiamato ad affrontare un moltiplicarsi di conflitti fondati su pretese contrattuali inadempiute [].
I provvedimenti emanati al fine di fronteggiare la pandemia hanno, infatti, integralmente sospeso la possibilità d’esercizio di gran parte delle attività d’impresa e, successivamente, scaduto il periodo di sospensione, sono entrate in vigore regole che, imponendo il distanziamento sociale, hanno limitato l’esercizio di determinate attività [].
Con formula di sintesi, può dirsi che «una delle principali conseguenze implicate, sul piano giuridico, dalle misure precauzionali o contenitive adottate per fronteggiare l’emergenza (…) è quella che riguarda la possibile influenza di tali misure sulla sorte di situazioni e rapporti giuridici (specialmente, di tipo contrattuale) in corso, il cui ordinario svolgimento può risultare indubbiamente inciso, in maniera più o meno consistente, dalle prescrizioni imperativamente imposte dagli interventi normativi adottati» [].
Ecco che, allora, il giurista deve considerare gli eventuali rimedi presenti nel codice civile e nelle leggi ordinarie preesistenti, esaminare i rimedi contenuti nella stessa legislazione emergenziale [] e, di fronte alle sopravvenienze eccezionali non regolate dalla legge o dal contratto che generino un evidente squilibrio delle prestazioni, riflettere su un possibile intervento del giudice nel contratto.
Dal primo punto di vista, il diritto dei contratti e delle obbligazioni non può che affidarsi agli strumenti della impossibilità sopravvenuta [] e della eccessiva onerosità sopravvenuta [], strumenti ricollegati al verificarsi di un evento caratterizzato dal caso fortuito o dalla forza maggiore, nel senso della non dipendenza in capo alle parti di ciò che altera l’equilibrio contrattuale raggiunto dai paciscenti [].
Al fine di indagare le conseguenze che le sopravvenienze dovute all’emergenza epidemiologica hanno sulla responsabilità dei contraenti e sull’assetto negoziale programmato, il discorso si è incentrato, in particolare, sui diversi rimedi applicabili a tutela dei contraenti nelle diverse ipotesi caratterizzate da sopravvenuta impossibilità (temporanea o definitiva) ad adempiere, da sopravvenuta grave difficoltà ad adempiere, e da sopravvenuta mancanza di interesse (totale o parziale) all’altrui adempimento [].
In tale contesto, con riferimento ai singoli interventi normativi, dal carattere straordinario e contingente come il momento che stiamo vivendo, il legislatore, come anticipato, da un lato ha dettato una specifica disciplina con riferimento ai ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento [] (disciplina che, secondo parte della dottrina si riferirebbe principalmente alle obbligazioni pecuniarie [], rispetto alle quali l’istituto della impossibilità sopravvenuta della prestazione, così come disciplinato nel codice civile, non si applica: genus nunquam perit []), ovvero secondo altra opinione avrebbe fornito una interpretazione autentica dell’art. 1218 c.c. []; e dall’altro lato è intervenuto richiamando espressamente l’art. 1463 per talune categorie di contratti [].
Conclusioni
- Così ricostruite, seppur brevemente e per sommi capi, le principali questioni applicative legate agli effetti delle sopravvenienze sui contratti in corso possono svolgersi alcune considerazioni conclusive.
Orbene, qualora si riconoscesse che gli strumenti a disposizione del giudice non sono più soltanto le disposizioni di un diritto dei contratti tradizionalmente ancorato alla (statica) pattuizione, così come scolpita nell’accordo [], allora, la giurisprudenza, partendo dalla risoluzione di problemi del tutto contingenti, potrebbe dare vita, in termini più generali e disancorati dal momento emergenziale, ad un diritto vivente capace di offrire «il suo contributo alla costruzione di un diritto dei contratti più solidale» []. In tal modo, prendendo lo spunto da una situazione destinata a rimanere tristemente nella memoria come vicenda inattesa ed eccezionale [], si avrebbe la possibilità di consolidare (o fondare: qualora nonostante gli approcci cui è pervenuta autorevole dottrina non si dovesse, ancora, riconoscere un autonomo spazio alla prospettiva dei rimedi) [] l’idea di un sistema rimediale basato non più solo su istituti caducatori bensì anche manutentivi e conservatori [].
Il dibattito sul tema generale [], in sede dottrinale, è aperto e notevolmente articolato e ciò nonostante nella civilistica italiana emerge un interessante e costruttivo confronto. Ciò che appare, comunque, è che almeno di fronte a quest’indiscutibile stato di eccezione «il tradizionale armamentario dei rimedi contrattuali è indubbiamente spuntato» [].
Da più parti, così, «ipotizzando un dovere di dialogo tra contraenti» [], si è valorizzato il richiamo alla buona fede contrattuale e ai principi costituzionali, onde preservare scambi irrimediabilmente alterati, invocando innanzi tutto un generale obbligo di rinegoziare i termini economici del rapporto contrattuale.
Quanto all’eventualità che la rinegoziazione non inizi (per il rifiuto della parte che ha interesse a preservare l’originario contenuto contrattuale), non resterebbe che chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti; si è affermata anche la possibilità di invocare l’art. 1460 c.c., sostenendo che non sembrerebbe eccentrico predicare l’inadempimento della parte che rifiuti la rinegoziazione []; ovvero la possibilità di “esercitare uno ius variandi unilaterale” al fine di ottenere una modifica unilaterale dei termini economici del contratto, con conseguente autoriduzione della propria prestazione [].
Non sono mancate, poi, autorevoli opinioni [] capaci di sottolineare, nella complessità del tema, gli incalcolabili costi transattivi che una rinegoziazione affidata solo alla clausola generale di buona fede porterebbe inevitabilmente con sé [].
Alla luce delle considerazioni svolte – anche al di là di ulteriori ipotesi (occasionali) che per determinati tipi contrattuali dovessero essere introdotte dal legislatore, quali norme eccezionali, per fronteggiare, in materia contrattuale, la situazione emergenziale [], nonché indipendentemente dall’obbligo di rinegoziazione e dal “potere di intervento correttivo” [] riconosciuto al giudice dall’attuale sistema [] – si rende opportuno riflettere sulla necessità di una ridefinizione, in relazione alle sopravvenienze, della disciplina generale del contratto [].
L’interprete [], del resto, già da tempo, ha avallato l’idea secondo la quale l’ordinamento – prima di giungere alla risoluzione del contratto – riconoscerebbe e favorirebbe le soluzioni “manutentive” ossia conservative del vincolo, finalizzate ad un adeguamento del regolamento contrattuale mediante l’accordo delle parti ovvero, in subordine, e dunque nel caso di insuccesso della rinegoziazione, mediante la pronuncia del giudice. Quest’ultimo, poi, avrebbe pur sempre la facoltà di valutare se la “correzione” o “modificazione” del regolamento sia in concreto praticabile o se non si debba, inesorabilmente, giungere alla risoluzione [].