T.A.R. Molise, 31 gennaio 2019, n. 46
Sul risarcimento danno da perdita di chance.
Illegittima esclusione da concorso – Annullamento a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato -Procedura di selezione conclusa – Diritto al risarcimento danni per perdita di chance.
La pronuncia trae origine dal ricorso di soggetti che aspiravano a partecipare ad una selezione pubblica, i quali non vi potevano partecipare poiché privi della residenza in un Comune del Molise, requisito richiesto dal bando. Gli interessati impugnavano il bando con separati ricorsi al Capo dello Stato, ricorsi che venivano riuniti e, con d.P.R., accolti ritenendo illegittima la richiesta del requisito di residenza in un Comune molisano. La Provincia che aveva emanato il bando impugnava il d.P.R. innanzi al T.A.R. che ne accoglieva il ricorso. A seguito di tale pronuncia gli interessati appellavano innanzi al Consiglio di Stato la pronuncia e, ottenendo l’accoglimento della doglianza, ridavano “vigore” al d.P.R. di annullamento della procedura selettiva.
La procedura selettiva era stata nel frattempo espletata ed i ricorrenti, sulla base dell’illegittimità del bando, deducevano innanzi al Collegio la spettanza del risarcimento del danno.
Il Collegio, nell’accogliere il ricorso, si sofferma sul pregiudizio derivante dalla perdita di chance.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile la perdita di chance deve afferire alla seria possibilità di conseguire un determinato bene: il nesso causale deve essere certo e non probabile. Perchè sia risarcito il danno da perdita di chance occorre, nel caso di illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, che sia valutata, caso per caso, la concreta possibilità, nel caso di ammissione al concorso, di risultarne vincitore.
La posizione giuridica compromessa non è di diritto soggettivo ma di interesse legittimo. In quest’ottica la determinazione del risarcimento dovrà avvenire in base ad una valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.
Il Collegio, nel calcolare il danno da perdita di occasione favorevole, utilizza il criterio del cosiddetto coefficiente di riduzione in virtù del quale, mantenendo come base di calcolo il bene finale che viene in considerazione, opera via via le riduzioni del caso: un’idoneità non avrebbe garantito l’assunzione e, oltre a ciò, in assenza della richiesta di residenza la platea dei partecipanti sarebbe stata più ampia.
L’importo individuato dal Collegio viene inviato all’Amministrazione interessata come base di negoziazione perché essa formuli agli interessati una proposta risarcitoria entro il termine di 90 giorni e nomina un commissario ad acta nel caso in cui, entro il termine assegnato, non venga raggiunto un accordo risarcitorio.
In linea generale la nozione di chance è stata intesa in funzione “esplicativa” o in funzione “ delimitativa”. Si tratta di una distinzione che ha avuto riflessi anche nel dibattito giurisprudenziale.
Nella prima ipotesi la risarcibilità del danno è collegata alla prova che l’interessato abbia avuto una probabilità di conseguire il bene della vita superiore al cinquanta per cento.
La seconda ipotesi è relativa al caso in cui la chance rileva come bene della vita già presente nel patrimonio del danneggiato nel momento in cui si verifica l’evento lesivo e comporta un risarcimento danno “ridimensionato” in presenza di ridotte possibilità di ottenere il bene della vita.
La giurisprudenza più recente ha “avvicinato” la distinzione richiamata partendo dal significato letterale del termine chance che significa “buona probabilità di riuscita” e non certezza di ottenere il bene della vita.
Il tema del risarcimento della chance si pone nell’ottica dell’effettività della tutela anche nei casi in cui, come è accaduto nella vicenda oggetto della pronuncia, il potere amministrativo illegittimamente esercitato non può essere oggetto di riedizione. (a cura della Dott.ssa Barbara Bellettini).
Pubblicato il 31/01/2019
- 00046/2019 REG.PROV.COLL.
- 00381/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 381 del 2015, proposto da …omissis…,
contro
Provincia di Campobasso, …omissis…;
per l’accertamento
del diritto al risarcimento di tutti i danni conseguenti all’illegittima esclusione dei ricorrenti dal bando della Provincia di Campobasso del 9 maggio 2012, come ritenuta dal decreto del Presidente della Repubblica del 20 marzo 2015, con il ristoro dei danni nella misura indicata o nella misura che sarà determinata in questa sede giurisdizionale, anche previa C.T.U., in caso di contestazione delle somme;
Visti il ricorso e i relativi allegati, nonché la successiva memoria dei ricorrenti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio, le tre memorie difensive e le due note di deposito della Provincia di Campobasso;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2019 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – I ricorrenti impugnavano, con separati ricorsi straordinari al Capo dello Stato, il bando pubblicato il 9.5.2012 all’albo della Provincia di Campobasso di indizione di un avviso pubblico di selezione per titoli e colloquio, per la stipula di n. 20 contratti di lavoro a tempo determinato e parziale per il profilo professionale di istruttore direttivo – categoria D1, presso la stessa Provincia di Campobasso. La censura principale, formulata nei detti ricorsi amministrativi, riguardava la dedotta illegittimità del requisito di residenza in uno dei Comuni del Molise imposto come tale dal bando ai partecipanti al concorso, che precludeva ai ricorrenti – non residenti in Comuni molisani – la possibilità di parteciparvi. I ricorsi venivano riuniti e decisi con d.P.R. 20 marzo 2015 di accoglimento, su parere conforme del Consiglio di Stato n. 4086 del 17.12.2014. Sennonché, la Provincia impugnava il d.P.R. 20 marzo 2015 dinanzi a questo T.a.r. (n.r.g. 223/2015) che, con sentenza n. 295/2016, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava il decreto del Presidente della Repubblica del 20.3.2015 e il parere definitivo n. 4086 del 17.12.2014 reso dal Consiglio di Stato – Sezione Prima – nell’adunanza del 5.11.2014, allegato all’anzidetto decreto. Tuttavia, in sede di appello, promosso dai ricorrenti, il Consiglio di Stato (Sezione Quarta), con sentenza n. 7005 del 4.10.2018, in riforma della sentenza di questo T.a.r., dichiarava inammissibile il ricorso di primo grado. Conseguentemente, riprendeva vigore il d.P.R. 20 marzo 2015 di annullamento della procedura selettiva indetta dalla Provincia. Ciò nondimeno, i ricorrenti non potevano partecipare alla procedura selettiva ormai espletata, perdendo, così, definitivamente la possibilità di essere assunti in servizio nel profilo professionale di istruttore direttivo – categoria D1, presso la stessa Provincia di Campobasso.
Insorgono, dunque, col ricorso notificato il 14.9.2015 e depositato il 13.10.2015, per chiedere a questo T.a.r. il risarcimento dei danni conseguenti all’accertata illegittimità dei provvedimenti impugnati. Deducono la spettanza del risarcimento del danno conseguente alla diretta violazione di legge, la violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, la violazione del combinato disposto degli artt. 3, 51 e 97 Cost., la violazione diretta del principio di buona fede di cui all’art. 1337 codice civile.
Con successiva memoria, i ricorrenti ribadiscono e precisano le proprie deduzioni e conclusioni.
Si costituisce l’Amministrazione provinciale intimata, deducendo – anche con tre successive memorie e con due note di deposito – la pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto a quella risarcitoria, la carenza del danno ingiusto ex art. 2043 c.c., la scusabilità dell’errore della P.A., il difetto eziologico, la non risarcibilità per omessa diligenza comportamentale ex latere creditoris, ai sensi degli artt. 1175 e 1227, comma secondo, c.c., il mancato assolvimento dell’onere della prova sulla condotta illegittima e sul danno ingiusto, la mancanza di una perdita di chance risarcibile, stante la non elevata possibilità dei ricorrenti di risultare vincitori nella selezione, trattandosi, a dire della resistente, di una mera aspettativa di fatto. Conclude per l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso, del quale chiede la reiezione.
All’udienza del 23 gennaio 2019, la Provincia resistente chiede e ottiene che sia estromessa dagli atti di causa la nota di udienza del 22.1.2019, in quanto tardiva. La causa è introitata per la decisione.
II – Il ricorso è ammissibile e fondato.
III – Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria, in relazione al principio di pregiudizialità dell’azione giurisdizionale di annullamento, atteso che nel vigente ordinamento, la domanda risarcitoria ha una propria autonomia. A seguito dell’entrata in vigore (16 settembre 2010) del codice del processo amministrativo approvato, con D.Lgs. 2 luglio 2010 n.104, risulta tendenzialmente consacrata la regola della reciproca autonomia processuale tra la tutela caducatoria e quella risarcitoria (artt. 30 commi 1 e 3, e 34 commi 2 e 3, c.p.a.), abbandonandosi, pertanto, la regola della cosiddetta pregiudizialità dell’azione demolitoria (cfr.: Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3; T.a.r. Puglia Bari I, 21. Marzo 2012 n. 592).
Ad ogni buon conto, nel caso di specie, vi è stato un annullamento che, quand’anche privo del connotato giurisdizionale, è da ritenersi equivalente a quello pronunciato dal giudice amministrativo, stante il principio di alternatività tra il rimedio giurisdizionale e il ricorso al Capo dello Stato. Ne consegue che non possa invocarsi neppure quell’orientamento giurisprudenziale a tenore del quale l’omessa impugnazione del provvedimento sarebbe atto rilevante sul versante sostanziale, ex art. 1227 c.c., quanto al profilo eziologico, come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva impugnazione del provvedimento potenzialmente dannoso. Infatti, stando al più autorevole orientamento di giurisprudenza, l’ipotetica incidenza eziologica non è propria soltanto della mancata impugnazione del provvedimento dannoso, ma riguarda pure l’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, “quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela amministrativa (c.d. invito all’autotutela)” (cfr.: Cons. Stato, Ad. Pl., 23 marzo 2011, n. 3).
IV – Il risarcimento del danno spetta ai ricorrenti, in conformità alle seguenti considerazioni e conclusioni.
La decisione del ricorso straordinario al Capo dello Stato ha accertato l’illegittimità della procedura selettiva impugnata ed ha censurato la condotta tenuta dalla Provincia, in violazione dei principi informatori dell’azione amministrativa pubblica, in particolare: a) del dovere di comportarsi secondo buona fede (ex art. 1337 cod. civ.); b) del dovere di garantire l’uguaglianza tra i concorrenti nella procedura concorsuale (ex art. 3 Cost.) e di assicurare la parità di accesso ai pubblici uffici (ex art. 51 Cost.); c) della generale regola di cui all’art. 97 Cost., che impone la più ampia partecipazione nelle selezioni comparative della P.A. per l’assunzione di personale dipendente.
L’imposizione quale requisito della residenza dei concorrenti in un Comune molisano, censurata perché contraria alla legge e ai principi costituzionali, è rilevante ai fini dell’invocata tutela e spiega il nesso di causalità tra la condotta antigiuridica (colposa o dolosa) e il procurato pregiudizio patito dagli aspiranti che hanno subito l’esclusione dal bando per via della mancanza del requisito di residenza.
Il pregiudizio patrimoniale patito a causa dalla condotta colpevole della P.A., è senz’altro risarcibile a tenore dell’art. 2043 cod. civ., norma che impone il dovere primario di non cagionare danni ingiusti.
L’elemento soggettivo della responsabilità civile è insito nel comportamento colpevole, derivato dalla scelta inopinata di violare, nella procedura, i fondamentali parametri della Costituzione e della legge (art. 1 legge n. 241/1990), vale a dire i principi di uguaglianza, imparzialità, trasparenza, pari opportunità, proporzionalità, ragionevolezza, adeguatezza, non discriminazione, nonché il principio di legalità di cui all’art. 51, comma primo, della Costituzione, a tenore del quale tutti i cittadini italiani possono accedere agli uffici pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. È stato, quindi, applicato in modo fuorviante e inappropriato il criterio derogatorio della territorialità come condizione di accesso all’impiego, di cui all’art. 35, comma 5-ter, del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, a tenore del quale “Il principio della parità di condizioni per l’accesso ai pubblici uffici è garantito, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato”.
Il dato obiettivo dell’accertata illegittimità dell’azione amministrativa, come giudicata dal parere definitivo del Consiglio di Stato integra, in questo caso, ex se l’illiceità della condotta, come evidenziato da un consolidato orientamento della giurisprudenza civile e amministrativa (cfr.: Cass. civile, sez. un., n. 500/99; idem, n. 13164/05; idem n. 20358/05; Cons. Stato n. 3169/01; idem n. 1261/04; idem n. 5500/04; idem n. 478/05).
Non vi è, dunque, necessità di ulteriore prova della condotta arrecante il danno ingiusto, ex art. 2043 c.c., né sussiste margine per la scusabilità dell’errore della P.A., atteso che non poteva giustificabilmente sfuggire all’Amministrazione (e ai suoi funzionari) il dato palese e inequivocabile dell’illegittimità radicale della clausola di preclusione territoriale contenuta nel bando.
Appare, altresì, evidente e non necessita di prova il fatto che dal comportamento illegittimo della Provincia sia derivato un danno patrimoniale, qualificabile in termini di pregiudizio per la perdita di chance, da parte dei ricorrenti. Infatti, il danno da perdita di chance si verifica tutte le volte in cui il venir meno di un’occasione favorevole, cioè la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, è determinato e causato dell’adozione di un atto illegittimo da parte della P.A. (nell’ipotesi, l’illegittima esclusione dei ricorrenti dalla procedura selettiva indetta dalla Provincia di Campobasso), determinando un mancato guadagno. La chance è un bene giuridico autonomo, integrante il patrimonio del soggetto. Va così risarcita la perdita di essa, ove sussista la lesione di un interesse giuridicamente tutelato, avendo la pretesa di risarcimento a oggetto non un danno futuro e incerto ma un danno attuale, quale è appunto la perdita dell’occasione favorevole. La lesione della chance, quindi, comporta un danno valutabile in relazione alla probabilità perduta, piuttosto che al vantaggio sperato.
È noto a questo Collegio l’orientamento della giurisprudenza civile a tenore del quale la perdita di chance deve incidere sul danno e non sul nesso causale, con ciò volendo significare che la chance deve afferire alla seria probabilità del conseguimento di un bene, sia esso un evento patrimonialmente vantaggioso, oppure un diritto non patrimoniale comunque liquidabile per equivalente. In altri termini, il nesso causale deve essere certo e non solo probabile. Sarebbe, viceversa, un errore logico collegare la chance al nesso causale, perché verrebbe meno lo stesso principio di imputabilità del fatto illecito (condotta ed evento lesivo, nella forma del danno-conseguenza) alla condotta del danneggiante. Pertanto, il corretto argomentare di una sentenza esige che sia innanzitutto accertata l’inequivocabile sussistenza del rapporto causale tra la condotta del danneggiante e la perdita della chance (cfr.: Cass. civile n. 13491 del 2014).
È fuor di dubbio, a tal proposito, che la scelta di escludere dal concorso i non residenti in Molise abbia direttamente pregiudicato le possibilità dei ricorrenti di partecipare al concorso e di ottenere l’impiego.
Nella fattispecie, va detto che i tre ricorrenti avevano buone probabilità di risultare vincitori del concorso, sia in ragione dei titoli di studio conseguiti sia per quelli di servizio maturati, in particolare per via delle pregresse pluriennali esperienze lavorative svolte nell’ambito della gestione delle attività specialistiche dei Servizi per l’Impiego. Invero, i ricorrenti hanno tutti un apprezzabile profilo curriculare. Il sig. …omissis… e il sig. …omissis… avevano già avuto esperienze lavorative nell’omologo apparato della Provincia di Chieti; la sig.ra …omissis…, in aggiunta alla pregressa esperienza lavorativa svolta nella Provincia di Chieti, aveva ottenuto l’ammissione in servizio presso lo stesso Settore della Provincia di Campobasso, in qualità di vincitrice di concorso pubblico, indetto con un precedente bando.
I posti riservati ai vincitori del bando erano venti, successivamente estesi a ventisei, e le candidature presentate non erano molto numerose (95 concorrenti, di cui 31 dichiarati non idonei e 15 ritirati o assenti alla prova). Le probabilità dei ricorrenti di collocarsi in posizione utile nella graduatoria concorsuale, ancorché previo superamento della procedura selettiva, erano se non elevate almeno discrete.
È palese, dunque, la sussistenza del rapporto causale tra il fatto ostativo (l’esclusione dalla selezione) e il pregiudizio della perdita di una ragionevole probabilità di conseguimento del risultato atteso dai ricorrenti, di collocarsi, previo superamento della prova, in una posizione non solo idonea ma utile nello scorrimento di una delle sei graduatorie di concorso definitivamente approvate.
Le eccezioni e le deduzioni dell’Amministrazione resistente sono, dunque, inattendibili, sicché la domanda risarcitoria deve essere accolta.
V – Ai fini della risarcibilità della cosiddetta perdita di chance, in conseguenza dell’illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, questa deve essere valutata, caso per caso, considerando la probabilità che l’interessato aveva, se legittimamente ammesso alla procedura, di risultare vincitore del concorso e quindi di beneficiare della relativa assunzione nel posto pubblico messo a concorso (cfr.: Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452).
VI – Ciò premesso, non può essere condiviso il criterio di calcolo del danno risarcibile quale proposto dai ricorrenti, nelle perizie di parte allegate al ricorso, basato sulle differenze retributive, sul trattamento di fine rapporto e sulla mancata retribuzione previdenziale.
La perdita di chance non può essere retribuita come se il danneggiato avesse effettivamente superato la selezione ed effettuato la prestazione lavorativa, poiché la prestazione lavorativa in effetti non c’è mai stata e il diritto a percepire la retribuzione per il periodo di mancata prestazione lavorativa deve escludersi nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro non si sia mai instaurato. La restitutio in integrum (comprensiva di t.f.r. e trattamento previdenziale) spetta, sotto il profilo giuridico ed economico, solo al dipendente che illegittimamente sia stato licenziato o allontanato dal servizio (cfr.: Cons. Stato IV, 18.11.2011 n. 6103; Cass. civile, sez. lavoro, 10.5.2005 n. 9717).
VII – Perché sia riconosciuto il pregiudizio, è importante la qualificazione della posizione soggettiva compromessa che, nella specie, non è un diritto soggettivo ma è l’interesse legittimo alla partecipazione al concorso pubblico. Non vi è, pertanto, alcun diritto alla retribuzione ma vi è un interesse legittimo leso che deve essere adeguatamente ristorato. Come già detto, la risarcibilità trova fonte nella compromissione di un’opportunità – essa stessa bene autonomamente identificabile e tutelabile sul piano giuridico – di conseguire un bene della vita, sicché la determinazione del risarcimento può avvenire secondo una valutazione equitativa, ex art. 1226 c.c., commisurandola ove possibile al grado di probabilità che quel risultato favorevole avrebbe potuto essere conseguito.
VIII – Non può essere, nella fattispecie, riconosciuta la sussistenza di un danno esistenziale, poiché non vi è prova alcuna che dall’evento dannoso (l’esclusione dal concorso) sia derivata una compromissione dell’integrità psico-fisica dei ricorrenti (cfr., ex multiis: Cass. civile, 31.5.2003, n. 8827).
A proposito dell’ampiezza del contenuto di una domanda risarcitoria, la giurisprudenza civile ha affermato che la domanda di risarcimento dei danni derivanti da illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, sicché si estende al danno emergente (esborsi, spese e costi sostenuti) ed al lucro cessante (mancato guadagno), allorché si tratti di perdita di “chance” lavorativa (cfr.: Cass. civile n. 7193/2015; idem n. 1443/2003).
Invero, non essendo stato provato alcun danno emergente (quale potrebbe essere stata, ad esempio, un’eventuale spesa sostenuta da ciascun ricorrente per acquisire la possibilità di partecipare alla selezione), resta da verificare la misura del mancato guadagno.
IX – Nel calcolo del danno da perdita di occasione favorevole, stando alla più aggiornata e avvertita giurisprudenza, deve utilizzarsi il cosiddetto “coefficiente di riduzione”, a mente del quale si assume come base di riferimento il bene finale cui si aspirava (nella specie il guadagno dell’intero periodo retributivo, quantificabile nella retribuzione lorda totale di euro 44.704), e si operano diminuzioni sulla base di ragionati parametri di riduzione che esprimano il grado di probabilità di conseguire il guadagno, in relazione al caso concreto (cfr.: T.a.r. Lazio Roma III-bis, 5.1.2018 n. 71; Cass. civile III, 21.7.2003 n. 11322).
Le graduatorie finali sono state sei (rendicontazione, tutela svantaggiati, orientamento, promozione servizi dell’impiego, informazioni sul mercato del lavoro, informazioni per avvio di imprese), ma i dati relativi ad esse devono essere considerati nella loro globalità e unitarietà, poiché la procedura concorsuale è stata unica.
Nella specie – considerato che, dei 95 concorrenti, 31 sono stati dichiarati non idonei e 15 sono risultati assenti alla prova o ritirati (in totale, 46) – ciascun ricorrente aveva, pressappoco, una possibilità su due di rientrare tra gli idonei, ovvero di non superare la prova; va, infatti, compresa e non esclusa la possibilità che ciascuno dei ricorrenti, per una qualche ragione, potesse assentarsi o ritirarsi dalla prova selettiva. Il dato obiettivo va valutato come unico indicatore attendibile, non potendosi in alcun modo stabilire, in via controfattuale, quali sarebbero state le reali performance e capacità di successo dei ricorrenti al momento della prova, la qual cosa comporta un abbattimento di 1/2 delle chances di ciascun ricorrente di risultare idoneo al concorso e, quindi, dell’importo reddituale preso a base (per una cifra pari ad euro 22.352, che è la metà di 44.704).
Ma, com’è dato comprendere, l’idoneità non sarebbe stata sufficiente a conseguire il risultato, essendo necessaria una collocazione in graduatoria nei posti utili per ottenere l’assunzione. Tale considerazione induce ad applicare un ulteriore parametro riduttivo. Ciascun ricorrente avrebbe dovuto competere con altri 49 concorrenti risultati idonei (51 se si aggiungono al novero due dei tre ricorrenti) per 20 posti, poi estesi a 26 per scorrimento di graduatoria, avendo, dunque, circa una possibilità su due di rientrare non solo tra gli idonei ma anche tra i vincitori, la qual cosa consente l’ulteriore abbattimento forfettario di 1/2 dell’importo (giungendosi così ad un quantum pari ad euro 11.176).
Non va ignorato, poi, che l’eventuale apertura della selezione ai residenti di altre regioni avrebbe di certo incrementato il numero dei partecipanti al concorso (presumibilmente del doppio, considerato che il Molise è vicino e contiguo a ben quattro regioni). Ciò può essere acquisito tra i coefficienti di riduzione, in termini di decurtazione probabilistica di almeno 1/2 delle chances di successo e, dunque, dell’importo risarcitorio (giungendosi, così, ad euro 5.588,00).
L’importo così calcolato (euro 5.588,00), mediante i suindicati criteri, viene indicato, orientativamente, come base di negoziazione per la quantificazione del danno risarcibile, con riguardo a ciascuno dei tre ricorrenti. X – Si assegna, pertanto, all’Amministrazione resistente un termine di 90 giorni, a far data dalla comunicazione o, se precedente, dalla notifica della presente sentenza, affinché formuli a ciascun ricorrente una proposta risarcitoria, in applicazione del suindicato criterio. Nell’ulteriore termine di 90 giorni, le parti dovranno concludere un accordo risarcitorio, ex art. 34, comma 4, c.p.a.; decorso inutilmente detto periodo (90+90 giorni), si nomina sin d’ora un commissario ad acta, nella persona del Prefetto di Campobasso (o di un qualificato funzionario, dal medesimo delegato con criterio di rotazione), il quale provvederà a quantificare e a liquidare ai ricorrenti gli importi risarcitori dovuti, dando così esecuzione alla presente sentenza.
XI – In conclusione, il ricorso deve essere accolto, nei termini di cui alla motivazione. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda risarcitoria, nei termini di cui alla motivazione.
Condanna la Provincia resistente alle spese del giudizio, stabilite in euro 1.500,00, oltre Iva, c.p.a. e rimborso del contributo unificato.
Manda alla Segreteria del T.a.r. di dare comunicazione della presente sentenza alle parti e al Prefetto di Campobasso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Orazio Ciliberti, Consigliere, Estensore
Rita Luce, Primo Referendario