La sottoscrizione dell’offerta
1. La sottoscrizione dell’offerta “serve a rendere nota la paternità e a vincolare l’autore al contenuto del documento”, assolvendo alla “funzione indefettibile di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta”, sì da costituire “elemento essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti propri della manifestazione di volontà volta alla costituzione del rapporto giuridico”, con la conseguenza che la sua carenza, “pregiudicando un interesse sostanziale pubblicistico, comporta che l’offerta non possa essere ‘tal quale’ accettata”. Essa cioè “non integra […] una mera irregolarità formale, sanabile nel corso del procedimento, ma inficia irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia necessaria una espressa previsione della lex specialis”.
2. L’ammissione alla gara di partecipanti “che non hanno assunto alcun impegno giuridicamente vincolante, in relazione all’offerta praticata, nel termine previsto per la presentazione delle domande di partecipazione” violerebbe “i principi di efficacia e di parità di trattamento”: “consentire la sottoscrizione dell’offerta […] mediante soccorso istruttorio equivale a superare il termine ultimo di presentazione delle offerte, con compromissione del canone di par condicio e buon andamento nonché, circostanza ancora più grave, di violazione del principio di segretezza dell’offerta. Significa consentire ad un concorrente di esprimere la sua volontà di partecipazione alla gara in un momento nel quale tale possibilità è preclusa a tutti gli altri concorrenti e di incidere, con un ulteriore atto di volontà, sulle sorti della procedura”.
3. L’offerta di gara esprime, in via unilaterale e con carattere vincolante, l’impegno negoziale ad eseguire il servizio con prestazione conforme all’oggetto di gara, nonché con modalità tecniche e corrispettivo economico che qualificano l’offerta medesima agli effetti della valutazione comparativa ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto; la relativa sottoscrizione si configura pertanto “come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta” e “assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta”, costituendo “elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico”; al punto che “la sua mancanza inficia […] la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara”. Di qui, l’impossibilità di disporre la sanatoria dell’omessa sottoscrizione, operazione preclusa dall’art. 74, co. 1, d.lgs. n. 163/06 (“le offerte hanno forma di documento cartaceo o elettronico e sono sottoscritte con firma manuale o digitale […]”).
4. La sottoscrizione è la “firma in calce” e tale adempimento non può essere sostituito “dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”, non essendo possibile aderire all’“idea che esista un’equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella apposta solo in apertura di esso (‘in testa’), o tanto meno sul mero frontespizio di un testo di più pagine, dal momento che è soltanto con la firma in calce che si esprime il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto.
5. In materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto, non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività previsto dalla normativa comunitaria e le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che qualsiasi violazione degli obblighi di matrice comunitaria consente alla impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente e alla imputabilità soggettiva della lamentata violazione”).
Avv. Giovanni Dato
N. 14451/2015 REG.PROV.COLL.
N. 09232/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9232 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giacchini di Giacchini Alfredo & C s.n.c. e Piciucchi Sergio & Fabrizio s.n.c., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., ciascuna in proprio e quale designate mandataria (la prima) e mandante (l’altra) dell’a.t.i. costituenda tra le medesime, rappresentate e difese dagli avv.ti Massimo Frontoni e Gianluca Luzi, elettivamente domiciliate presso lo studio del primo in Roma, via Guido d’Arezzo n. 2;
contro
Consorzio di Bonifica della Maremma Etrusca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Arcangelo Guzzo e Claudio Martino, presso lo studio dei quali in Roma, via A. Gramsci n. 9, ha eletto domicilio;
nei confronti di
I.C.A.G. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo Barberis, presso il cui studio in Roma, via A. Pollaiolo n. 3, ha eletto domicilio;
per l’annullamento
(ric.)
– della deliberazione del consiglio d’amministrazione del Consorzio n. 219 del 3.10.2011, successivamente comunicata, con cui è stata stabilita l’aggiudicazione definitiva dei lavori in favore dell’impresa ICAG s.r.l., con ribasso del 15,3% e quindi per un importo netto di contratto di euro 522.208,63, oltre oneri di sicurezza per euro 23.474,55, non soggetti a ribasso, e Iva come per legge;
– della nota prot. 916 del 6.10.2011, con cui il responsabile del procedimento ha comunicato che a seguito dell’anzidetta deliberazione n. 219/2011 sono stati approvati i risultati dell’ultima seduta di gara tenutasi il 19.9.2011 e l’aggiudicazione definitiva in favore di Icag con punteggio totale di 93,67;
– di tutti i verbali di gara, nella parte in cui non è stata esclusa l’impresa aggiudicataria;
– di tutti i verbali di gara, nella parte in cui l’offerta presentata da Icag è stata dichiarata congrua, inclusa la relazione tecnica del responsabile del procedimento sulla congruità dei relativi prezzi del 17.9.2011;
– di ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, incluso il contratto d’appalto nelle more stipulato, nonché i pareri legali del 19 e 30.7.2011, allegati ai verbali di gara, acquisiti dal responsabile del procedimento e costituenti motivazione dell’illegittima riammissione di Icag alla procedura;
(I^ mm.aa.)
– della deliberazione presidenziale n. 121 dell’8.11.2011, con cui il Consorzio resistente ha rigettato l’istanza presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 243-bis d.lgs. n. 163/06;
– della nota del r.u.p. prot. 1169 del 9.11.2011, con cui è stata trasmessa l’anzidetta deliberazione;
(II^ mm.aa.)
– della deliberazione presidenziale n. 226 del 16.12.2011, con cui il Consorzio ha stabilito di confermare l’aggiudicazione definitiva dei lavori in favore di Icag, disposta con deliberazione del c.d.a. n. 219 del 3.10.2011;
– della nota del r.u.p. prot. 1322 del 19.12.2011, di trasmissione dell’anzidetta deliberazione;
– della nota prot. 1311 del 14.12.2011, con cui il r.u.p. ha reso i chiarimenti richiesti concludendo con esito positivo la verifica di congruità;
– della nota prot. 1215 del 22.11.2011, con cui il r.u.p. ha chiesto ulteriori elementi alla Icag a supporto dei costi relativi alle spese generali di cui all’offerta presentata;
– della nota Icag del 26.11.2011, e relativi allegati, di trasmissione degli ulteriori chiarimenti richiesti;
nonché
(III^ mm.aa.)
per l’annullamento e la declaratoria di inefficacia
– del contratto di appalto rep. 275 del 17.2.2012, stipulato tra il Consorzio e Icag;
– di ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, ivi incluso, per quanto occorrer possa, il verbale di consegna dei lavori del 28.2.2012
e per la condanna
al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del 12 novembre 2015 il cons. M.A. di Nezza e uditi i difensori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A) Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 4.11.2011 (dep. l’11.11) le società in epigrafe, esponendo di aver partecipato alla gara indetta dal Consorzio di bonifica della Maremma etrusca per l’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica del “Fosso Scolo dei Giardini” nel Comune di Tarquinia, vinta dalla società Icag (in un primo momento esclusa dalla selezione e poi riammessa all’esito del superamento della verifica di anomalia dell’offerta), hanno impugnato gli atti indicati in epigrafe, prospettando:
I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 74 e 83 d.lgs. n. 163/06 e dell’art. 1329 cod. civ.; violazione del principio della par condicio e della lex specialis; eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità; travisamento dei fatti:
– il disciplinare di gara richiedeva che nella busta C, “offerta temporale”, fossero contenuti a pena di esclusione “l’indicazione del numero di giorni naturali e consecutivi, in cifre e lettere proposti dal concorrente per l’esecuzione dei lavori” nonché il “cronoprogramma dettagliato dei lavori” corredato di relazione illustrativa a giustificazione del tempo offerto, e specificava che a fronte del tempo progettuale previsto, pari a 374 giorni, il concorrente potesse proporre una riduzione massima di 74 giorni, per un “tempo minimo” fissato in 300 giorni;
– Icag, avendo prodotto unicamente il cronoprogramma e la relazione illustrativa, ma non il “numero di giorni […] in cifre e lettere […] per l’esecuzione dei lavori”, avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara sia per violazione della lex specialis, alla luce della comminatoria prevista per tale carenza, sia per assenza di uno degli elementi essenziali (“offerta temporale”) richiesti nel disciplinare, non potendo né il cronoprogramma né la relazione surrogare l’anzidetto “numero dei giorni”;
– l’esclusione sarebbe stata doverosa anche alla luce della mancata sottoscrizione, non presente in nessuna pagina, dei documenti presentati dall’aggiudicataria, con impossibilità di imputarli alla concorrente (o comunque di equipararli a una manifestazione di volontà della medesima);
II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 74 d.lgs. n. 163/06, del principio della par condicio e della lex specialis; eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità; travisamento dei fatti sotto ulteriore profilo:
– secondo il disciplinare, la busta B, relativa all’“offerta tecnica”, avrebbe dovuto contenere la “documentazione illustrativa relativa alle eventuali proposte progettuali” in variante o migliorative; gli “elaborati descrittivi” delle proposte migliorative; il “computo metrico dettagliato” dell’offerta tecnica proposta, l’“elenco delle voci di prezzi” per eventuali lavorazioni introdotte in offerta e un “quadro comparativo con parziali per ogni singolo capitolo dell’offerta tecnica presentata, oltreché complessivo”;
– Icag avrebbe presentato tali documenti senza tuttavia sottoscriverli e senza apporre alcuna sigla o firma nelle pagine dei singoli elaborati, con impossibilità di ricondurre a essa l’offerta tecnica (la quale avrebbe dovuto essere ritenuta tamquam non esset); di qui, l’illegittimità della sua ammissione al prosieguo della procedura;
III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 86 e ss. d.lgs. n. 163/06, del principio della par condicio e della lex specialis; eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità; travisamento dei fatti sotto ulteriore profilo:
– il giudizio di congruità espresso sull’offerta Icag sarebbe fondato su valutazioni manifestamente illogiche e irragionevoli in relazione al ribasso presentato dalle ricorrenti (7,51%) rispetto a quello offerto dall’aggiudicataria (15,3%), del tutto sproporzionato e ottenuto attraverso la riduzione dell’utile (4%) e delle spese generali (6,58%);
– in particolare il r.u.p., dopo avere correttamente omesso l’analisi delle spese generali previste dalle ricorrenti in quanto coerenti con le previsioni del “prezziario regionale” (14%), avrebbe illegittimamente ritenuto di non sottoporre ad analoga disamina l’offerta Icag adducendo la medesima motivazione, tuttavia palesemente errata alla luce dell’evidente differenza dell’aliquota (6,58%) e della sua mancata previsione nel menzionato prezziario; tanto più in considerazione dell’assoluta irrisorietà dei costi indicati (spese di stipulazione: 800 euro, nemmeno idonei a coprire le spese fisse; affitto dell’area di cantiere: 2.500 euro, a fronte della durata della commessa di 300 giorni; impianto e gestione del cantiere: 3.500 euro, sempre a fronte di detta durata; gruppi elettrogeni: 2.500 euro; assistenza alla direzione lavori, per i profili di consulenza geologica, archeologica, rilievi topografici, agronomo: euro 3.500, peraltro comprensivi di Iva e altri oneri: imprevisti: 771,84 euro);
– né la diminuzione delle spese generali sarebbe giustificata da eventuali sopravvenienze attive.
Le ricorrenti hanno pertanto chiesto l’annullamento degli atti impugnati e la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni attraverso la reintegrazione in forma specifica (aggiudicazione della gara e subentro nell’esecuzione del contratto nel frattempo eventualmente stipulato, con dichiarazione di sua inefficacia), o in subordine per equivalente (mancato utile, pari al 10% calcolato sull’importo posto a base di gara, per come ribassato in sede di offerta; danno curriculare, forfettariamente e complessivamente stimato “nel 6% dell’importo contrattuale offerto”; spese sostenute per la partecipazione alla gara).
Si sono costituiti in resistenza l’intimato Consorzio e la società Icag.
B) Con ricorso per “motivi aggiunti e integrativi” (I^ mm.aa.) spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 12.12.11 (dep. il 13.12), le società istanti hanno esteso l’impugnazione al diniego di autotutela ex art. 243-bis d.lgs. n. 163/06, a loro dire parimenti affetto da arbitrarietà e illogicità della motivazione, prospettando, oltre ai motivi già dedotti, un “motivo integrativo” (con medesima rubrica di quello sub n. I ric.):
– l’assenza del documento recante “indicazione dei giorni” non sarebbe surrogabile dal cronoprogramma e dalla relazione, alla luce della distinta funzione di tali atti (proposta contrattuale il primo e giustificazione tecnica l’altro);
– la carenza di sottoscrizione delle offerte “temporale” e “tecnica”, costituenti del pari proposte contrattuali, avrebbe dovuto comportare senz’altro l’esclusione di Icag in ossequio all’art. 74, co. 1, d.lgs. n. 163/06, operante indipendentemente dalle previsioni della lex specialis (in questa prospettiva non rileverebbero né le “modalità di collazione dei plichi”, ossia la sottoscrizione apposta unicamente sul frontespizio dei vari fascicoletti predisposti, né l’art. 46 d.lgs. n. 163/06, pur richiamato dalla stazione appaltante).
C) Con un “secondo ricorso per motivi aggiunti e integrativi” (II^ mm.aa.), spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale l’11.1.2012 (dep. il 12.1), le ricorrenti hanno impugnato gli atti relativi alla positiva verifica di congruità dell’offerta Icag, espletata dopo l’instaurazione della controversia, denunciandone l’illegittimità in via derivata e in via autonoma per i seguenti motivi:
1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 86 e ss. d.lgs. n. 163/06 nonché dei principi di continuità e concentrazione della gara e della par condicio; violazione del principio del giusto procedimento; eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità:
– a seguito della proposizione del terzo motivo di ricorso, attinente alle verifiche sull’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria, l’amministrazione avrebbe acquisito dal r.u.p. gli inerenti chiarimenti e avrebbe confermato l’aggiudicazione, incorrendo tuttavia in violazione dei principi di continuità e concentrazione delle gare, di par condicio e del giusto procedimento;
– in particolare, il r.u.p., ascritta a un errore materiale la ripetizione anche per le “spese generali” Icag della medesima motivazione esposta per le ricorrenti, avrebbe riferito di avere ripetuto l’analisi, della quale sarebbe stata semplicemente omessa la trascrizione, e di avere con l’occasione chiesto alla concorrente ulteriori elementi; sennonché, tale attività, diversamente da quanto attestato dallo stesso r.u.p., sarebbe del tutto nuova e non ripetitiva di una verifica già eseguita, ciò a riprova della completa omissione, in sede di gara, dell’analisi delle spese generali; di qui, la doverosità della “revoca” dell’aggiudicazione e della rinnovazione della procedura, anche se al solo fine della verifica di anomalia, oltre che l’illegittimità dell’aggiudicazione definitiva, affetta pure da violazione del divieto di motivazione postuma;
– anche a volere ammettere la legittimità del descritto modus operandi, sarebbe certamente da escludere la possibilità, concessa a Icag, di documentare la congruità della propria offerta tramite preventivi ottenuti dopo l’aggiudicazione definitiva e solo a seguito di richiesta del r.u.p. in data 22.11.2011, venendosi altrimenti a vulnerare la par condicio tra i concorrenti;
2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 86 e ss. d.lgs. n. 163/06; eccesso di potere per arbitrarietà e illogicità:
l’offerta Icag sarebbe comunque anomala, risultando manifestamente illogiche e contraddittorie le valutazioni del r.u.p, il quale avrebbe: attestato spese e costi privi di supporto documentale; adottato, quale parametro di riferimento per la locazione dell’area di cantiere, i fitti praticati per le colture irrigue nella zona (dato non coerente con il tipo di opera da eseguire e con la natura urbana di taluna delle aree da occupare); omesso di valutare l’assenza di poste necessarie (“sistemazione cantiere, trasporti e varie”; “personale di cantiere”; “ammortamenti automezzi”; esercizio cantiere”; “spese generali di sede”), corrispondenti a una serie di voci la cui corretta considerazione inciderebbe per un’aliquota non inferiore al 14,24% dell’importo dei lavori (molto superiore alle percentuali indicate da Icag, pari al 6,58%, o dal r.u.p., pari al 6,81%).
Il Consorzio e la società Icag hanno depositato ulteriori memorie e documenti.
Con ordinanza del 28.1.2012 è stata respinta l’istanza cautelare.
D) Con un “terzo ricorso per motivi aggiunti” (III^ mm.aa.), spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 27.3.12 (dep. il 28.3), le società ricorrenti, dato atto della riforma in appello della pronuncia cautelare (ord. sez. V, 21 marzo 2012, n. 1128) e della stipulazione del contratto in data 17.2.2012 (con consegna dei lavori il 28.2), hanno “per mero scrupolo difensivo” impugnato il contratto stesso, a loro dire affetto da illegittimità in via derivata per le medesime censure prospettate negli atti precedenti.
E) All’odierna udienza – in vista della quale la ricorrente e il Consorzio hanno depositato documenti (22.10.2015), la ricorrente e la parte controinteressata memorie (27.10.2015), la ricorrente e il Consorzio note di replica (29.10.2015) – il giudizio è stato discusso e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione di “inammissibilità per cessata materia del contendere” (recte: improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse), sollevata dalla società controinteressata in relazione all’incontestata avvenuta esecuzione della commessa (mem. 27.10.2015), è fondata solo in relazione alla domanda caducatoria, non residuando alcun interesse delle società ricorrenti all’annullamento degli atti impugnati.
Di tali provvedimenti va tuttavia accertata l’eventuale illegittimità ai sensi dell’art. 34, co. 3, c.p.a., in considerazione dell’istanza risarcitoria proposta sin dall’instaurazione della lite e reiterata nei successivi atti difensivi (ciò anche in assenza della domanda di accertamento; cfr. Cons. Stato, ad. plen., 13 aprile 2015, n. 4, che al punto 7 dà conto dell’orientamento giurisprudenziale, espresso anche da questa Sezione con la sent. 8 gennaio 2015, n. 208, secondo cui in una situazione in cui sia “accertata in modo incontestabile, per mutamenti di fatto o di diritto la sopravvenuta carenza di interesse”, l’accertamento in questione avviene ope iudicis “anche quando la parte, che non ha più interesse all’annullamento, non lo chieda espressamente”).
2. Con i primi due motivi le società ricorrenti assumono l’illegittimità della mancata esclusione di Icag dalla competizione sia per la mancata indicazione del “numero dei giorni naturali e consecutivi, in cifre e in lettere, proposti dal concorrente per la esecuzione dei lavori” (secondo quanto richiesto dalla lex specialis) sia per l’omessa sottoscrizione tanto dell’“offerta temporale” quanto dell’“offerta tecnica”.
Ritiene il Collegio che quest’ultima doglianza, prospettante l’illegittimità radicale della determinazione ammissiva riferita alla società controinteressata, e dunque avente carattere logicamente e giuridicamente prioritario rispetto alle altre critiche, sia fondata (ciò in adesione alla pronuncia cautelare d’appello, con cui sono stati ravvisati apprezzabili elementi di fondatezza dei motivi “nei quali si censura la mancata sottoscrizione da parte dell’aggiudicataria delle offerte temporale e tecnica”, dovendo considerarsi, anche successivamente all’introduzione del comma 1-bis dell’art. 46 cod. contr. pubbl., “intatta l’esigenza, di ordine imperativo, di assicurare la vincolatività dell’offerta attraverso una chiara espressione della volontà del suo autore”; esigenza che, “giusto anche il disposto dell’art. 74 cod. contr. pubbl., può essere realizzata unicamente con la sottoscrizione, nel caso di specie pacificamente mancante”).
2.1. Questa Sezione ha di recente affermato (sentt. 31 luglio 2015, n. 10568, e 30 giugno 2015, n. 8743) che la sottoscrizione dell’offerta “serve a rendere nota la paternità e a vincolare l’autore al contenuto del documento”, assolvendo alla “funzione indefettibile di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta”, sì da costituire “elemento essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti propri della manifestazione di volontà volta alla costituzione del rapporto giuridico”, con la conseguenza che la sua carenza, “pregiudicando un interesse sostanziale pubblicistico, comporta che l’offerta non possa essere ‘tal quale’ accettata”.
Essa cioè “non integra […] una mera irregolarità formale, sanabile nel corso del procedimento, ma inficia irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia necessaria una espressa previsione della lex specialis”.
Nel prendere in considerazione la deliberazione ANAC n. 1/2015, nella parte in cui, qualificata in termini di essenzialità la sottoscrizione dell’offerta, è peraltro riconosciuta la sanabilità della relativa omissione (“ferma restando la riconducibilità dell’offerta al concorrente”), la Sezione ha ancora osservato che l’ammissione alla gara di partecipanti “che non hanno assunto alcun impegno giuridicamente vincolante, in relazione all’offerta praticata, nel termine previsto per la presentazione delle domande di partecipazione” violerebbe “i principi di efficacia e di parità di trattamento”: “consentire la sottoscrizione dell’offerta […] mediante soccorso istruttorio equivale a superare il termine ultimo di presentazione delle offerte, con compromissione del canone di par condicio e buon andamento nonché, circostanza ancora più grave, di violazione del principio di segretezza dell’offerta. Significa consentire ad un concorrente di esprimere la sua volontà di partecipazione alla gara in un momento nel quale tale possibilità è preclusa a tutti gli altri concorrenti e di incidere, con un ulteriore atto di volontà, sulle sorti della procedura”.
Tali conclusioni paiono meritevoli di conferma anche nella presente sede, ponendosi in asse con il pacifico orientamento secondo cui (v. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1425, e giuripsr. ivi richiamata):
– “l’offerta di gara esprime, in via unilaterale e con carattere vincolante, l’impegno negoziale ad eseguire il servizio con prestazione conforme all’oggetto di gara, nonché con modalità tecniche e corrispettivo economico che qualificano l’offerta medesima agli effetti della valutazione comparativa ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto”;
– la relativa sottoscrizione si configura pertanto “come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta” e “assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta”, costituendo “elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico”; al punto che “la sua mancanza inficia […] la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara”.
Di qui, l’impossibilità di disporre la sanatoria dell’omessa sottoscrizione, operazione preclusa dall’art. 74, co. 1, d.lgs. n. 163/06 (“le offerte hanno forma di documento cartaceo o elettronico e sono sottoscritte con firma manuale o digitale […]”).
2.2. Venendo al caso di specie, dagli atti risulta (né è controverso):
– che l’offerta “temporale” di Icag era composta da un frontespizio, denominato “offerta temporale, cronoprogramma dei lavori, relazione descrittiva”, timbrato e siglato in calce, e da un cronoprogramma con relazione illustrativa articolati in fogli distinti privi di sottoscrizione (all. 8.3. amm.);
– che l’“offerta tecnica” era parimenti composta da una serie di fascicoletti (1a – “soluzioni migliorative […]”, 1b – integrazione dei materiali […]; 2 – sistemi e tecniche di intervento […]”; 3 – “computo metrico”; 4 – “elenco voci di prezzo per le nuove lavorazioni”; 5 – “quadro comparativo”), ciascuno dei quali riportanti timbro e sigla solo sul frontespizio, ma non nei fogli e nei documenti in essi inseriti (all. 8.2 amm.).
Tali modalità di presentazione delle offerte “temporale” e “tecnica”, costituenti elementi essenziali dell’offerta complessivamente considerata (stante il criterio di aggiudicazione prescelto), non ne garantiscono la “provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità” alla stregua dell’orientamento innanzi richiamato, nell’ambito del quale è stato ulteriormente precisato che la sottoscrizione è la “firma in calce” e che tale adempimento non può essere sostituito “dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”, non essendo possibile aderire all’“idea che esista un’equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella apposta solo in apertura di esso (‘in testa’), o tanto meno sul mero frontespizio di un testo di più pagine, dal momento che è soltanto con la firma in calce che si esprime il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto” (enf. agg.; così Cons. Stato, sez. IV, n. 1425/15 cit., che richiama Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2012 n. 2317).
Le deduzioni della stazione appaltante fondate sulla giurisprudenza civilistica in materia di validità della firma apposta “a margine” di un documento negoziale ed evidenzianti l’avvenuto raggiungimento in concreto di tutte le finalità cui il requisito in questione è preordinato (certezza della provenienza, serietà e affidabilità, immodificabilità; mem. 29.10.15, punto I), per quanto perspicuamente articolate, non sono tuttavia idonee a superare i precedenti rilievi, giusta la descritta centralità nelle gare pubbliche dell’adempimento di cui si tratta (arg. ex art. 74, co. 1, cit.), né ravvisandosi nella specie una situazione sovrapponibile a quella della firma c.d. “marginale”.
Né rilevano, infine, l’apposizione della “controfirma” sui lembi di chiusura del plico di offerta, che consiste in una formalità diretta a garantire l’integrità del plico stesso, o la circostanza che il disciplinare contemplasse la comminatoria di esclusione solo per il caso di mancata sottoscrizione in ogni foglio dell’offerta economica (prescrizione peraltro rispettata dalla società Icag; v. all. 8.4 amm.), alla luce dell’indirizzo di cui si è innanzi dato conto (secondo cui, giova ribadire, la mancanza della firma “inficia […] la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara”).
Da quanto innanzi osservato va pertanto accertata l’illegittimità della determinazione di ammissione della società Icag alla gara.
3. Le precedenti conclusioni esonerano dallo scrutinio delle restanti doglianze, attinenti alla dedotta assenza del “numero dei giorni” e all’illegittimità delle operazioni di verifica di anomalia, e che dunque hanno a oggetto fasi e momenti della procedura susseguenti rispetto all’ammissione dei concorrenti alla competizione.
L’accertamento dell’illegittimità della mancata esclusione di Icag esplica cioè effetti vizianti anche in relazione alle successive attività poste in essere dalla stazione appaltante (v., sull’“assorbimento logico necessario”, Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, par. 9.3.4.2).
4. Venendo alla pretesa risarcitoria, ed esclusa la possibilità di reintegrazione in forma specifica (alla luce dell’avvenuta esecuzione dei lavori), le società ricorrenti domandano, secondo quanto specificato nella memoria del 27.10.2015 (sub n. IV) e sulla base della documentazione versata in atti, danni consistenti:
a) a titolo di lucro cessante, nel mancato conseguimento dell’utile che avrebbero potuto ritrarre dall’esecuzione del contratto, per un importo di euro 23.819,18 (dimostrato dai giustificativi dei prezzi);
b) quale danno emergente: b.1) nei “costi sostenuti per la partecipazione alla gara”, per euro 11.798,00; b.2) nell’“improduttivo mantenimento delle risorse necessarie per l’esecuzione dell’appalto, non avendo le imprese odierne ricorrenti inteso procurarsi prestazioni contrattuali ulteriori in misura tale da poter rendere difficoltosa, per la concomitanza di impegni, la concreta esecuzione dell’appalto, con la conseguenza che il danno si configura pienamente, senza alcuna riduzione per l’aliunde perceptum”, per un importo di euro 234.653,64 (v. l’analitica esposizione delle voci nella tabella riportata alle pagg. 28 e 29 mem. cit.);
c) quale perdita di chance, nell’avere “vincolato l’utilizzo delle proprie risorse per l’esecuzione dell’appalto”, non avendo esse “preso parte alle numerose procedure di gara alle quali, in caso contrario, avrebbe[ro] sicuramente potuto concorrere”, e, quale danno curriculare, nei “pregiudizi subiti in termini di mancata acquisizione dei requisiti di qualificazione, che sarebbero stati ottenuti dall’esecuzione della commessa”, per un importo di euro 4.763,83 (pari a 1/5 dell’utile di impresa previsto in offerta, in ossequio a Cons. Stato, 9 giugno 2008, n. 2751).
Il tutto per complessivi euro 275.034,65 (di cui 246.451,63 per danno emergente, 23.819,18 per lucro cessante e 4.763,84 per perdita di chance), oltre accessori.
Esse hanno altresì instato in via gradata per una liquidazione equitativa e, “a titolo cautelativo”, per l’eventuale esperimento di un accertamento tecnico (verificazione o c.t.u.).
Per sua parte l’amministrazione, illustrate le peculiarità del giudizio (delle quali tener conto “nell’eventuale determinazione del risarcimento”, avendo la controinteressata potuto eseguire i lavori in considerazione dell’esito della fase cautelare), ha contestato la pretesa, allegando da un lato l’assenza di prova di talune circostanze e, dall’altro, l’incongruità delle somme ipotizzate, tanto più alla luce del fatturato e dell’utile conseguito dalle ditte Giacchini e Piciucchi negli esercizi 2011 e successivi (ciò che risulterebbe dai relativi bilanci, prodotti in giudizio; mem. 29.10.15, sub n. V).
La domanda è fondata per quanto di ragione.
4.1. Dall’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati nei sensi innanzi precisati discende che la società Icag avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura e che perciò le ricorrenti (seconde classificate) avrebbero ottenuto l’aggiudicazione.
4.1.1. Va pertanto accolta la domanda di risarcimento per equivalente del danno da mancata aggiudicazione, sussistendo i presupposti per la configurazione della responsabilità aquiliana della stazione appaltante: l’illegittima ammissione (i.e. mancata esclusione) della società controinteressata ha infatti impedito alle ricorrenti l’ottenimento della commessa, mentre per condivisibile orientamento non è necessario provare la colpa dell’amministrazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283, punto 13.2; v. anche Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839: “in materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto, non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività previsto dalla normativa comunitaria e le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che qualsiasi violazione degli obblighi di matrice comunitaria consente alla impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente e alla imputabilità soggettiva della lamentata violazione”).
In particolare, spetta alla parte ricorrente il risarcimento così del danno consistente nel “mancato conseguimento dell’utile che […] avrebbe percepito in caso di esecuzione dell’appalto”, come del danno curriculare (v. sub 4.a e 4.c), trattandosi di pregiudizi corrispondenti alle utilità economiche perse a causa del mancato svolgimento della commessa (v. Cons. Stato, sez. V, n. 4283/15 cit., punti 19 ss., che chiarisce, sul danno curriculare, come il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, indipendentemente dalla percezione dell’utile, può comunque essere “fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti”; v. ancora, pure sul danno curriculare, Cons. Stato, sez. IV, 9 febbraio 2015, n. 656, e sez, III, n. 1839/15 cit., punto 11).
Questa conclusione resiste alle obiezioni sollevate dall’amministrazione.
Rilevata anzitutto l’ininfluenza delle osservazioni sulle peculiarità delle vicende processuali – ciò alla luce della riconosciuta urgenza dei lavori e non avendo il Consorzio addotto alcun elemento per ipotizzare una declaratoria di inefficacia del contratto ex art. 122 c.p.a. (richiedendo tale valutazione l’apprezzamento, tra l’altro, “degli interessi delle parti” e dello “stato di esecuzione” del contratto stesso) –, va disattesa l’impostazione della parte pubblica secondo cui il mancato utile spetterebbe integralmente solo in presenza di dimostrazione, da parte dell’impresa, “di non aver potuto utilizzare le maestranze e i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi”; ciò in quanto, a suo dire, in assenza di tale prova si dovrebbe ritenere che l’impresa stessa “possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità”; da questa evenienza, verificatasi (secondo il Consorzio) nella specie, sortirebbe la necessità di una riduzione equitativa dell’importo risarcibile, risultando peraltro dai bilanci delle ricorrenti (prodotti da queste ultime e dall’amministrazione) come le stesse, nell’intero periodo successivo alla gara, avrebbero maturato “un discreto fatturato” (a dimostrazione del fatto che non sarebbero rimaste “inoperose”).
Tale posizione, effettivamente mutuata da un indirizzo giurisprudenziale che, al fine di correggere possibili effetti di overcompensation, fa ricorso a presunzioni semplici per ridurre la misura del lucro cessante liquidabile a favore delle imprese illegittimamente pretermesse dall’aggiudicazione, è tuttavia superata da altro orientamento secondo cui l’aliunde perceptum rappresenta un “fatto modificativo o impeditivo” della domanda, sicché l’onere di eccepirlo e provarlo grava sull’amministrazione danneggiante (v. Cons. Stato, sez. VI, n. 4283/15 cit., punto 21, nonché, sebbene in una controversia non concernente appalti pubblici, Cons. Stato, sez. V, 3 dicembre 2012, n. 6161, sub 3.11).
Secondo questa preferibile linea di pensiero, non è consentito ribaltare l’onere della prova sull’impresa “in forza di una presunzione, fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili”, occorrendo comunque che l’amministrazione fornisca la prova del “fatto-base” dal quale desumere l’aliunde perceptum (la “difficile prova di un fatto negativo” non può cioè ricadere sull’impresa che chiede il risarcimento, non potendo l’assenza di aliunde perceptum trasformarsi “da fattore impeditivo ad elemento costitutivo della pretesa risarcitoria”).
In ossequio a tale regola di distribuzione degli oneri di allegazione e prova, il Consorzio avrebbe dovuto dedurre e provare il conseguimento da parte delle ricorrenti di “un lucro alternativo incompatibile con la contestuale esecuzione dell’appalto per cui è causa” (Cons. Stato, VI, n. 4283/15), dimostrazione che non può reputarsi raggiunta col mero riferimento alla produzione di utili nel periodo successivo alla gara (questa circostanza di per sé nulla dice sull’incompatibilità di detto lucro con la “contestuale esecuzione dell’appalto per cui è causa”).
4.1.2. Le precedenti considerazioni consentono di passare alla disamina del capo di domanda concernente il pregiudizio asseritamente derivante dall’inutile immobilizzazione delle risorse e dei mezzi tecnici – o, come le società istanti si esprimono, dall’“infruttuoso vincolo delle attrezzature e della manodopera, […] predisposte per l’esecuzione dell’appalto, con conseguente rinuncia delle imprese componenti l’ATI di eseguire attività commerciali per l’assunzione di ulteriori appalti” (pagg. 27 ss. mem. 27.10.15 ric.; v. ante, punto 4.b.2) –, articolato in diverse poste riferite al “personale improduttivo” (euro 48.000,00 per ciascuna ricorrente), al “mancato ammortamento dei mezzi d’opera e rate di leasing” (euro 54.138,46 per la società Giacchini ed euro 17.820,79 per la Piciucchi, secondo quanto desumibile dai rispettivi bilanci del 2011) e al “mancato ammortamento spese generali fisse aziendali” (euro 66.694,39, pari al 40% di quelle indicate in offerta, a loro volta pari al 14% dell’importo offerto).
Il Consorzio contesta la pretesa assumendo: i) che la mera allegazione dei prospetti di bilancio non dimostrerebbe alcunché, apparendo al contempo “inverosimile che le imprese abbiano tenuto ferme e improduttive risorse (personale e mezzi d’opera) per l’intero periodo di durata dei lavori”; ii) che la voce “mezzi d’opera” sarebbe stata esposta “in maniera del tutto generica e avulsa dal contesto, di guisa che neppure è possibile sapere se tali asseriti ‘mancati ammortamenti’ si riferiscano effettivamente ai mezzi che sarebbero stati impiegati nei lavori”; lo stesso a dirsi per le “spese generali”, prive di documentazione della relativa consistenza, apparendo “evidente che il complesso organizzativo dell’impresa (in relazione al quale trovano giustificazione le spese generali) si mette in piedi solo allorché sia certa l’acquisizione di una commessa, ossia dopo – o comunque nell’imminenza – della stipula del contratto”; iii) che i bilanci prodotti dalle ditte Giacchini e Piciucchi avrebbero “chiuso l’esercizio 2011 con abbondante utile (e tanto vale anche per 2013 e 2014)”.
Tali obiezioni consentono di dar conto dell’infondatezza della domanda.
Occorre anzitutto precisare che nella prospettiva delle ricorrenti il “fermo impresa” è addotto quale fatto generatore del danno e non come elemento idoneo a escludere l’aliunde perceptum (secondo l’indirizzo giurisprudenziale in precedenza richiamato).
Esso è cioè configurato in termini di autonomo pregiudizio, ossia di “danno ulteriore rispetto al mancato utile che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto” (Cons. Stato, V, n. 4283/15) – consistente, in sintesi, nei costi sostenuti per il mantenimento dell’azienda (recte: della parte di azienda che avrebbe dovuto eseguire la commessa) rimasta invece inoperosa –, ascrivibile alla categoria del danno emergente (come correttamente dedotto dalle ricorrenti).
Ne segue che l’inerente onere di allegazione e prova ricade sull’impresa danneggiata (ciò pur non volendo arrivare a quanto affermato in proposito da Cons. Stato, sez. V, n. 6161/12 cit., secondo cui il fatto dell’immobilizzazione dell’impresa sarebbe “agevolmente dimostrabile in sede di esecuzione del contratto, a cantieri aperti”, come nelle ipotesi di illegittima sospensione dei lavori ordinata dalla stazione appaltante, ove il fermo impresa è rilevante quale criterio di liquidazione del risarcimento del danno ex art. 160, co. 2, lett. c, d.P.R. n. 207 del 2010, ma “impossibile da provare” se rilevante “nel corso di una gara e in pendenza del giudizio contro la mancata aggiudicazione” in quanto “fatto organizzativo interno all’impresa, non formalizzato, non correlato alla misura del lucro cessante”).
Sicché, con riguardo al caso in esame, va rilevato che a fronte delle contestazioni dell’amministrazione le ricorrenti avrebbero dovuto fornire specifica prova della produzione di detto “danno ulteriore”, a es. individuando nel dettaglio il personale e i mezzi rimasti inoperosi.
Tale prova non è stata offerta, con la conseguenza che le voci di danno in questione non possono essere riconosciute.
Né sussistono gli estremi per disporre una c.t.u., con conseguente inammissibilità della relativa istanza, stante la preclusione ordinamentale all’utilizzo di questo strumento per finalità esplorative (la c.t.u. non è un mezzo di prova, ma un mero strumento di ausilio del giudice per valutare la prova già acquisita giusta l’opera delle parti; d’altro canto, nella specie non è applicabile il diverso, e comunque non pacifico, orientamento secondo cui il divieto di c.t.u. esplorativa non opererebbe, e la consulenza rappresenterebbe a una “fonte oggettiva di prova”, quando essa “si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche”; v. da ultimo Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2663).
4.1.3. Da ultimo, non spettano le spese di partecipazione alla gara (v. sub 4.b.1): “i costi sostenuti per la partecipazione alla gara non sono risarcibili all’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto, atteso che altrimenti questa beneficerebbe di un ingiustificato arricchimento cumulando l’utile derivante dall’esecuzione dell’appalto con la restituzione delle spese di partecipazione alla gara, quando, di regola, la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che restano a carico delle stesse. Detti costi si qualificano come danno emergente solo laddove l’impresa le abbia inutilmente sostenute, il che accade quando il contraente, anziché reclamare la mancata aggiudicazione, deduca di essere stato coinvolto in trattative inutili, facendo valere la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante per la violazione delle regole di correttezza e buona fede nello svolgimento delle trattative” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4283/15 cit., punto 20).
Di qui, l’irrilevanza tanto della contestazione del Consorzio sull’assenza di prova quanto del “riepilogo” prodotto dalle istanti (all.ti 17, lett. A, e 18 ric., dep. il 22.10.15).
4.2. Sul quantum, risultano correttamente determinati (e non contestati) gli importi chiesti per mancato utile (ossia attraverso il criterio dell’utile effettivo anziché presunto, da utilizzare al fine di evitare “i rischi di overcompensation che esso comporta, in particolare nei confronti di ribassi tali da consentire percentuali di utili inferiori al valore normativamente previsto […], alla luce della necessità per gli operatori partecipanti a procedure di affidamento di appalti pubblici di rendere le loro offerte competitive al fine di aggiudicarsi le commesse”; così Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2015, n. 3716) e per danno curriculare (quota dell’utile previsto in offerta, stimato dalle ricorrenti pari al 20%).
Essi possono così essere riconosciuti per intero.
4.3. In conclusione, la domanda risarcitoria è fondata e va accolta limitatamente al danno per mancato utile (euro 23.819,18) e al danno curriculare (euro 4.763,83), per complessivi euro 28.583,01, importo sul quale vanno corrisposti la rivalutazione monetaria e gli interessi al saggio legale (in particolare, tale somma va rivalutata in base all’indice Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, c.d. FOI, a far tempo dalla data di pagamento del corrispettivo per l’appalto in contestazione sino a quella di pubblicazione della presente sentenza, e sull’importo così ottenuto vanno computati gli interessi al saggio legale, dalla data di pubblicazione della sentenza sino al soddisfo; cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, n. 3716/15 cit.).
5. Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III-ter, definitivamente pronunciando:
a) accoglie il ricorso in epigrafe per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiara l’illegittimità degli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione;
b) condanna il Consorzio di bonifica della Maremma etrusca a pagare alle società ricorrenti la somma di euro 28.531,01, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, per i titoli e secondo i criteri parimenti indicati in motivazione;
c) condanna altresì l’anzidetto Consorzio e la società Icag a corrispondere alle società ricorrenti le spese del giudizio, che liquida in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre Iva e Cpa come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Mario Alberto di Nezza, Consigliere, Estensore
Maria Grazia Vivarelli, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)