di Andrea Lestini
Sommario: 1. Premessa – 2. Delimitazione della problematica – 3. Sulla applicabilità dell’art. 907 c.c. in ambito condominiale – 4. Sul concetto di modificazione della cosa comune e sul concetto di innovazione – 5. Sul bilanciamento tra il diritto di veduta e il diritto alla riservatezza – 6. Conclusioni
1. Premessa
La tematica della distanza delle costruzioni dalle vedute consente di affrontare un aspetto, particolarmente interessante, riguardante il diritto del proprietario di ciascuna unità immobiliare a non essere pregiudicato dalla costruzione ad opera di altro condomino (proprietario dell’immobile sottostante), nella possibilità di esercitare le proprie vedute in appiombo alla base dell’edificio.
Innanzi a tali problematiche, il giurista è chiamato a riflettere, in particolare, sulla applicabilità, in relazione alle singole vicende, della disciplina dettata dagli artt. 907, 1102 e 1120 c.c.
2. Delimitazione della problematica
A tal riguardo occorre domandarsi, in primo luogo, se nelle ipotesi in cui il proprietario di un immobile realizzi un nuovo manufatto (per esempio una tettoia) in appoggio al muro condominiale, trovi applicazione la disciplina di cui all’art. 907 c.c. ovvero quella di cui all’art. 1102 c.c.
Ebbene – prendendo in esame, come detto, le fattispecie in cui entrambe le unità immobiliari dei contendenti siano ubicate in un condominio – bisogna preliminarmente distinguere, seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ipotesi in cui la nuova costruzione insista su un’area comune rispetto a quella in cui, viceversa, sia edificata nel fabbricato di sua esclusiva proprietà.
Con riferimento a quest’ultimo caso si pensi, per esempio, al proprietario di un appartamento sito al primo piano di una villetta rispetto alla costruzione di una tettoia realizzata da altro condomino (quello del piano terra) nel resede di sua esclusiva proprietà, ma in appoggio al muro comune della villetta stessa [1].
Si ritiene, a tal fine, pressoché pacificamente che, ove il manufatto sia stato realizzato su una proprietà privata e non condominiale, debba essere proprio la norma sulle distanze a trovare applicazione rispetto all’altra fattispecie regolatrice dell’uso della cosa comune [2].
Invero, a tale conclusione si giunge in considerazione del fatto che «il conflitto si pone tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti» sicché «risulta non invocabile la diversa previsione di cui all’art. 1102 c.c., che attiene al concorrente godimento della cosa comune» [3].
Del resto, a rigore, quando la costruzione interviene su una proprietà esclusiva «non vi è alcun uso della cosa comune», ovviamente «salvo l’uso della muratura perimetrale del fabbricato per l’infissione delle travi che sorreggono la tettoia», cosicché potrà discorrersi della sola lesione «del diritto di veduta di altra proprietà individuale» [4].
Nella medesima prospettiva, recentemente, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare come la costruzione, da parte di uno dei condomini – all’interno della sua proprietà esclusiva – di una tettoia, appoggiata al muro perimetrale condominiale, non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune, purché però la costruzione della suddetta tettoia «non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione, non rechi danno alle parti comuni e non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio» [5].
In tale contesto, dunque, ben si comprende allora come i profili maggiormente critici abbiano riguardato – come si avrà modo di vedere più oltre – la possibilità o meno di applicare la normativa in materia di distanze (e, specialmente, l’art. 907 c.c.) anche nelle ipotesi in cui il manufatto sia stato posto non su un’area di proprietà esclusiva quanto piuttosto comune o condominiale.
3. Sulla applicabilità dell’art. 907 c.c. in ambito condominiale
Sul punto si registra, come noto, un contrasto giurisprudenziale.
Secondo un primo indirizzo interpretativo [6] il rispetto della disciplina sulle distanze sarebbe garantita anche in ambito condominiale, posto che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale «ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi, conseguentemente, ad ogni costruzione degli altri condomini che direttamente o indirettamente pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possa rilevare la lieve entità del pregiudizio arrecato» [7].
Invero, in più occasioni è stato evidenziato come le disposizioni sulle distanze delle costruzioni dalle vedute debbano essere osservate anche nei rapporti tra condomini di un edificio, poiché l’art. 1102 c.c. non costituirebbe una deroga al disposto dell’art. 907 c.c. [8], in quanto, tra l’altro, «nessuna norma di uso comune può (né risulta mai essere stata utilizzata a tal fine) comportare il superamento delle prescrizioni di legge in materia di rispetto delle distanze legali» [9].
Non si è mancato di notare come ai fini della astratta applicabilità dell’art 907 c.c., decisivo rilievo assuma unicamente il fatto che il condomino abbia acquistato, “iure proprietatis” o “iure servitutis”, il diritto di avere la veduta diretta od obliqua su quella terrazza; nessun fondamento, invece, dovrebbe riconoscersi alla circostanza che «la veduta prospettasse su una terrazza a livello “sita all’interno di un condominio” e che il muro in cui essa si apriva fosse di proprietà comune dei condomini» [10]. Infatti, la comunione del muro può assumere rilevanza solo ad altri fini, ossia nell’ambito di quanto dispone l’art. 1102 c.c. circa la possibilità di ciascun comunista di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Peraltro, il condomino il quale abbia realizzato un manufatto in appoggio o in aderenza al muro (condominiale) in cui si apre una veduta diretta o obliqua (o in appiombo) esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso – per esempio trasformando un proprio balcone in veranda – non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. sempreché «la veranda insista esattamente nell’area del balcone stesso senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra» [11].
Di converso, tale condomino sarà soggetto alla normativa sulle distanze quando la costruzione insista su altra area non ricadente in quella del sovrastante balcone [12].
Secondo altro e diverso orientamento l’interprete dovrebbe attribuire prevalenza alla disciplina dell’uso delle parti comuni del fabbricato rispetto a quelle sulle distanze [13].
In tale prospettiva, si mette in risalto la peculiarità del condominio degli edifici e la specialità della relativa disciplina che regola in modo particolare e specifico il godimento e l’utilizzazione dei beni comuni, consentendo quindi la più intensa utilizzazione degli stessi, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso [14].
In particolare, il riferimento normativo è dato dall’art. 1102 c.c. – applicabile, in forza del richiamo di cui all’art. 1139 c.c. – il quale stabilendo i poteri e i limiti di ciascun partecipante nell’uso dei beni comuni, fissa al tempo stesso le condizioni di liceità della condotta del comunista [15].
Pertanto occorre verificare se, nel concreto caso, l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti, a tutela degli altri condomini, dall’art. 1102 c.c. perché, allora, l’opera dovrà evidentemente ritenersi legittimamente realizzata, pur senza il rispetto delle norme dettate dall’art. 907 c.c.; si specifica ulteriormente, peraltro, che il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti fra proprietà contigue trovano senz’altro applicazione nel condominio, sempreché però la relativa osservanza sia compatibile con la struttura dell’edificio condominiale, in cui le singole proprietà coesistono [16].
È questo il senso della nota massima giurisprudenziale secondo cui «le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprietà contigue e separate, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime» [17].
Orbene, la concreta valutazione, spettante al giudice di merito, della compatibilità tra la disciplina delle distanze e le caratteristiche del fabbricato condominiale si esplica nella prevalenza della norma speciale, dettata in materia di condominio, e conseguentemente nella inapplicabilità di quella generale, «quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal partecipante alla comunione sulla base dell’art. 1102 c.c.» [18].
Sarebbero, in definitiva, proprio le ragioni di solidarietà a cui si ispirano i rapporti fra condomini che consentirebbero quel costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione e che si risolvono, in ultima analisi, nella verifica di un uso del bene comune da parte di ciascuno con modalità compatibili con i diritti degli altri [19].
4. Sul concetto di modificazione della cosa comune e sul concetto di innovazione
Ciò posto, si rende opportuno indagare se, nelle ipotesi in cui non possa comunque trovare applicazione la normativa in materia di distanze delle costruzioni dalle vedute, gli interventi apportati dal singolo condomino determinino una semplice modificazione della cosa comune ovvero realizzino una vera e propria innovazione.
Ulteriore profilo che, in questa tematica, l’interprete si trova ad affrontare è dunque quello dell’ascrizione delle modificazioni apportate sotto l’una o sotto l’altra delle categorie indicate rispettivamente dagli artt. 1102 e 1120 c.c.
A tale proposito, va rilevato che le opinioni espresse appaiono concordi [20] nel ritenere che si ha innovazione tutte le volte in cui le modifiche alle parti comuni rendano nuova la cosa comune mediante trasformazione, alterazione o cambiamento della sua originaria funzione o destinazione o mediante alterazione della sua entità e identità sostanziale.
Viceversa, ove la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si rientrerebbe nella disciplina dell’art. 1102 c.c.; norma, questa, che pur dettata in maniera di comunione in generale è comunque applicabile, giusto il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c., anche in materia di condominio degli edifici.
5. Sul bilanciamento tra il diritto di veduta e il diritto alla riservatezza
Per ciò che concerne i rapporti tra il diritto alla riservatezza e alla libera fruizione della proprietà sottostante da un lato, ed il diritto di veduta anche diretta verso il fondo sottostante dall’altro, occorre ancora evidenziare come sia la stessa norma di cui all’art. 907 c.c. ad aver operato il bilanciamento tra detti interessi.
Invero, da taluni si sottolinea come la salvaguardia del diritto di veduta venga garantito «in ragione del suo contenuto che esprime un “valore sociale”, posto che luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici soddisfacendo bisogni elementari di chi li abita» [21].
Malgrado tale affermazione di principio, val bene rilevare come in alcuni casi la tutela codicistica ha modo di esplicarsi pienamente a differenza di altri, ove viene «contemperata dal diritto alla libera fruizione della proprietà da parte del convenuto e dal suo diritto alla riservatezza, giacché il diritto di veduta non è diritto di vedere cosa fa il vicino sulla sua proprietà» [22], e quindi è necessario operare una rilettura ed un bilanciamento delle regole previste in tema di distanze [23].
Il punto di equilibrio è stato individuato in ciò, che il diritto al pieno godimento della veduta – tutelato dall’art. 907 c.c. – deve essere in ogni caso contemperato con la «necessità di difendersi dalla posizione dominante dei proprietari dei piani superiori al fine di attuare la completa e piena realizzazione del diritto di proprietà e riequilibrare i benefici spettanti, senza distinzione, a tutti i condomini» [24].
Nello stesso senso, più di recente, si è sostenuto come «tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa senz’altro quella di “inspicere” e prospicere in avanti ed a piombo, ma non quella di sogguardare verso l’interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela, salvo che non esista al riguardo una specifica disciplina negoziale, la sua pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto» [25].
6. Conclusioni
È appena il caso di osservare come il legislatore codicistico, nel regolare il conflitto di interessi tra i proprietari dei fondi confinanti, per un verso con gli artt. 905 c.c. e 906 c.c., ha inteso tutelare la privacy del vicino, imponendo una determinata distanza per l’apertura delle vedute, e per altro verso con l’art. 907 c.c. ha ritenuto equo tutelare anche chi quelle vedute ha aperto, imponendo al vicino di non ostruire, se non ad una distanza tale (tre metri) da non impedire al titolare l’esercizio della veduta stessa [26].
Come è stato lucidamente osservato, «da una situazione di priorità cronologica, l’art. 907 c.c. fa derivare, a vantaggio di colui che in ogni modo abbia acquistato il diritto di avere vedute sul fondo vicino, un trattamento di poziorità giuridica, disponendo che l’acquisto del diritto al prospetto impedisce al vicino, che voglia successivamente fabbricare, di avvicinarsi alla veduta mantenendo una distanza inferiore ai tre metri, distanza da calcolare ai sensi dell’art. 905, affinché la costruzione non vanifichi del tutto o in parte l’utilità del prospetto» [27].
Per concludere si può dire che il nucleo centrale delle considerazioni svolte, limitato, senza pretese di completezza, alla tematica del diritto a non essere pregiudicato dalla costruzione di un altro condomino, nella possibilità di esercitare le proprie vedute in appiombo alla base dell’edificio, permette in termini più generali di guardare altresì al rapporto tra condominio e singolo condomino.
Ci si riferisce, alla tendenza ad applicare anche in materia condominiale le norme relative alle distanze legali a condizione, però, che sia possibile una applicazione complementare, ossia che le prime risultino compatibili con quelle concernenti l’uso della cosa comune perché, altrimenti, riscontrandosi una antinomia tra norme sulle distanze legali e quelle sul godimento della cosa comune, si ritiene che siano proprio queste ultime a dover prevalere [28].
[1] Cfr. Cass., sent. n. 17216/2020.
[2] Cfr. Cass., sent. n. 5732/2019, con nota di E. Morello, Stare a distanza a volte è obbligatorio, in Diritto & Giustizia, fasc. 40, 2019, pag. 14.
[3] Cass., sent. n. 5732/2019, cit.
[4] Cass., sent. n. 17216/2020, cit.; occorre precisare come, nel caso di specie, non fosse comunque in discussione la compatibilità con il disposto dell’art. 1102 c.c.
[5] Cass., sent. n. 7870/2021, con nota di A. Celeste, Apposizione di tettoia sul muro perimetrale da parte del singolo e violazione delle norme che regolamentano l’uso delle cose comuni, in Condominio e Locazione, 2021.
[6] Cass., sent. n. 955/2013; Cass., sent. n. 7269/2014.
[7] Cass., sent. n. 1261/1997.
[8] Cass., sent., n. 13012/2000.
[9] Cass. Sent. n. 1549/2016. Cfr.A. Celeste, L’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale sul cortile non costituisce uso della cosa comune ma impone una servitù, in Condominio e Locazione, 2020.
[10] Cass., sent., n. 13012/2000, cit.
[11] Cass., sent., n. 13012/2000, cit.
[12] Cass., sent., n. 7269/2014, cit.
[13] Cfr. Cass., sent., n. 6546/2010; Cass., sent., n. 14096/2012; Cass., sent., n. 10852/2014; Cass., sent., n. 1989/2016; Cass., sent., n. 30528/17. Secondo Cass., sent., 5196/2017 allorché il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere nella sua proprietà esclusiva facendo uso di beni comuni, “indipendentemente dall’applicabilità delle norme sulle distanze nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale”, è comunque necessario verificare che il condomino stesso abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. Cfr., sul punto, A. Celeste, L’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale sul cortile non costituisce uso della cosa comune ma impone una servitù, cit.
[14] Cass., sent., n. 6546/2010, cit.
[15] Cass., sent., n. 6546/2010, cit.
[16] Cass., sent., n. 6546/2010, cit.
[17] Cass., sent., n. 7044/2004; Cass., sent., n. 8978/2003; Cass., sent., n. 15394/2000.
[18] Cass., sent., n. 6546/2010, cit.
[19] Cass., sent., n. 6546/2010, cit.; Pertanto «la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva (…) in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»: Cass., sent., n. 30528/2017, cit.
[20] Significativa appare Trib. Roma, sez. V, sent. 15/07/2020, n. 10346.
[21] Cass., sent., n. 955/2013, cit.
[22] Cass., sent., n. 955/2013, cit.
[23] M. Sesta, Rapporti personali di vicinato: immissioni, atti emulativi, privacy, in Riv. notariato, fasc. 6, 2006, pag. 1471.
[24] Cass., sent., n. 16687/2003.
[25] Cass., sent., n. 7269/2014, cit.
[26] R. Albano, Le limitazioni legali della proprietà, in P. Rescigno (diretto da), Tratt. Dir. Priv., VII, I, Torino 1982, 608.
[27] V. Lojacono, Luci e vedute, in ED, XXV, 1975.
[28] M. Sesta, Rapporti personali di vicinato: immissioni, atti emulativi, privacy, cit.