Il decorso del termine per la valutazione di impatto ambientale non importa la caducazione del procedimento.

Il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal Giudice Amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico — amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio

Pubblicato il 10/02/2017
N. 00573/2017REG.PROV.COLL.
N. 01432/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1432 del 2016, proposto dalle società Unigra’ s.r.l., Surgital s.p.a., Golfera in Lavezzola s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica rappresentati e difesi dagli avvocati Giuditta Carullo C.F. CRLGTT82D45A944O, Antonio Carullo C.F. CRLNTN48L06A944G, con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via De Gracchi N.39;
contro
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’ avvocato Gaetano Puliatti C.F. PLTGTN64D18A462X, Fabrizia Senofonte C.F. SNFFRZ69P64F839K, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Provincia di Ravenna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Chiara Lista C.F. LSTMCH55H55L781T, con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via De Gracchi N.39;
Unione dei Comuni della Bassa Romagna, Arpa Sez. Prov.Le di Ravenna, Ausl della Romagna, Consorzio della Bonifica della Romagna Occidentale, Comune di Argenta non costituitisi in giudizio;
nei confronti di
Società Officina dell’Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliano Berruti C.F. BRRGLN56H15H501O, Alberto Massimo Rossi C.F. RSSLRT63M22D969O, Giuseppe Caia C.F. CAIGPP54B17I608V, con domicilio eletto presso Giuliano Berruti in Roma, via delle Quattro Fontane, 161;
Società Oda Conselice s.p.a. non costituitasi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la EMILIA-ROMAGNA –Sede di BOLOGNA – SEZIONE II n. 1051/2015, resa tra le parti, concernente valutazione impatto ambientale del progetto realizzazione impianto di recupero rifiuti speciali.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia Romagna della Provincia di Ravenna e della società Officina dell’Ambiente s.p.a;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Caffarelli su delega di G. e A. Carullo, G. Puliatti, F. Senofonte, M.C. Lista, G. Berruti, S. Colombari su delega di G. Caia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 1051/2015 il T.a.r. per l’Emilia –Romagna –Sede di Bologna – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante volto ad ottenere l’annullamento della delibera di Giunta Regionale Progr.num.24/2014 -Ciod.doc. GPG/2014, pubblicata sul BUR n.44 del 12.02.2014, recante la valutazione di impatto ambientale (VIA) del progetto per la realizzazione di un impianto di recupero rifiuti speciali a matrice inerte (scorie di combustione) in via Selice, 301/E, nel Comune di Conselice proposto dalla società Officine dell’Ambiente s.p.a. e di tutti gli atti connessi, presupposti e collegati.
2. La Regione e la Provincia nonché la società controinteressata latrice del progetto si erano costituite in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso, mentre era intervenuto ad adiuvandum il comune di Argenta.
3. Con la sentenza gravata il T.a.r., ha in via preliminare:
a) respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle parti originarie ricorrenti (in quanto esposte ad un impianto avente potenziali riflessi negativi sull’ambiente) e dichiarato rituale l’intervento ad adiuvadum del comune di Argenta;
b) sostenuto che la disciplina applicabile alla fattispecie fosse quella contenuta nella legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 (recante la “disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale”) nel testo vigente al momento dell’avvio del procedimento amministrativo (presentazione della domanda da parte della società odierna appellata in data 13 aprile 2011);
b1) ciò in quanto l’articolo 34, comma primo, della successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012, (che aveva modificato la citata legge regionale n. 9 del 1999) prevedeva una disciplina transitoria secondo la quale le procedure di V.I.A. la cui domanda fosse stata presentata prima dell’entrata in vigore della predetta legge n. 3 del 2012 fossero concluse ai sensi delle norme vigenti al momento della presentazione della domanda;
b2) peraltro il decreto legislativo n. 152 del 2006 alla disposizione transitoria di cui all’articolo 35, prevedeva che in attesa dell’emanazione di una legge regionale di adeguamento (intervenuta poi successivamente con legge regionale n. 3 del 2012), trovassero diretta applicazione quelle vigenti in quanto compatibili con le previsioni del medesimo decreto legislativo 152;
c) espresso l’avviso che non potesse ostare a tale approdo la circostanza che il progetto fosse stato modificato nel corso della conferenza di servizi indetta e che si fosse proceduto ad una nuova pubblicazione per consentire potenziali interessati di presentare le proprie osservazioni anche in relazione alle modifiche apportate.
3.1. Nel merito, ha partitamente scrutinato le censure proposte, e le ha respinte; in sintesi, la sentenza impugnata ha:
a) respinto la doglianza (prima censura) incentrata sulla mancata presentazione di un progetto preliminare recante l’esposizione dei motivi della scelta compiuta concernente la localizzazione dell’impianto in quanto il progetto preliminare era previsto dalla legge regionale soltanto nel caso di valutazione di screening e non per la VIA: in ogni caso in ottemperanza alle prescrizioni di cui all’allegato C della legge regionale n. 9 del 1999 la società proponente aveva indicato, nel S.I.A. presentato, le ragioni della localizzazione prescelta evidenziando come l’impianto si inserisse perfettamente nella programmazione territoriale del comune (PSC e RUE) e nel piano provinciale di gestione dei rifiuti (PPGR) della provincia di Ravenna e come la scelta effettuata di utilizzare un’area industriale dismessa fosse diretta anche ad evitare il “consumo” di un ulteriore superficie territoriale potendo altresì utilizzare le infrastrutture civili di cui era già dotato lo stabilimento esistente dismesso, con meri interventi di adeguamento; inoltre detti elementi previsti erano stati riportati nel rapporto ambientale redatto all’esito della conferenza dei servizi sul quale si basa il provvedimento regionale impugnato;
b) disatteso la seconda censura volta a contestare che la Regione avesse ritenuto di pubblica utilità il progetto volto alla realizzazione dell’impianto di recupero di rifiuti speciali a matrice inerte (e sostenendo al contrario, che sussistesse un interesse esclusivamente privato) in quanto l’attività di gestione dei rifiuti è espressamente dichiarata di pubblico interesse dall’articolo 177, comma secondo, del decreto legislativo 152 del 2006;
b1) sostenuto che non fossero applicabili alla fattispecie in esame, le linee guida del piano regionale dei rifiuti di cui alla deliberazione 1147 del 2012 (in quanto adottato in data 3 febbraio 2014 e, quindi, successivamente alla deliberazione regionale n. 24 del 13 gennaio 2014 di approvazione del progetto)
b2) osservato, comunque, che non risultavano violati il principio di autosufficienza e prossimità del luogo scelto come luogo di provenienza delle scorie ( riferito ai soli impianti di smaltimento dei rifiuti e di recupero dei rifiuti urbani non differenziati)ed apparivano sussistenti gli altri criteri previsti per il recupero di particolari tipologie di rifiuti potendosi realizzare gli impianti di recupero nelle aree in cui l’analisi dei flussi dell’impiantistica esistente avesse rivelato delle carenze ovvero delle opportunità di sviluppo, come nel caso in esame in cui l’impianto appariva destinato ad accogliere le scorie prodotte in regione degli impianti di Herambiente s.p.a.;
c) escluso il ricorrere della denunciata violazione dell’articolo 14 della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 il quale prevedeva una pubblicità sul quotidiano diffuso nel territorio interessato, in quanto l’impianto era collocato esclusivamente nel solo comune di Conselice; ne conseguiva che gli enti locali interessati erano soltanto il Comune stesso e la provincia di Ravenna, nel cui territorio insisteva l’impianto, non potendosi dilatare il concetto di “Comune interessato” fino a ricomprendere gli enti locali coinvolti da effetti riflessi;
d) escluso che l’illegittimità degli atti impugnati potesse discendere dalla violazione del termine di conclusione del procedimento in quanto quest’ultimo (sulla cui consistenza di 90 o 120 giorni v’era contrasto) comunque non era perentorio;
e) escluso la legittimazione attiva della parte originaria ricorrente a dolersi della pluralità di integrazioni progettuali richieste ed effettuate dalla società proponente (in tesi illegittime, ai sensi dell’articolo 15 bis della legge regionale n. 9 del 1999) trattandosi, di disposizione a garanzia del proponente (come, del resto, quella sui termini massimi di conclusione del procedimento) mentre la posizione sostanziale dei soggetti interessati alla procedura di V.I.A. era stata garantita dalla rituale ripubblicazione che avrebbe consentito agli interessati di proporre, eventualmente, le proprie osservazioni sulle modifiche apportate;
f) respinto la sesta censura (incentrata sulla mancata convocazione alla conferenza di servizi di altri Comuni ritenuti interessati nonché delle province limitrofe) in quanto l’articolo 208, comma terzo, del decreto legislativo 152 del 2006, nel testo vigente alla data di attivazione della conferenza di servizi, faceva riferimento, ai fini della partecipazione, agli enti locali sul cui territorio doveva essere realizzato l’impianto e peraltro ai sensi dell’articolo 14 della 241 del 1990 era prevista la partecipazione alla conferenza di servizi solo per le amministrazioni chiamate ad esprimere intese, concerti, nullaosta o atti di assenso: nel caso in esame avevano partecipato alla conferenza di servizi oltre al comune di Conselice, anche la provincia di Ravenna e l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna, nonchè, in via istruttoria, l’AUSL, l’ARPA ed il Consorzio di Bonifica e non dovevano essere convocati, né i comuni di Imola ed Argenta né le province di Ferrara e Bologna che, non potevano vantare neppure un interesse riflesso ( quale un mero aumento del traffico veicolare, che era stato ritenuto, comunque, ambientalmente non significativo);
f1) escluso che dovesse essere comunicato un avviso di avvio del procedimento alle società originarie ricorrenti, ai sensi dell’articolo 14 ter della legge n. 241 del 1990 secondo cui dovevano partecipare alla VIA soltanto le amministrazioni competenti ed il soggetto proponente: tale società, come chiunque altro interessato, avrebbe potuto presentare le proprie osservazioni ed a tal fine erano previste forme di pubblicità, tra cui anche la pubblicazione sui quotidiani locali;
g) dichiarato infondato in fatto l’ottavo motivo di ricorso con il quale si era sostenuto che il provvedimento AIA avrebbe consentito uno stoccaggio per un periodo di sei mesi permettendo, senza alcuna motivazione tecnica, la ricostituzione dell’attività di “messa riserva”, in quanto il provvedimento di VIA aveva previsto una durata massima del trattamento di rifiuti (R5) pari a sei mesi e non aveva autorizzato la “messa riserva” che è una forma di stoccaggio denominata “R13” per i rifiuti destinati al recupero;
h) respinto (capo 17 della sentenza) la complessa macrocensura di eccesso di potere per difetto di istruttoria e falso presupposto di fatto, avendo richiamato l’articolo 11, comma 1°, della legge regionale n. 9 del 1999 laddove si prevedeva che i progetti assoggettati a V.I.A. fossero corredati di un SIA contenente tutte le informazioni di cui all’allegato C) della medesima legge regionale, e che il rapporto ambientale del 29 luglio 2013 (non affetto da irragionevolezza aveva evidenziato l’assenza di “alcun contrasto con gli strumenti di pianificazione territoriale, urbanistica e di settore né con i vincoli derivanti dalla normativa di settore vigente”;
h1) in particolare, ha fatto presente che:
I) nel detto rapporto ambientale del 29 luglio 2013 era stata esaminata l’interferenza delle opere sulla componente flora e fauna ed evidenziato che il recupero di infrastrutture esistenti sul sito consentisse di evitare il “consumo” di ulteriore superficie territoriale;
II) l’allegato C) della legge regionale n. 9 del 1999, alla lettera i), nel testo vigente alla data della presentazione del progetto e, quindi, applicabile alla fattispecie in esame, prevedeva che il SIA indicasse le misure di mitigazione di compensazione, naturalmente se ritenute necessarie;
III) contrariamente a quanto sostenuto nel 9° e 13º motivo, tali opere di mitigazione erano state previste nell’elaborato 11 del SIA ed inoltre le puntuali prescrizioni contenute nel VIA avevano comunque la medesima finalità di ridurre potenziali fattori di impatto ambientale;
IV) sebbene una specifica procedura di VIS non era prevista dall’allegato C) della citata legge regionale n. 9 del 1999, nel testo vigente alla data di presentazione del progetto- neppure erano ravvisabili le dedotte carenze in ordine alla valutazione dell’impatto sulla salute umana, ed anzi un’approfondita analisi era stata dedicata alle emissioni in atmosfera in fase di esercizio ed a tutte le problematiche di interferenza con la salute umana come pure era stata valutata la c.d. “opzione zero” e le possibili alternative di localizzazione del progetto che avevano condotto al responso che il sito prescelto risultava il più idoneo per l’impianto tenuto conto della destinazione dell’area ad attività industriali e della scelta di non consumare ulteriore superficie territoriale riutilizzando sito dismesso;
i) disatteso la doglianza incentrata sulla omessa partecipazione della AUSL, in quanto -sebbene corrispondesse al vero che la deliberazione regionale evidenziava la mancata acquisizione di un formale parere finale di questa e che la stessa non aveva partecipato alla riunione conclusiva della conferenza dei servizi del 23 giugno 2011- si trattava di una presenza non necessaria e di un mero apporto istruttorio e, quindi, un parere finale non era richiesto, e comunque la partecipazione della AUSL, in via istruttoria emergeva dalle richieste di integrazioni progettuali ed il sostanziale assenso dell’AUSL risultava dall’affermazione del responsabile, trasmesso in via informatica, il quale riferiva che “per quello che riguarda la V.I.A. direi che non ho prescrizioni da proporre” ;
l) respinto l’11º motivo di ricorso rilevando che non erano sussistenti le dedotte carenze istruttorie in ordine alla valutazione dei cosiddetti “ impatti cumulativi”, come pure era stata valutata la c.d. “opzione zero” e le possibili alternative di localizzazione del progetto che avevano condotto al responso che il sito prescelto risultava il più idoneo per l’impianto tenuto conto della destinazione dell’area ad attività industriali e della scelta di non consumare ulteriore superficie territoriale riutilizzando sito dismesso;
m) respinto il 12 ° e 14° motivo di ricorso secondo cui non era stato omesso l’inquadramento socio – economico della componente agricola ed agroalimentare della zona interessata, in quanto il quadro delle condizioni socioeconomiche della provincia di Ravenna e in particolare della zona limitrofa all’area interessata dall’insediamento nonché i potenziali impatti su queste dovute alla realizzazione dell’impianto in contestazione costituiva proprio il contenuto dell’elaborato 10 del SIA denominato “quadro ambientale: sistema insediativo e condizioni socioeconomiche”
n) escluso che non si fosse trascurato di valutare l’asserita “fragilità alluvionale” dell’area individuata per la localizzazione dell’impianto, tanto che era stata recepita, in sede di approvazione del progetto, la richiesta del Consorzio di Bonifica di inserire, in una specifica tecnica, il progetto per assicurare il controllo degli apporti idraulici dello scolo Zaniolo e tale prescrizione era stata inserita all’interno della VIA e puntualmente recepita al punto 5 della deliberazione regionale n. 24 del 13 gennaio 2014 impugnata; né poteva rilevare in senso contrario la circostanza di fatto sopravvenuta costituita da un allagamento, determinato dalle precipitazioni straordinarie verificatesi nella prima settimana del mese di febbraio 2015 in quanto ascrivibile a diversa scaturigine causale.
4. La parte originaria ricorrente rimasta soccombente ha impugnato la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità.
Ha in particolare riproposto le censure disattese in primo grado, sia pure attualizzandole in relazione alla motivazione contenuta nella decisione impugnata, ed ha sostenuto che:
era errata la individuazione da parte del T.a.r. della normativa applicabile alla fattispecie: la conferenza di servizi si era chiusa nel 2014 e pertanto non poteva applicarsi la previgente disciplina vigente nel 2011 (alla data di inizio dei lavori della conferenza medesima);
a1) ciò anche considerato che il progetto era stato a più riprese (3 volte) modificato in maniera sostanziale, e novativa, quando era già entrata in vigore la legge regionale del 2012 n. 3;
b) ed il progetto (più volte radicalmente e sostanzialmente integrato) non aveva tenuto conto delle prescrizioni della legge regionale del 2012 n. 3;
c) la suesposta critica alla sentenza era armonica alla prescrizione di cui all’art. 208 comma 16 del TU Ambiente ed il T.a.r. aveva del tutto obliato i principi desumibili dalla detta disposizione;
d) risultava violato il disposto di cui all’art. 14 della legge regionale n.9/1999: la pubblicazione sul quotidiano avrebbe dovuto avvenire tenendo presente che il “territorio” interessato era ben più esteso di quello individuato dal T.a.r. e doveva comprendere i comuni viciniori (come peraltro risultava dai lavori di Via che aveva considerato un territorio ben più esteso di quello coincidente con il comune di Conselice;
e) anche la reiezione della censura incentrata sul malgoverno del disposto di cui all’art. 18 comma 7 e 16 comma 1 della legge regionale n.9/1999 e dell’art. 208 commi 8 e 9 del d.Lgs. n. 152/2006 era errata: il termine di conclusione del procedimento non era posto a presidio dei soli interessi del proponente, ed il ritardo in cui era incorsa l’Amministrazione era inequivocabile; parimenti era stato violato l’art. 15 bis della legge regionale n.9/1999 in quanto l’integrazione documentale era stata plurima e non unica come previsto ex lege;
f) tutti i comuni interessati avrebbero dovuto essere convocati alla Conferenza di Servizi (sesto motivo di censura, respinto nel capo 17 della sentenza) ai sensi dell’art. 14 della legge n. 241/1990 e 208 comma 3 del d.Lgs. n. 152/2006: non era possibile limitare la convocazione al comune ove era ubicato l’impianto;
g) il provvedimento finale spiegava effetti anche nei confronti delle parti originarie ricorrenti (come riconosciuto dalla sentenza impugnata) e quindi esse avrebbero dovuto ricevere l’avviso di avvio del procedimento.
4.1. L’appellante ha poi:
a) riproposto l’originario ottavo motivo di ricorso, sostenendo che il capo 16 della sentenza impugnata erroneamente aveva disatteso la censura di cui all’Allegato C lett. Iter della legge regionale n. 9/1999
b) riproposto le doglianze contenute nei motivi da 9 a 16 del ricorso di primo grado disattese ai capi 17 e segg. della sentenza impugnata;
c) contestato la statuizione in punto di regolamento delle spese processuali del giudizio di primo grado;
5. In data 14. 4.2016 la società Officina dell’Ambiente s.p.a si è costituita con atto di stile chiedendo la reiezione del ricorso in appello.
6. In data 23.4.2016 la Provincia di Ravenna si è costituita depositando una memoria e chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.
7. In data 2.5. 2016 la Regione Emilia-Romagna si è costituita depositando una memoria e chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.
8. In data 2.5. 2016 la appellata società Officina dell’Ambiente s.p.a ha depositato una memoria ed ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato
9. Alla adunanza camerale del 5 maggio 2016 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività dell’impugnata decisione la causa su congiunta richiesta delle parti è stata rinviata al merito.
10. In data 29.12.2016 la Provincia di Ravenna ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese e facendo presente che i controlli eseguiti recentemente (mentre il contestato impianto era operante ed a regime) sulle emissioni nell’aria, nell’acqua, e nel suolo provenienti dall’impianto avevano dato atto dell’ avvenuto rispetto da parte della appellata società di tutte le prescrizioni, a testimonianza della insussistenza dei paventati pericoli di compromissione all’ambiente ed agli interessi delle società originarie ricorrenti.
11. In data 29.12.2016 la parte odierna appellante ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
12. In data 2.1.2017 la Regione Emilia-Romagna ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
13. In data 11.1.2017 la Provincia di Ravenna ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
14. In data 12.1.2017 la parte odierna appellante ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
15. In data 12.1.2017 la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
16. Alla odierna pubblica udienza del 2 febbraio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto.
1.1. Preliminarmente il Collegio fa presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015); del pari in via preliminare, si evidenzia che secondo il consolidato canone tempus regit actum non spiegano rilievo nella presente controversia gli esiti dei controlli disposti ed eseguiti successivamente ai fatti di causa dalla Provincia di Ravenna e da questa depositati in vista della odierna pubblica udienza.
2. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), è evidente che in ordine logico è prioritario lo scrutinio del primo motivo dell’appello principale nell’ambito del quale si censura la sentenza suindicata per avere affermato che la legge ratione temporis applicabile alla procedura fosse quella (contenuta nella legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 recante la “disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale”) vigente al momento della presentazione della istanza (13 aprile 2011) e non invece la successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012 che aveva in parte modificato il testo della legge n. 9 del 1999.
2.1. Ad avviso dell’appellante il T.a.r. avrebbe dovuto tenere conto del fatto che:
a) la società latrice dell’istanza aveva modificato in maniera novativa e rilevante il progetto per ben tre volte;
b) il procedimento era terminato soltanto nel gennaio del 2014.
2.1.1. Tali emergenze sostanziali, quindi, imponevano l’applicazione della “novella” di cui alla successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012.
2.2. Premesso che la detta censura è certamente ammissibile perché l’appellante ha interesse a sollevarla in quanto “passaggio” prodromico indispensabile per affermare che il procedimento de quo era viziato per inosservanza dei precetti di cui alla citata legge regionale superveniens n. 3 del 2012, osserva in proposito il Collegio che la stessa non appare suscettibile di positiva delibazione in quanto:
a) proprio l’articolo 34, comma primo, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012 della quale si invoca l’applicazione (e che ha modificato la citata legge regionale n. 9 del 1999) perimetra temporalmente la propria efficacia prevedendo una disciplina transitoria secondo la quale le procedure di V.I.A. la cui domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore della medesima legge sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento della presentazione della domanda (id est: ai sensi della legge regionale n. 9 del 1999 nel suo testo primigenio ed antecedente alle modifiche apportate proprio dalla legge regionale n. 3 del 2012 );
a1) la disposizione di cui all’art. 34 della legge regionale n. 3 del 2012 infatti, così prevede al comma 1: “Le procedure di verifica (screening) e le procedure di V.I.A. la cui domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore della presente legge sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento della presentazione della domanda.”.
b) le argute obiezioni di parte appellante, (secondo cui era stata presentata una istanza “fittizia” ed incompleta al solo scopo di eludere i più stringenti obblighi previsti dalla legislazione regionale superveniens rappresentata proprio dalla legge n. 3 del 2012) sono inaccoglibili in quanto:
I) si fondano su non provate congetture;
II) non è dato conoscere come la istante avrebbe potuto, al momento della presentazione della istanza, conoscere nei dettagli il futuro testo di una novella legislativa, e preordinarne in tal modo l’elusione;
III) a fronte del chiaro dettato dell’art. 34 della legge regionale n. 3 del 2012, e della dizione omnicomprensiva ivi contenuta simili considerazioni – anche ove provate – sarebbero recessive.
2.3. Il vero è che (con lungimiranza, ad avviso del Collegio) il Legislatore regionale, conoscendo che i procedimenti del tipo di quello per cui è causa hanno consistente durata, ha voluto dettare una disposizione che valesse a disinnescare in partenza i dubbi circa la legge applicabile al procedimento de quo (distinto in più fasi) onde evitare le problematiche interpretative complesse poste dal canone del “tempus regit actum” c.d. “infraprocedimentale”.
2.3.1. Gli arresti giurisprudenziali citati dall’appellante, non trovano applicazione al caso di specie, proprio in virtù di detta norma della legge regionale n. 3 del 2012; laddove si consideri che neppure l’appellante solleva alcuna censura sulla disposizione di cui all’art. 34, né deduce che la stessa violi canoni e principi costituzionalmente rilevanti (né il Collegio simili vizi ravvisa ex officio) può concludersi per la infondatezza della doglianza.
2.3.2. Parte appellante cita, a conforto della propria tesi, la disposizione di cui all’art. 208 comma 16 del d.Lgs. n. 152/2006 (“Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale”) che ha dettato una norma transitoria del tutto diversa (ed opposta) rispetto al citato art. 34 della legge regionale n. 3/2012; tuttavia neppure tale indicazione giova a parte appellante in quanto:
a) o si sostiene (e neppure parte appellante si spinge a ciò) che il principio di diritto intertemporale dettato dal Legislatore nazionale spiega una valenza nodale al fine della concreta protezione del bene-ambiente e che pertanto la disposizione di legge regionale che detta un principio speculare ed inverso sarebbe sospettabile di illegittimità ex art. 117 comma 1 lett. S della Carta Fondamentale;
b) oppure non resta che prendere atto della circostanza che il Legislatore regionale ha privilegiato un criterio regolatore del periodo transitorio differente da quello prescelto dal Legislatore nazionale, e che tale legittima opzione conduce a conclusioni del tutto difformi da quelle patrocinate dall’appellante.
2.3.3. Il Collegio ritiene esatta proprio tale ultima opzione ermeneutica, per cui tale articolazione della censura va disattesa, come del pari va disatteso l’argomento connesso fondato sull’ art. 184 ter del d.Lgs. n. 152/2006; come prima rilevato, il citato art. 34 della legge regionale n. 3/2012 fa esclusivo riferimento alla “avvenuta presentazione della domanda” e non legittima alcuna indagine circa il “grado di completezza” della domanda medesima: le supposte carenze attingenti il progetto allegato non possono quindi rilevare al fine della individuazione della legge applicabile.
3. Rimasto smentito il primo caposaldo della critica appellatoria, come sopra individuato, ed una volta confermato il convincimento del T.a.r. secondo cui la legge applicabile al procedimento de quo si rinviene nel testo della legge regionale n. 9 del 1999 antecedente alle modifiche apportate dalla legge regionale n. 3 del 2012, unicamente con riferimento a queste ultime quindi, si svolgerà lo scrutinio del Collegio, essendo infondate per tabulas censure di violazione di legge articolate con riguardo ad una disciplina ritenuta ratione temporis inapplicabile dal T.a.r. con un capo di sentenza ritenuto dal Collegio immune da mende.
3.1. Ciò come si vedrà, implica rilevanti conseguenze in punto di scrutinio dei singoli motivi di appello: parte appellante infatti ha proposto le doglianze individuando quale parametro del dedotto vizio di violazione di legge proprio le disposizioni della legge regionale n. 9/1999 siccome modificate dalla legge n. 3/2012 e soltanto in alcuni casi ha fatto presente che l’operato dell’amministrazione contrastava (anche) con il primigenio testo della legge regionale n. 9/1999: per quanto prima chiarito, lo scrutinio del Collegio sarà limitato a queste ultime ipotesi.
3.2. In particolare osserva il Collegio che:
a) il motivo n. II dell’appello censura il capo 12 della impugnata sentenza e denuncia la violazione dell’art. 14 della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9/1999 il quale prevede una pubblicità sul quotidiano diffuso nel territorio interessato.
b) esso appare intimamente connesso con il motivo n. IV (già sesto motivo del ricorso di primo grado) volto a censurare il capo 14 della impugnata sentenza e pertanto dette due doglianze possono essere esaminate congiuntamente.
3.2.1. Il testo dell’art. 14 della legge n. 9/1999 siccome modificato dalla legge regionale n. 3/2012 è il seguente: “1. Il S.I.A. ed il relativo progetto definitivo sono depositati, a cura del proponente, su supporto cartaceo ed elettronico per sessanta giorni consecutivi presso la Regione, le province ed i comuni nei quali è localizzato il progetto, al fine di garantire, ai sensi dell’articolo 3, l’informazione e la partecipazione del pubblico.
2. L’avviso dell’avvenuto deposito, all’esito positivo della verifica di completezza, è pubblicato nel sito web dell’autorità competente, nel BURERT e, a cura e spese del proponente, su un quotidiano diffuso nel territorio interessato.
3. L’avviso dell’avvenuto deposito deve indicare:
a) il proponente;
b) l’oggetto, la localizzazione ed una sommaria descrizione del progetto;
c) le sedi e gli indirizzi dei siti web ove possono essere consultati gli atti ed i termini entro i quali è possibile presentare osservazioni;
d) i procedimenti compresi e sostituiti.
4. Il progetto ed il S.I.A., corredato dalla documentazione di cui all’articolo 13, comma 3, sono trasmessi su idoneo supporto informatico, a cura del proponente, alle amministrazioni convocate alla conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 18.
5. Le forme di pubblicità di cui al comma 2 tengono luogo delle comunicazioni di cui all’articolo 7 ed all’articolo 8, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990.
6. L’autorità competente pubblica sul proprio sito web la documentazione presentata, ivi comprese le osservazioni, le eventuali controdeduzioni e le modifiche eventualmente apportate al progetto. ”.
L’originario testo del predetto art. 14 era invece quello di seguito riportato: (Art. 14. Deposito e pubblicizzazione.)” 1. Il SIA ed il relativo progetto definitivo sono depositati presso la Regione, le province ed i comuni interessati.
2. Nel Bollettino Ufficiale della Regione nonché su un quotidiano diffuso nel territorio interessato, è pubblicato l’annuncio dell’avvenuto deposito, nel quale sono specificati: il proponente; l’oggetto, la localizzazione ed una sommaria descrizione del progetto; l’indicazione dei termini e dei luoghi di deposito.
3. L’autorità competente trasmette, inoltre, il progetto ed il SIA, corredato dalla documentazione di cui al comma 2 dell’art. 13, alle amministrazioni convocate alla conferenza di servizi ai sensi dell’art. 18 e agli enti di gestione di aree naturali protette qualora il progetto interessi il loro territorio.». ”.
L’art. 2 della legge regionale n. 9/1999, invece, recante le definizioni rilevanti ai fini della legge dispone che per comune interessato debba intendersi “i comuni il cui territorio è interessato dalla realizzazione del progetto nonché dal connessi impatti ambientali, relativamente alla localizzazione degli impianti, opere o interventi principali ed agli eventuali cantieri o interventi correlati;”.
Detta definizione contenuta nell’originario testo della legge regionale n. 9/1999non ha subito modifiche ad opera della legge regionale n. 3/2012, e coincide con quello richiamato dalla delibera di Giunta regionale n. 1238 del 15.7.2002 (punto 4.3 che richiama il predetto art. 2 della legge regionale e l’Allegato 1).
3.2.2. Osserva in proposito il Collegio che:
a) la legge n. 9/1999 (per quanto prima rilevato si farà riferimento al testo primigenio, ma in questo caso la soluzione non muterebbe laddove si richiamasse il testo modificato dalla legge n. 3/2012) contiene una netta distinzione tra:
I) comuni interessati;
II) “amministrazioni convocate alla conferenza di servizi”;
b) tale distinzione non vale però a sostenere che il concetto di “comune interessato” sia più ampia di quella di comune convocato alla conferenza di servizi: o meglio, tale spiegazione non esaurisce il senso della distinzione fatta propria dalla legge;
c) ciò in quanto ovviamente, alla conferenza di servizi debbono partecipare amministrazioni diverse dagli enti esponenziali, per cui costituisce illazione quella secondo cui via sia una coincidenza tra l’oggetto della disciplina di cui al primo comma dell’art. 14 e quello di cui al terzo comma della medesima disposizione;
3.2.3. A questo punto, la questione da risolvere ruota sul concetto di comune “interessato” e la definizione dello stesso (contenuta sub art. 2 della legge predetta: “i comuni il cui territorio è interessato dalla realizzazione del progetto nonché dal connessi impatti ambientali, relativamente alla localizzazione degli impianti, opere o interventi principali ed agli eventuali cantieri o interventi correlati; ”) consente di concordare con la opzione interpretativa del T.a.r. secondo la quale non possono considerarsi annoverati nella detta indicazione, e quindi facenti parte del “territorio” interessato, comuni non coinvolti nell’opera a cagione della localizzazione degli impianti, opere o interventi principali ed agli eventuali cantieri o interventi correlati, ma semplicemente in via indiretta a cagione del traffico veicolare (elemento, questo, non a caso unicamente indicato nella procedura di screening unitamente ad altri – quali, esemplificativamente l’influenza dell’opera sul mercato immobiliare dell’area- non certo “centrali”).
3.2.4. Discende da quanto sinora rilevato che:
a) ai fini della pubblicazione sul quotidiano, il riferimento debba farsi al territorio del Comune di Conselice –unico ove insiste l’opera- ed alla Provincia di Ravenna, e, pertanto il motivo di appello n. II è infondato;
b) lo è vieppiù, il motivo di appello n. IV, laddove l’appellante si spinge a sostenere che il concetto allargato di “territorio interessato” da essa patrocinato dovesse comportare che gli enti comunali interessati dall’impatto del traffico veicolare, seppure non sfiorati dalla “localizzazione degli impianti, opere o interventi principali ed agli eventuali cantieri o interventi correlati” dovessero essere invitati alla Conferenza di Servizi.
3.2.5. Contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello non soltanto non v’è contraddizione alcuna tra i capi reiettivi n. 12 e 14 della decisione impugnata (che il Collegio condivide, come sinora chiarito) ed il precedente capo 7 della sentenza medesima, ma anzi, come si chiarirà di qui a poco, gli stessi si integrano perfettamente e conducono alla reiezione anche di tale argomento critico.
3.2.5.1. Come è noto infatti il presupposto perché nel processo amministrativo possa spiegarsi l’intervento è quello di vantare una posizione indiretta e derivata, seppur “minor” rispetto a quella che avrebbe radicato l’interesse a proporre autonomo ricorso( Consiglio di Stato, sez. IV, 23/06/2015, n. 3162 “nel processo amministrativo, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento ad opponendum, non è richiesta la titolarità di una posizione giuridica autonoma coincidente con quella che radica la legittimazione al ricorso, essendo sufficiente che il terzo, indipendentemente dalla circostanza che abbia o non personalità giuridica, sia titolare di un interesse che abbia un suo rilievo giuridico, che valga, comunque, a differenziarlo dalla generalità dei consociati; di conseguenza, basta che l’interveniente possa vantare un interesse di fatto, dipendente da quello azionato in via principale o ad esso accessorio, ovvero sotteso al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli consenta di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso”).
Ciò vale sia per l’intervento ad opponendum, che ad adiuvandum: ma una cosa è affermare la legittimazione all’intervento processuale, altra cosa è cercare di ritrarre da tale affermazione la legittimazione infraprocedimentale che, invece, trova disciplina nella disposizione di legge in proposito dettata.
3.2.5.2. I due concetti non coincidono, ed è bene che ciò accada, anche trovandosi al cospetto di un bene “diffuso” quale l’ambiente: ove si legittimassero presenze infraprocedimentali obbligatorie di soggetti rivestenti interessi indiretti, potenziali, etc, si disegnerebbero procedimenti elefantiaci, tanto complessi da implicare una durata dilatata, e l’assenza assoluta di certezza circa l’effettiva partecipazione di tutti gli interessati.
3.2.5.3. L’argomento critico dell’appellante, in verità, paradossalmente finisce per comprovare la fondatezza della tesi contenuta nell’impugnata decisione in quanto, come è noto, per costante giurisprudenza (tra le tante, si veda T.A.R. Catania, -Sicilia-, sez. I, 24/04/2013,n. 1172) le posizioni del soggetto legittimato a proporre il ricorso e dell’interveniente non devono coincidere, tanto che, si è correttamente rilevato che “è inammissibile l’intervento “ad adiuvandum” spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l’interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che può far valere solo mediante proposizione del ricorso principale nei prescritti termini decadenziali.”.
3.2.5.4. Tale argomento critico va quindi disatteso, e la reiezione si estende ovviamente a quello, derivato, incentrato sul disposto di cui all’art. 208 comma 3 del d.Lgs n. 152/2006 (“3. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1, la regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi. Alla conferenza dei servizi partecipano, con un preavviso di almeno 20 giorni, i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle autorita’ d’ambito e degli enti locali sul cui territorio e’ realizzato l’impianto, nonche’ il richiedente l’autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti. Nel medesimo termine di 20 giorni, la documentazione di cui al comma 1 e’ inviata ai componenti della conferenza di servizi. La decisione della conferenza dei servizi e’ assunta a maggioranza e le relative determinazioni devono fornire una adeguata motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza”) dal quale, semmai, si ricavano argomenti contrarii a quelli patrocinati dall’appellante (la norma suddetta fa riferimento agli “enti locali sul cui territorio e’ realizzato l’impianto”).
3.2.6. Conclusivamente, i motivi di appello nn. 2 e 4 vanno disattesi.
3.3. E non miglior sorte merita il V motivo (volto a censurare il capo 15 della impugnata sentenza) che si esamina immediatamente in quanto si fonda su concetti simili a quelli sinora scrutinati.
3.3.1. Nel detto motivo l’appellante sostiene che dovesse essere inviato l’avviso di avvio del procedimento alle società originarie ricorrenti e che ciò avrebbe dovuto avvenire ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990, mentre il T.a.r. aveva frainteso la censura, respingendola sulla scorta del disposto di cui all’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990
3.3.2. La censura è infondata per più motivi:
a) anzitutto è prevista la pubblicazione del procedimento nelle forme già esaminate;
b) secondariamente, in passato è stato acutamente rilevato (seppur con riferimento ad una procedura espropriativa) che (Consiglio di Stato, sez. IV, 30/06/2005, n. 3444) “appare fuorviante, rispetto alle esigenze di garanzia dei privati interessati dall’approvazione di un’opera pubblica, inserire l’avviso di avvio del procedimento in una fase procedimentale, quale quella di valutazione dell’impatto ambientale, cui non tutti i privati possono essere interessati, anziché effettuare l’avviso al momento dell’avvio del procedimento finalizzato alla realizzazione dell’opera pubblica, quando tutti gli elementi progettandi sono definiti, e nell’ambito del quale trova collocazione la dichiarazione di pubblica utilità della medesima.”);
c) in terzo luogo, la circostanza che la specifica posizione della società odierna appellante sia stata specificamente valutata in sede di valutazione di impatto ambientale in quanto titolare di una attività produttiva, non implica altro che, successivamente, sia stato considerato l’impatto dell’impianto sull’ area, tenendo anche consto degli impianti esistenti: non discende certo da ciò che la posizione della detta società fosse di originario controinteresse, e che questo fosse ex ante percepibile;
d) ai sensi del testo dell’art. 24 del d.lgs. 152/2006 applicabile ratione temporis si prevedeva che “Contestualmente alla presentazione di cui all’articolo 23, comma 1, del progetto deve essere data notizia a mezzo stampa e su sito web dell’autorita’ competente. Tali forme di pubblicita’ tengono luogo delle comunicazioni di cui all’articolo 7 ed ai commi 3 e 4 dell’articolo 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241”;
e) la stessa legge 3/2012 la cui applicazione è stata invano invocata dall’appellante ha previsto (art. 14 comma V della legge n. 9/1999 siccome novellata) che “5. Le forme di pubblicità di cui al comma 2 tengono luogo delle comunicazioni di cui all’articolo 7 ed all’articolo 8, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990.”: è ben vero che tale specificazione non era contenuta nel primigenio testo dell’art. 14 della legge n. 9/1999 che il T.a.r. ed il Collegio hanno ritenuto applicabile alla fattispecie: è ben vero però che laddove si consideri che la stessa legge nazionale considerava assorbente la forma di pubblicità “collettiva” mediante pubblicazione, nel medesimo senso debba essere interpretato il disposto di cui all’art. 14 della legge regionale n. 9/1999 suddetto.
3.3.3. Anche la quinta censura contenuta nell’appello va pertanto disattesa.
3.4. Maggiore attenzione merita la disamina del motivo n. III dell’appello, laddove si censura il capo 13 della impugnata sentenza e si denuncia la pluralità di integrazioni progettuali richieste ed effettuate nel corso del procedimento e, per conseguenza, la supposta violazione dell’articolo 18 e dell’articolo 15 bis della legge regionale.
3.4.1. Come rilevato in precedenza, l’appellante incentra le proprie critiche su una disposizione della legge regionale n. 9/1999 aggiunta al testo primigenio di quest’ultima dalla legge regionale n. 3/2012 (si fa riferimento all’art. 15 bis) e sul testo del novellato art. 18 della legge regionale n. 9/1999 (novellazione anche qui ascrivibile alla legge regionale n. 3/2012): la affermata circostanza che le modifiche di cui alla legge regionale n. 3/2012 non sono applicabili alla fattispecie per cui è causa, esclude la positiva delibabilità della doglianza, nei termini articolati dall’appellante.
3.4.2. Senonchè, l’appellante ha incentrato le proprie critiche anche sull’antevigente testo dell’art. 13 comma 4 della legge n. 9/1999 che, per quanto si è finora rilevato, è pacificamente applicabile alla fattispecie per cui è causa (“. 4. È in ogni caso facoltà del proponente presentare, per una sola volta, eventuali integrazioni.”) e sull’antevigente testo dell’art. 18 commi 7 ed 8 della detta legge
(“7. I lavori della conferenza di servizi si concludono entro 100 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14. Tale termine è ridotto a 85 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo Il.
8. Nei casi in cui sia necessario procedere ad accertamenti od indagini di particolare complessità, l’autorità competente può prorogare, con propria motivata deliberazione, il termine di cui al comma 7 fino ad un massimo di ulteriori 60 giorni. La proroga si applica anche al termine di cui al comma 1 dell’art. 16.».”) e sulla previsione contenuta negli artt. 208 commi 8 e 9 del d.Lgs n. 152/2006 (“8. L’istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio dell’autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa.
9. I termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento degli elementi forniti dall’interessato.”).
3.4.3. Tale sfaccettatura della censura, in quanto incentrata su disposizioni certamente applicabili ratione temporis alla procedura per cui è causa, è certamente ammissibile.
3.4.4. Il Collegio non ritiene, però, che sia fondata.
La ratio della censura è chiara, e muove dalla premessa che i termini di conclusione del procedimento delineato nelle citate disposizioni siano perentori (vedasi anche art. 16 comma I della legge regionale n. 9/1999 nel testo antecedente alle modifiche intervenute nel 2012 “1. L’autorità competente delibera la valutazione d’impatto ambientale (VIA), entro 120 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14, esprimendosi contestualmente sulle osservazioni, i contributi e le controdeduzioni. Tale termine è ridotto a 105 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo II.
”) e che gli sbarramenti ivi contenuti relativi alla possibilità per il richiedente di integrare la documentazione sottesa alla istanza in ipotesi di ravvisata incompletezza della stessa siano tassativi.
3.4.5. Così tuttavia non è in quanto:
a) con riferimento ai termini di conclusione del procedimento, è la stessa disposizione nazionale invocata dall’appellante (art. 208 del d.Lgs. n. 152/2006) a stabilire al comma 10 che, in ipotesi di sforamento dei termini, il procedimento non si interrompa né si perima, ma che, al contrario, continui previa attivazione dei poteri sostitutivi governativi (“10. Ferma restando la valutazione delle eventuali responsabilita’ ai sensi della normativa vigente, ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”);
a1) analoga prescrizione è contenuta nel comma II dell’art. 26 del medesimo decreto legislativo n. 152/2006;
a2) pare al Collegio che quanto sopra offra un sicuro referente ermeneutico, nel silenzio in proposito serbato dalla legge n. 9/1999, per ritenere che la critica appellatoria non sia condivisibile;
b) con riguardo alle plurime integrazioni documentali richieste, i commi 3 e 4 dell’art. 13 della legge n. 9/1999 (“3. L’autorità competente può richiedere, per una sola volta, le integrazioni ed i chiarimenti necessari. La richiesta sospende i termini del procedimento.
4. È in ogni caso facoltà del proponente presentare, per una sola volta, eventuali integrazioni.”) effettivamente limitano ad una volta soltanto la possibilità di integrazioni e chiarimenti;
c) è agevole riscontrare, però, che la detta disposizione ove violata, non determini altra conseguenza che quella di un possibile superamento dei termini di conclusione del procedimento;
d) il Collegio ben conosce la giurisprudenza citata da parte appellante (Consiglio di Stato, sez. V, 10/07/2012, n. 4068) peraltro condivisa da qualificata giurisprudenza di primo grado (ex aliis T.A.R. Bari, -Puglia-, sez. I, 29/01/2013, n. 109 “la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale è sottoposta al termine di centocinquanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ai sensi dell’art. 26 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152. L’obbligo per l’ amministrazione preposta di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale costituisce principio fondamentale della materia non derogabile dalle regioni e dagli enti delegati.”) senonchè:
I) la circostanza che i termini siano perentori implica che (come acutamente colto dal T.a.r.) l’interessato possa agire ex artt, 31 e 117 nei confronti dell’Amministrazione;
II) seppur però si possa concordare con l’appellante circa la considerazione che i termini ivi previsti non siano dettati nell’esclusivo interesse del richiedente, ma rispondano anche ad un generale interesse collettivo di celerità, la circostanza che sia previsto un potere sostitutivo statuale implica che in nessun caso (e quindi neppure laddove il superamento dei termini sia dipeso dalla necessità di procedere più volte a richiedere integrazioni e chiarimenti) si possa verificare l’interruzione/estinzione del procedimento senza che sia intervenuta la pronuncia finale;
III) invero, è stato a più riprese in passato affermato che (T.A.R. Potenza, -Basilicata-, sez. I, 16/04/2010, n. 204) “Il potere sostitutivo è collegato a posizioni di controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che può essere esercitato dallo Stato o dalla Regione soltanto in relazione ad attività rispettivamente regionali e locali di carattere obbligatorio, sostanzialmente prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), sia perché sottoposte per legge a termini perentori, sia per la natura degli atti da compiere, la cui obbligatorietà costituisca il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia è preordinato l’intervento sostitutivo; si tratta, quindi, di un potere strumentale rispetto all’esecuzione o all’adempimento di obblighi ovvero rispetto all’attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi preminenti in grado di permettere allo Stato o alla Regione, quando ricorrano le necessarie condizioni di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare, in via del tutto eccezionale, la separazione delle competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali”;
IV) ed a tale proposito, si rammenta che la giurisprudenza ha avuto occasione di soffermarsi in ordine alla avvenuta – o meno- consumazione del potere in origine attribuito ad una data Autorità, allorquando si verifichino i presupposti per l’esercizio di poteri sostitutivi, stabilendo che il mero inverarsi del presupposto di legge (nel caso di specie scadenza dei termini) non implichi l’avvenuta consumazione del potere in capo all’Autorità originariamente individuata qual competente a provvedere, mentre la detta consumazione si verifica invece laddove l’Autorità deputata all’esercizio del potere sostitutivo si insedi, e soltanto da quel momento (T.A.R. Catanzaro, -Calabria-, sez. II, 21/01/2016, n. 114 con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo da parte del commissario ad acta );
V) analoghe considerazioni circa la non consumazione del potere e/o illegittimità dell’atto finale “legata” al superamento dei termini infraprocedimentali, si desumono dall’art. 23 comma IV del d.Lgs n. 152/2006 (“4. Entro trenta giorni l’autorita’ competente verifica la completezza della documentazione e l’avvenuto pagamento del contributo dovuto ai sensi dell’art. 33. Qualora l’istanza risulti incompleta, l’autorita’ competente richiede al proponente la documentazione integrativa da presentare entro un termine non superiore a trenta giorni e comunque correlato alla complessita’ delle integrazioni richieste. In tal caso i termini del procedimento si intendono interrotti fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti e, l’istanza si intende ritirata. E’ fatta salva la facolta’ per il proponente di richiedere una proroga del termine per la presentazione della documentazione integrativa in ragione della complessita’ della documentazione da presentare”) e dal successivo art. 24 comma 9 (“9. Entro trenta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 4, il proponente puo’ chiedere di modificare gli elaborati, anche a seguito di osservazioni o di rilievi emersi nel corso dell’inchiesta pubblica o del contraddittorio di cui al comma 8. Se accoglie l’istanza, l’autorita’ competente fissa per l’acquisizione degli elaborati un termine non superiore a quarantacinque giorni, prorogabili su istanza del proponente per giustificati motivi, ed emette il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla presentazione degli elaborati modificati”);
VI) ne consegue che, in carenza di esercizio del potere sostitutivo da parte dell’Autorità Statuale l’avvenuto superamento dei termini non vizi l’esercizio del potere da parte dell’Autorità regionale.
In conclusione, appare condivisibile il principio ricavabile da qualificata giurisprudenza secondo cui nella materia in oggetto è comunque preminente l’interesse alla conclusione del procedimento tanto che, si è affermato (T.A.R. Trieste, -Friuli-Venezia Giulia-, sez. I, 11/03/2010, n. 170 ) “il formarsi di un silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale per inerzia della p.a. è impedito dalla facoltà, che deve ritenersi concessa al privato, ai sensi dell’art. 5, d.Lgs. n. 112 del 1998, di eccitare i poteri sostitutivi del Consiglio dei ministri, previsti da tale norma”.
3.4.6. Ad abundantiam può poi evidenziarsi che la correttezza del ragionamento sinora seguito è comprovata, ex post, proprio dal testo della disposizione di cui all’art. 15 bis della legge n. 9/1999, introdotta dalla legge n. 3/2012 e che, come si è già visto, è inapplicabile alla odierna vicenda procedimentale e processuale. Tale disposizione, infatti, così prevede: “1. L’autorità competente può richiedere al proponente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 15, comma 1, in un’unica soluzione, integrazioni alla documentazione presentata, con l’indicazione di un termine per la risposta che non può superare i quarantacinque giorni, prorogabili, su istanza del proponente, per un massimo di ulteriori quarantacinque giorni. L’autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla presentazione della documentazione integrativa. Nel caso in cui il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni da parte dell’autorità competente, non presentando gli elaborati modificati, o ritiri la domanda, l’autorità competente non procede all’ulteriore corso della valutazione.
2. Il proponente può chiedere, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 15, comma 1, per una sola volta, di modificare gli elaborati, anche a seguito di osservazioni o di rilievi emersi nel corso dell’istruttoria pubblica o del contraddittorio di cui all’articolo 15, commi 3 e 4. Se accoglie l’istanza, l’autorità competente fissa per l’acquisizione delle modifiche un termine non superiore a quarantacinque giorni, prorogabili, su istanza del proponente per giustificati motivi, per un massimo di ulteriori quarantacinque. Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale è adottato entro novanta giorni dalla presentazione degli elaborati modificati.
3. L’autorità competente, ove ritenga che le integrazioni e le modifiche apportate ai sensi dei commi 1 e 2 siano sostanziali e rilevanti per il pubblico, dispone che il proponente depositi copia delle stesse per sessanta giorni su supporto cartaceo e contestualmente ne dia avviso con le modalità di cui all’articolo 14. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione del progetto emendato chiunque abbia interesse può prendere visione del progetto e del relativo S.I.A. e presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi in relazione alle modifiche apportate agli elaborati ai sensi dei commi 1 e 2. In questo caso, l’autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni.”.
La sola circostanza che il Legislatore regionale del 2012 abbia sentito la necessità di dettare una norma puntuale sì stringente, sotto il profilo della tempistica, comprova ex post che il testo originario della legge n. 9 del 1999 (l’unico, si ripete, applicabile alla odierna vicenda processuale) non contemplava una simile possibilità.
3.4.7. In ultimo, la tesi di parte appellante non appare condivisibile in quanto accomuna le modifiche/integrazioni progettuali rese dall’impresa motu proprio, e quelle richieste dall’Amministrazione procedente: a tutto concedere, la critica appellatoria potrebbe avere senso laddove ci si trovi in presenza di un progetto originariamente incompleto, (laddove la incompletezza sia “imputabile” alla società istante) che rese necessaria la presentazione di integrazioni: detta critica invece non regge laddove le modifiche/integrazioni si siano rese necessarie in corso di procedimento, ed a cagione delle osservazioni dell’Amministrazione procedente posto che tale “evento” è la conseguenza “propria” e fisiologica dell’interlocuzione dell’Amministrazione e che, di converso, una simile interpretazione renderebbe frustraneo proprio tale rapporto dialogico che la norma mira a perseguire.
Argomentando diversamente, si renderebbe l’Amministrazione arbitro di una possibile interruzione del procedimento, attraverso l’escamotage di una plurima richiesta documentale (in teoria anche indebita, ultronea, etc).
La doglianza deve pertanto essere disattesa.
3.5. Venendo adesso all’esame del VI motivo di appello, (volto a criticare il capo 16 della impugnata decisione che ha respinto l’originario ottavo motivo del ricorso di primo grado) l’appellante sottolinea il fraintendimento, da parte del T.a.r,, della originaria censura, e ribadisce che la Conferenza di Servizi autorizzando la società proponente (ed andando oltre alla richiesta dalla stessa presentata) a detenere i rifiuti in trattamento R5 per un periodo fino a sei mesi avrebbe violato l’allegato C lett. I ter della legge n. 9/1999 (”i-ter) la descrizione degli elementi culturali e paesaggistici eventualmente presenti, dell’impatto su di essi delle trasformazioni proposte e delle misure di mitigazione e compensazione necessarie; ”)
3.5.1. Il Collegio ritiene che la censura muova da un fraintendimento in punto di fatto in quanto – come sottolineato dalle parti appellate – il periodo di sei mesi accordato alla ditta proponente ricomprende l’intera fase del trattamento del rifiuto, della quale lo stoccaggio costituisce soltanto un segmento: nella restante parte, il motivo sollecita una revisione critica fondata su considerazioni impingenti sul merito amministrativo e non appare, pertanto, favorevolmente scrutinabile, in assenza della evocazione di parametri di irragionevolezza/abnormità.
3.6. Quanto al motivo di appello n. VII (ove si censurano i capi 17 e segg. della impugnata decisione, laddove sono state respinte le doglianze incentrate sugli asseriti vizi motivazionali e sulle carenze istruttorie alle base delle valutazioni effettuate nel procedimento di VIA) il Collegio non può seguire l’appellante nel percorso disegnato dalla censura per più ragioni:
a) innanzitutto si rammenta che per condivisa giurisprudenza (tra le tante, T.A.R. Parma, -Emilia-Romagna-, sez. I, 30/06/2016, n. 218; Consiglio di Stato sez. V 11 luglio 2016 n. 3059) “il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal Giudice Amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico — amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico — sociale) e privati”; è stato inoltre condivisibilmente rilevato (T.A.R. Venezia, -Veneto-, sez. III, 25/03/2016, n. 311) che “la valutazione d’impatto ambientale, in quanto finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un mero giudizio tecnico, presentando profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall’amministrazione quando non siano manifestamente illogiche e incongrue.”;
b) non volendo decampare da tali principi, si evidenzia che non sussiste alcun vizio di abnormità e/o manifesta irragionevolezza, in quanto:
I) la c.d. “opzione zero” (e cioè quella di allocazione in altro sito dell’impianto) è stata in realtà valutata: non altro senso infatti può darsi alle considerazioni mercè le quali si è rilevato che l’impianto sorgerebbe in area occupata in passato da altro impianto (sebbene dismesso) ed autorizzare ivi l’opera avrebbe consentito di privilegiare un obiettivo (quello di evitare ulteriore consumo di suolo) che certamente rientra nella discrezionalità dell’Autorità procedente;
II) il Sia ha vagliato la circostanza che nell’area erano presenti coltivazioni: non v’è quindi difetto di istruttoria, e la censura si risolve in una critica sull’ampiezza della motivazione (ci si duole che a tale versante di indagine sia stato dedicato soltanto un paragrafo) che non dimostra alcuna illegittimità;
III) è stata nel Sia esclusa la ipotizzabilità di significativi impatti dell’impianto sull’ ambiente circostante, il che induce a ritenere eccessivi i ragionamenti ipotetici dell’appellante in ordine al possibile impatto negativo sulle aziende agricole biologiche e sulla fauna e gli allevanti circostanti;
IV) la fragilità alluvionale dell’area è stata analizzata, e correttamente nella sentenza di prime cure si è dato atto che l’”evento” successivamente verificatosi non manifesta alcuna interferenza causale rispetto all’impianto: la censura si risolve nel ritenere il sito totalmente inadatto ad ospitare qualsiasi genere di impianto, il che contrasta con la vocazione, anche urbanistica, del medesimo e sulla presenza in passato di altro insediamento produttivo;
V) in ultimo, è stata valutata sia la presenza di altri insediamenti inquinanti sull’ area che l’impatto sulla salute umana: la valutazione di non significatività delle future emissioni in atmosfera non è stata persuasivamente censurata facendo riferimento a valutazioni scientifiche: ci si limita, anche in questo caso, a dolersi dell’approfondimento motivazionale, denunciando che manca un apposito paragrafo del rapporto ambientale dedicato a tale aspetto, ma come dal T.a.r. osservato la sola circostanza che nel rapporto Aia sono stati indicati limiti alle emissioni smentisce la sussistenza del denunciato vizio di carenza di istruttoria.
4. Con l’ultimo motivo (n.VIII, erroneamente rubricato n. VII) del ricorso in appello, l’appellante società si è doluta della statuizione del T.a.r. in punto di liquidazione delle spese del primo grado di giudizio in quanto l’importo sarebbe stato irragionevole,( € 24.000.//00) e sarebbe stato omesso di condannare anche l’interveniente ad adiuvandum.
Anche tale profilo critico appare infondato, in quanto il primo Giudice ha applicato il criterio della soccombenza: principio risalente quanto condiviso, “la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull’opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)
Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa, dal che discende la reiezione anche di questa censura e la integrale conferma dell’appellata decisione
5. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.
5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).
5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto la parte appellante deve essere condannata in solido al pagamento delle medesime in favore della parte appellata, nella misura che appare equo determinare in complessivi Euro novemila (€ 9000//00)- e quindi euro tremila per ciascuna parte appellata e costituita- oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte appellata nella misura di complessivi Euro novemila (€ 9000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Fabio Taormina

Antonino Anastasi
IL SEGRETARIO