(In)Ammissibilità della c.d. rinuncia abdicativa
1. Il Collegio reputa di dover disattendere la soluzione secondo cui il ricorrente proprietario sarebbe facoltizzato a formulare una domanda di mero risarcimento del danno per equivalente (a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo) e contestualmente rinunciare alla proprietà del bene (abdicando al diritto) ovvero alla sua restituzione. La tesi urta contro un ostacolo giuridico evidente, laddove si riconnette il risarcimento del danno da perdita della proprietà all’esito di un comportamento volontario posto in essere discrezionalmente dal proprietario medesimo. La rinuncia è infatti negozio unilaterale il cui solo effetto è quello dismissivo del diritto di proprietà, mentre l’effetto acquisitivo da parte dello Stato è solo effetto di secondo grado. Né può evidentemente configurarsi un illecito aquiliano dell’Amministrazione, se non nel limitato senso di ipotizzare un diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima temporanea (e cioè dall’inizio dell’occupazione illegittima con trasformazione del bene irreversibile sino alla rinuncia) ovvero ad altri ulteriori pregiudizi da provarsi a cura della parte istante. E’ invece palese che non può essere ricollegato al comportamento illecito dell’Amministrazione il danno da perdita della proprietà legato ad un atto meramente dismissivo, posto che difetta il necessario nesso di consequenzialità diretta imposto dall’art. 1223 c.c.. Si ribadisce infatti che la rinuncia ( la cui sola natura è abdicativa) è negozio unilaterale, con effetto dismissivo automatico, che non può far sorgere un illecito in capo al terzo acquirente a titolo originario (Stato ex art. 827 c.c.), né tanto meno a carico dell’ente espropriante, il cui acquisto avviene semmai in base ad un autonomo titolo provvedimentale (art. 42 bis T.U. Espropri).
2. Dalla illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio sorge (al di là dell’unica ipotesi alternativa costituita dalla possibilità di un contratto traslativo ovvero di un accordo transattivo), unicamente l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, restituendo il terreno con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione temporanea ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR n. 327/2001 e versando il relativo indennizzo/risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati.
Avv. Giovanni Dato
Pubblicato il 12/05/2017
N. 00438/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00338/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 338 del 2015, proposto dai Sigg.ri Gioacchino Scappatura e Angela Nucera, rappresentati e difesi dagli avvocati Aldo De Caridi e Giuseppe Passalia, con domicilio eletto in Gallico di Reggio Calabria, via Marina 47;
contro
Comune di Villa San Giovanni, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ilenia Quattrocchi, con domicilio eletto in Reggio Calabria, via dei Bianchi 3;
per ottenere
la condanna del Comune di Villa San Giovanni alla restituzione, previa riduzione nel pristino stato, del fondo di proprietà dei ricorrenti, individuato nel catasto del Comune di Villa San Giovanni (RC) al foglio 10/B , partt. n. 13 , 14 e 314 (già 13) e detenuto sine titulo;
in subordine, nel caso in cui l’amministrazione si opponga o faccia richiesta di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis del TU in materia di espropriazioni, per la condanna della citata Amministrazione al risarcimento per equivalente;
in ogni caso, per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni per la protratta occupazione senza titolo del bene di proprietà dei ricorrenti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Villa San Giovanni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2017 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Espongono i ricorrenti di essere proprietari in parti uguali di un terreno sito in Cannitello di Villa San Giovanni (Reggio Calabria) – Contrada Ferrito – distinto in catasto alla partita 2623, foglio 10B, particelle n. 13 (oggi in parte 314), 14 e 15, per un totale di mq. 1760 ca.
Deducono che con decreto del Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria del 30 novembre 1987 n. 120, il Comune di Villa San Giovanni veniva autorizzato ad occupare temporaneamente ed in via d’urgenza parte del terreno di proprietà dei ricorrenti identificato con le particelle n. 13 e 14, di ca. mq. 1200, per la costruzione di n. 24 alloggi popolari, giusta delibera della GM n. 341 del 31 maggio 1984.
Il decreto stabiliva la durata dell’occupazione in 3 anni dall’immissione in possesso, fissata, con successivo avviso, per il giorno 8 febbraio 1988.
Contestano che l’occupazione è proseguita senza che intervenisse né alcun provvedimento ablatorio definitivo entro il termine di legge, né alcuna forma di ristoro in proprio favore.
Rappresentano ancora che, di fatto, i lavori di costruzione degli alloggi si sono arrestati al completamento dello stato rustico del fabbricato, come da rappresentazioni fotografiche versate in atti.
I ricorrenti chiedono dunque all’adìto TAR di condannare il Comune di Villa San Giovanni alla restituzione dei terreni in oggetto nella piena disponibilità del legittimo proprietario, previa riduzione in pristino stato; in subordine, laddove l’Ente ricorra al provvedimento ex art. 42 bis T.U. Espropri, chiedono di determinarsi l’indennizzo dovuto ai sensi del prefato articolo, aumentato del risarcimento del danno patito “per la perdita della vista panoramica sul mare dello Stretto di Messina, essendo anche la zona paesaggistica, e per la perdita degli accessi”, oltre a rivalutazione e interessi ovvero comunque il risarcimento per equivalente in esito al pregiudizio prodotto dalla illegittima azione amministrativa.
Si è costituito in data 19 giugno 2015 il Comune di Villa San Giovanni.
L’ente ha contestato il difetto di regolare procura ad litem e dunque l’inammissibilità del gravame; ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, lamentando l’omessa evocazione in giudizio sia dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, sia dell’impresa di costruzioni Mallamaci Vincenzo, da ritenersi effettive controparti rispetto alla domanda proposta.
In via gradata, il Comune ha eccepito l’intervenuto acquisto dei beni per usucapione nonchè l’intervenuta prescrizione della domanda risarcitoria; ha contestato tutte le domande proposte, siccome non provate e genericamente formulate; si è opposto alla richiesta di CTU, come avanzata in ricorso, di cui ha evidenziato la mera finalità esplorativa.
Ha concluso per il rigetto del ricorso.
In data 14 giugno 2016 la parte ricorrente ha depositato atto difensivo con cui ha insistito nella richiesta di CTU, già formulata in ricorso.
La citata istanza è stata rigettata con ordinanza presidenziale n. 564/2016 del 23 giugno successivo.
La causa è stata quindi discussa e trattenuta in decisione all’udienza del 20 aprile 2017.
2. Va innanzitutto disattesa la contestazione avanzata dalla difesa comunale in ordine ad un presunto difetto di procura.
Risulta dagli atti che la procura speciale è stata regolarmente apposta e sottoscritta; mentre la data del rilascio della medesima va collocato presuntivamente quanto meno alla data di notifica del ricorso ed in un momento logicamente anteriore alla notificazione stessa.
Ergo nessuna irregolarità pare ravvisabile.
3. Sempre in via preliminare, il Collegio osserva come la parte ricorrente abbia correttamente evocato in giudizio il soggetto legittimato passivo, individuato nel Comune di Villa San Giovanni
Il Comune è infatti il soggetto titolare nonché responsabile della procedura ablatoria de qua e dunque, a fronte della domanda come formulata in ricorso, è lo stesso Ente che deve rispondere delle conseguenze indotte dalla mancata regolare definizione della procedura nonché della connessa (divenuta) illegittima occupazione del bene.
L’eccezione mossa dalla difesa comunale si fonda sulla avvenuta delega, quanto alla erezione degli edifici ed alla adozione concreta degli atti di esproprio, in favore della Impresa Mallamaci Vincenzo, giusta delibera della Giunta Municipale n. 341 del 31 maggio 1984.
Tuttavia l’avvenuta delega in favore dell’Impresa non consente di individuare quest’ultima quale responsabile della mancata definizione del procedimento, della trasformazione del terreno, nonché dell’occupazione illegittima.
Premesso che non risulta in atti che la mancata ultimazione degli edifici sia dipesa da inadempimento dell’Impresa e che la sentenza menzionata dalla difesa dell’Ente riguarda altra controversia e non può far stato nel presente giudizio, si osserva che eventuali responsabilità addebitabili all’Impresa non possono che rilevare nei rapporti interni esistenti con il Comune.
Nei riguardi del terzo proprietario, invero, unico garante e responsabile dell’esproprio de quo resta esclusivamente l’Ente Comunale, il quale ha deliberato l’intervento di localizzazione e la realizzazione del programma costruttivo di edilizia residenziale.
Lo stesso Comune è per altro il soggetto che ha tutt’ora la disponibilità dell’area, al più potendo configurarsi la ditta costruttrice quale mero detentore per conto altrui del bene.
4. Deve quindi essere rigettata l’eccezione di intervenuto acquisto per maturata usucapione, pure sollevata dal Comune di Villa San Giovanni in sede di costituzione.
Difetta con tutta evidenza una situazione di possesso utile ad usucapionem; e. quando anche esso fosse ravvisabile, non risulterebbe comunque trascorso il termine di legge, posto che il decorso non potrebbe che principiare dalla data di entrata in vigore del D.Lgs n. 327/2001 (cfr. Ad. Plen. 2/2016); mentre non possono ravvisarsi gli estremi per individuare termini acquisitivi abbreviati.
5. Circa poi l’eccezione di prescrizione, essa deve essere qualificata dal Tar e riferita al diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, per quanto sotto si dirà.
Deve dunque essere accolta nei limiti in cui non sono documentati atti interruttivi dall’inizio dell’occupazione illegittima sino al quinquennio antecedente la notificazione del ricorso introduttivo, avvenuto il 21 aprile 2015.
Invero il danno da occupazione illegittima per il periodo successivo alla scadenza del termine di occupazione temporanea legittima, si ricollega ad un illecito permanente, con la conseguenza che l’illecito si rinnova de die in diem e che pertanto il periodo prescrizionale deve essere limitato al quinquennio prescritto dall’art. 2947 1° comma c.c.
Con la conseguenza che, in difetto di atti interruttivi, dovranno essere corrisposti gli interessi dagli ultimi cinque anni precedenti la proposizione della domanda; essendo il diritto al risarcimento dei danni da occupazione temporanea eliso dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio antecedente la notifica del ricorso.
Il tutto come meglio specificato infra al punto 7.
6. Ciò chiarito, la domanda proposta dalla parte esponente deve essere accolta nei termini che appresso si specificano.
Ribadito che, come emerge dagli atti, perdura l’occupazione dei terreni specificati in atti, malgrado siano divenuti inefficaci la dichiarazione di pubblica utilità ed in assenza di alcun decreto di esproprio definitivo, non possono che trarsi le conseguenze giuridiche come professate nell’ambito della recente giurisprudenza amministrativa di questo TAR.
Risulta invero che l’Amministrazione intimata, per mezzo dell’Impresa delegata, abbia occupato i terreni indicati in atti al fine di utilizzarli per finalità di interesse pubblico (intervento di edilizia residenziale pubblica de quo), irreversibilmente trasformando il fondo de quo.
Ne deriva il perdurante obbligo dell’Amministrazione comunale di restituire ai proprietari i terreni illegittimamente appresi, vantando parte esponente il pieno diritto derivante dalla propria titolarità dominicale, come prospettato nella domanda proposta.
L’Amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, non potendosi più concepire il vieto orientamento che predicava la perdita della proprietà mediante rinuncia abdicativa ovvero a seguito della irreversibile trasformazione del bene, a fronte del pagamento del risarcimento per equivalente, come pure richiesto in ricorso seppur in via alternativa alla domanda di restituzione.
Il TAR reputa infatti di dover disattendere la soluzione, pure recentemente sostenuta (v. TAR Calabria Catanzaro n. 708/2017), secondo cui il ricorrente proprietario, sarebbe facoltizzato a formulare una domanda di mero risarcimento del danno per equivalente (a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo) e contestualmente rinunciare alla proprietà del bene (abdicando al diritto) ovvero alla sua restituzione.
La tesi urta contro un ostacolo giuridico evidente, laddove si riconnette il risarcimento del danno da perdita della proprietà all’esito di un comportamento volontario posto in essere discrezionalmente dal proprietario medesimo.
La rinuncia è infatti negozio unilaterale il cui solo effetto è quello dismissivo del diritto di proprietà, mentre l’effetto acquisitivo da parte dello Stato è solo effetto di secondo grado.
Né può evidentemente configurarsi un illecito aquiliano dell’Amministrazione, se non nel limitato senso di ipotizzare un diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima temporanea (e cioè dall’inizio dell’occupazione illegittima con trasformazione del bene irreversibile sino alla rinuncia) ovvero ad altri ulteriori pregiudizi da provarsi a cura della parte istante.
E’ invece palese che non può essere ricollegato al comportamento illecito dell’Amministrazione il danno da perdita della proprietà legato ad un atto meramente dismissivo, posto che difetta il necessario nesso di consequenzialità diretta imposto dall’art. 1223 c.c.
Si ribadisce infatti che la rinuncia ( la cui sola natura è abdicativa) è negozio unilaterale, con effetto dismissivo automatico, che non può far sorgere un illecito in capo al terzo acquirente a titolo originario (Stato ex art. 827 c.c.), né tanto meno a carico dell’ente espropriante, il cui acquisto avviene semmai in base ad un autonomo titolo provvedimentale ( art. 42 bis T.U. Espropri).
Né possono trarsi argomenti dalla sentenza SS.UU. n. 735/2015 (atteso il generico riferimento alla rinuncia abdicativa che suona più come immotivato obiter) ovvero alla nota decisione Ad. Plen. n. 2/2016, nella quale la menzione della rinuncia abdicativa sembra da interpretarsi solo quale evento che, in linea astratta e generale, pone fine all’illecito permanente (si rinuncia al diritto e dunque cessa evidentemente la lesione del diritto stesso) ma non certo come vicenda giuridica che attribuisce direttamente il bene all’Amministrazione a fronte del versamento del controvalore.
Ciò sarebbe possibile, astrattamente, solo all’esito di una vicenda traslativa, che nulla ha a che vedere con l’istituto della rinuncia e che assume i contorni di una fattispecie complessa di natura contrattuale; inammissibile tuttavia, laddove tesa a poggiarsi sul medio di una pronuncia giudiziaria che accerti la cessione del bene dal privato alla P.A..
La funzione giudiziaria diverrebbe invero strumento ancillare rispetto all’esercizio di facoltà discrezionali del privato nonché rispetto ad una forma di circolazione del bene, invero inaudita, che porrebbe per altro serie criticità nei rapporti coi terzi.
Invero, ribadisce il Collegio, dalla illegittima ablazione di un immobile per effetto di un procedimento espropriativo non conclusosi con un regolare e tempestivo decreto di esproprio sorge dunque (al di là dell’unica ipotesi alternativa costituita dalla possibilità di un contratto traslativo ovvero di un accordo transattivo), unicamente, l’obbligo per l’Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, restituendo il terreno con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione temporanea ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR n. 327/01 e versando il relativo indennizzo/risarcimento secondo i parametri ivi disciplinati.
7. Alla luce delle superiori considerazioni, il Comune di Villa San Giovanni deve essere condannato, in via principale, a restituire i terreni occupati nella piena disponibilità del legittimo proprietario, previo ripristino dei luoghi nello stato di fatto originario prima dell’intervento costruttivo.
Il bene dovrà infatti essere riconsegnato al legittimo proprietario libero da persone e/o cose nella sua piena disponibilità.
Il Comune intimato, in uno alla restituzione del bene, deve essere condannato a risarcire il danno da occupazione illegittima temporanea, da quantificarsi negli interessi legali compensativi decorrenti dall’inizio dell’occupazione illegittima e sino all’effettivo rilascio nella disponibilità della parte proprietaria.
Come già ritenuto da questo TAR, tale danno può essere infatti quantificato nella somma risultante dall’applicazione degli interessi legali compensativi sul valore del bene calcolato al momento dello spossessamento, valore da aggiornarsi annualmente secondo gli indici periodici ISTAT.
Più precisamente, in mancanza di prova specifica da parte del danneggiato, deve ritenersi che il risarcimento del danno per il mancato godimento di un immobile, debba calcolarsi assumendo a valore – base quello di mercato del bene e applicando ad esso il tasso di interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività dell’immobile.
D’altra parte, il valore base del suolo deve essere attualizzato anno per anno, con utilizzo dell’indice ISTAT e solo sul relativo risultato deve essere computato il danno per la perdita della possibilità di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità perduti.
A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell’erogazione delle somme, da computarsi anno per anno, partendo dal primo anno di scadenza dell’occupazione sino al soddisfo. (T.A.R. Liguria Genova 1° dicembre 2010 n. 10721; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 17 agosto 2010 n. 3403).
La somma così risultante dovrà essere maggiorata degli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza sino alla restituzione effettiva, ferma tuttavia la prescrizione del risarcimento nei sensi di cui al superiore punto 5).
8. Laddove la parte resistente voglia evitare la restituzione con contestuale ripristino dei luoghi, essa potrà optare, nell’ambito del suo potere discrezionale, alla regolarizzazione postuma della vicenda ablatoria de qua e pertanto perseguire la via della cd. “nuova” acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. Espropri, avendo cura di porre in essere tutti gli adempimenti previsti dal succitato articolo.
Qualora infatti il Comune deliberi di salvaguardare l’opera realizzata e le finanze pubbliche e di provvedere nel senso di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto mediante l’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis del d.P.R. 327 del 2001, l’indennizzo dovuto dovrà essere liquidato secondo gli indicatori fissati dalla predetta disposizione, salvo il potere del giudice civile di verificare se l’indennizzo è stato quantificato congruamente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438).
9. In entrambi i casi sopracitati, il Collegio ha cura di precisare che la stima del valore del bene (da assumere come base di calcolo), è da determinarsi con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione illegittima e dovrà avvenire a cura dell’Amministrazione in contraddittorio con la parte proprietaria, tramite valutazione affidata a perito terzo ed imparziale il quale opererà quale terzo arbitratore, con costi a carico del Comune; dovendosi risolvere ogni eventuale atteggiamento renitente dell’amministrazione in sede di eventuale ottemperanza.
Il che consente di disattendere la richiesta di CTU avanzata dalla parte ricorrente, in quanto allo stato non necessaria.
10. Da ultimo va opportunamente evidenziato che il Collegio non può pronunciarsi sulla determinazione in concreto dell’indennizzo (né sugli ulteriori danni come richiesti in ricorso, tra cui il pregiudizio per la perdita di “vista panoramica”) di cui all’art. 42 bis d. lgs. n. 327/2001, trattandosi di questione, come, noto, rimessa alla giurisdizione del Giudice Ordinario (SS.UU. 15283/2016).
11. Gli adempimenti di cui al superiore punto 7) dovranno essere posti in essere entro il termine di giorni 120 (centoventi) decorrenti dalla notifica della presente sentenza a cura di parte ovvero dalla pubblicazione della stessa.
Il Collegio dispone che il sopra fissato termine potrà essere prorogato o aumentato in caso di istanza di una delle parti ove sussistano giustificati motivi.
Il Collegio si riserva altresì nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione e per la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti per l’accertamento di eventuali profili di responsabilità contabile, qualora si giunga, nel caso di inerzia dell’Amministrazione convenuta, alla proposizione di un ricorso per ottemperanza.
Il Collegio ritiene di fare applicazione dell’art. 34 comma 1 lettera e) del codice del processo amministrativo, per il quale il giudice nel caso di accoglimento del ricorso può disporre anche in sede di cognizione la nomina di un Commissario ad acta, con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza.
A tal fine il Collegio sin da ora nomina, nella qualità di Commissario, il Prefetto di Reggio Calabria (con facoltà di sub delega a personale dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria dal medesimo designato) e disporre che, a cura della segreteria del Tribunale, copia della presente sentenza sia trasmessa al predetto Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, affinché il nominato organo commissariale verifichi se, entro il sopra fissato termine di 120 giorni, sia stato adempiuto agli obblighi di cui sopra e verifichi altresì se il procedimento ex art. 42 bis T.U. Espr. sia stato portato a compimento entro il termine di legge, con trasmissione degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti nel caso in cui non sia intervenuta la conclusiva effusione provvedimentale.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini specificati in parte motiva.
Condanna il Comune di Villa San Giovanni a rifondere le spese di lite in favore della parte ricorrente, che si liquidano in complessivi €. 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Politi, Presidente
Filippo Maria Tropiano, Referendario, Estensore
Angela Fontana, Referendario
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Filippo Maria Tropiano
Roberto Politi
IL SEGRETARIO