Presentazione dell’istanza di sanatoria dopo l’emanazione dell’ordine di demolizione

1 Ricorre l’ipotesi di nuova costruzione anche se le opere sono state intraprese su un preesistente immobile.
2. La presentazione dell’istanza di sanatoria dopo l’emanazione dell’ordine di demolizione non incide su quest’ultimo (se non producendo una temporanea quiescenza, sino alla scadenza del termine di sessanta giorni, ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, per la formazione del silenzio-rifiuto).
3. Il potere repressivo degli abusi edilizi sorge, con carattere vincolato, dall’accertamento della realizzazione di opere prive del prescritto titolo abilitativo e sull’unico presupposto della mancanza di esso, ed è sufficientemente motivato con riferimento alla descrizione dell’abuso, fondandosi su un interesse pubblico che è in re ipsa, coincidente con l’esigenza di ripristino della situazione compromessa dall’illecita attività edilizia; è altresì escluso che l’ordinanza di demolizione debba contenere l’indicazione dell’area che verrà acquisita di diritto al patrimonio del Comune, né è richiesta la previa comunicazione di avvio del procedimento.
4. Il provvedimento che nega la richiesta di concessione in sanatoria è atto vincolato: pertanto, la mancata comunicazione del preavviso di diniego non produce, in base al principio di cui all’art. 21-octies, legge n. 241/1990 effetti vizianti, ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti diversi.
5. La sanabilità postuma dell’opera sotto l’aspetto paesaggistico è esclusa in presenza di nuove superfici o volumi, per l’evidente finalità di preservazione posta alla base della tutela paesaggistica, che impedisce di mantenere nuovi ingombri in zona ove è vietata l’edificazione in assenza di autorizzazione paesaggistica. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la norma riguarda qualsiasi incremento volumetrico, finanche interrato, aggiungendosi che esulano dal concetto solo le opere aventi funzione servente e prive di funzionalità autonoma.

Avv. Giovanni Dato

Pubblicato il 28/11/2016
N. 05522/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01089/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1089 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ortensia Spiezia, rappresentata e difesa dagli avvocati Paola Ammendola e Tommaso Perpetua, con domicilio eletto presso l’avvocato Paola Ammendola in Napoli, Via F. Caracciolo, 15;
contro
Comune di Ottaviano, in persona del Sindaco p.t. legale rappresentante, non costituito in giudizio;
Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta p.t. legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Antimo Gaudino dell’Avvocatura regionale, con domicilio eletto con lo stesso presso la sede dell’Ente in Napoli, Via S. Lucia, 81;
per l’annullamento
(quanto al ricorso)
dell’ordinanza del Responsabile VII Settore del Comune di Ottaviano n. 64/VII prot. 22523/GEN del 24/11/2009, con la quale è stata ingiunta la demolizione delle opere abusivamente realizzate alla Via Pentelete, in difformità sostanziali dalla d.i.a. prot. 19019 del 21/11/2007; del provvedimento prot. 1006744/09 del 18/12/2009 del Dirigente del Settore provinciale del Genio Civile della Regione Campania – Area Generale di Coordinamento LL.PP., con cui è ordinata la sospensione immediata dei lavori; di ogni altro atto, presupposto, conseguente o comunque connesso, se e in quanto lesivo;
(quanto ai motivi aggiunti)
del provvedimento del Responsabile del VII Settore del Comune di Ottaviano prot. gen. n. 2791 del 2/2/2010, recante il diniego della d.i.a. in sanatoria prot. 1089 del 15/1/2010; di ogni altro atto, presupposto, conseguente o comunque connesso, se e in quanto lesivo.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore per l’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2016 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1- La ricorrente insorge avverso il provvedimento con cui è stata ingiunta la demolizione delle opere abusivamente realizzate alla Via Pentelete, in difformità sostanziali dalla d.i.a. prot. 19019 del 21/11/2007, consistenti in:
“1) Realizzazione ex novo del piano cantinato sottostante la porzione dei vani retrostanti”;
“2) Ricostruzione del solaio di calpestio del vano suppennato a quota più bassa di circa 80 cm.”;
“3) Sbancamento del terreno circostante con realizzazione di balconata laterale a quota del solaio di calpestio del piano terra per ml. 21,00 circa e larghezza ml. 1,50”;
“4) Realizzazione in c.c.a. a due rampe di una scala scoperta esterna e realizzazione di tratti di muratura in tufo lungo il confine lato nord e quello ovest della lunghezza complessiva di ml. 31,70 circa e per un’altezza variabile da ml. 2,00 a ml. 3,00 circa”.
Nel contempo, impugna il provvedimento del Genio Civile recante la sospensione dei lavori.
Con i motivi aggiunti è avversato il provvedimento recante il diniego della d.i.a. in sanatoria prot. 1089 del 15/1/2010.
1.1- Nelle censure articolate con il ricorso si sostiene che:
1) la presentazione dell’istanza di sanatoria impone all’Amministrazione di astenersi da ogni iniziativa repressiva, sino alla sua definizione;
2) trattasi di opere assentibili con d.i.a. e per le quali è applicabile la sanzione pecuniaria;
3) le stesse non costituiscono variazione essenziale alla d.i.a. presentata il 21/11/2007, essendo preordinate all’utilizzazione e fruizione ottimale degli interventi in essa compresi, avendo altresì natura pertinenziale che li rende assoggettabili a loro volta a d.i.a.;
4) difetta la motivazione e non sono indicate le norme violate né chiarita la natura e rilevanza dei vincoli paesaggistici;
5) bisognava indicare l’area acquisibile in caso di inottemperanza;
6) occorreva la previa comunicazione di avvio del procedimento.
Il Comune (al quale il ricorso è stato notificato il 28/1/2010) non si è costituito in giudizio.
In data 8/4/2010 la Regione si è costituita in giudizio, svolgendo le proprie difese nella memoria contestualmente depositata.
1.2- Con i motivi aggiunti (notificati al Comune il 12/4/2010 ed alla Regione il 17/4/2010) è stato impugnato il provvedimento con cui è stata rigettata la suddetta d.i.a. in sanatoria.
È dedotto che:
1) la reiezione dell’istanza avrebbe dovuto essere preceduta dal preavviso di diniego (che avrebbe consentito, in particolare, di integrare la documentazione);
2) manca un’adeguata istruttoria, essendosi trascurato che l’intervento non ha natura residenziale e non comporta aumento di volumetria urbanistica;
3) non sono indicate le norme urbanistiche che disciplinano la realizzazione degli interventi edilizi nella zona né enunciate le ragioni di contrasto con esse;
4) sono state compiute valutazioni al più riconducibili all’esercizio del potere di controllo degli abusi e non già alla funzione tipica dell’accertamento di conformità;
5) l’intervento non crea nuovo volume, consistendo nella sostituzione di materiali e nella manutenzione della struttura preesistente, al fine della sua utilizzazione e fruizione ottimale;
6) può essere pertanto conseguita l’autorizzazione paesaggistica postuma;
7) è inintelligibile il rilievo (contenuto nel diniego) secondo cui la d.i.a. in sanatoria non può essere subordinata al ripristino della conformità urbanistica.
2- La causa è stata chiamata all’udienza pubblica dell’11 ottobre 2016 ed assegnata in decisione.
DIRITTO
1- Il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati.
1.1- Vanno innanzitutto esaminati il secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente.
Con essi si sostiene che le opere non costituiscono variazione essenziale alla d.i.a. prot. 19019 presentata il 21/11/2007 e che per le stesse (a loro volta assentibili con d.i.a.) era irrogabile una sanzione pecuniaria.
Le censure sono prive di fondamento.
Benché non sia stata esibita la suindicata d.i.a. (riguardante, secondo la ricorrente, il completamento del fabbricato), risulta che questa concerneva lavori di manutenzione straordinaria (come indicato nel diniego di sanatoria) e che, successivamente ad essa, sono state intraprese una serie di opere che hanno modificato in maniera rilevante la consistenza dell’immobile.
Invero, nella stessa relazione tecnica che accompagna la d.i.a. in sanatoria del 15/1/2010, il professionista incaricato ha evidenziato di aver “trovato uno stato dei luoghi variato rispetto a quando era stata redatta la D.I.A.” (cfr. doc. 4 della produzione della ricorrente), con costruzione di nuove parti consistenti in:
– realizzazione di una scala esterna che conduce al lastrico solare;
– modifica della quota del solaio di calpestio del suppenno, coprendo il locale prospiciente Via Pentelete;
– realizzazione di una balconata in sostituzione dell’aia, di un balcone al primo livello su Via Pentelete e di un terrazzo a quota terreno, con masso rinforzato e sistemazioni esterne, compresa la muratura in tufo delimitante i confini.
Trattasi in tutta evidenza di opere (sanzionate con il provvedimento impugnato) innovative dell’assetto preesistente del manufatto edilizio ed in alcun modo descrivibili quali interventi preordinati all’utilizzazione e fruizione ottimale degli interventi compresi nella d.i.a. presentata (come addotto dalla ricorrente).
Essi concernono, piuttosto, l’alterazione dei volumi esistenti all’interno (con l’abbassamento del piano di calpestio del solaio) e l’introduzione di elementi tipologici nuovi, che modificano la sagoma dell’edificio (scala esterna e balconate).
Non è dubitabile che gli stessi sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione e che, pertanto, per essi fosse richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 380/01 in relazione al precedente art. 3.
Sotto tale profilo, questa Sezione ha già avuto modo di rilevare che ricorre l’ipotesi di nuova costruzione, anche se le opere sono state intraprese su un preesistente immobile (cfr. la sentenza del 7/6/2016 n. 3367: <<il concetto di “nuova costruzione”, rilevante al fine di potersi ritenere avverata una “trasformazione del territorio”, è pacificamente ravvisabile non solo in caso di interventi ricadenti su “aree libere”, ma anche qualora essi si presentino in aggiunta a strutture preesistenti, pur legittimamente edificate>>; cfr., altresì, la sentenza del 19/7/2016 n. 4109: <<nella fattispecie si è trattato di un intervento di trasformazione edilizia del territorio con creazione di nuove superfici e volumi, per il quale indubbiamente necessitava del previo rilascio del permesso di costruire, trattandosi di un intervento di “nuova costruzione” di cui all’art. 3, co. 1, lett. e) del d.P.R. n. 380 del 2001, concetto comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente …>>).
Consegue da tutto ciò che il Comune di Ottaviano ha correttamente fatto ricorso al potere repressivo degli abusi edilizi, dettato dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/01 per le opere prive del permesso di costruire (realizzate, peraltro, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, che vieta la modificazione dello stato esteriore dei luoghi).
1.2- Le ulteriori censure vanno disattese, in quanto:
– la presentazione dell’istanza di sanatoria dopo l’emanazione dell’ordine di demolizione non incide su quest’ultimo (se non producendo una temporanea quiescenza, sino alla scadenza del termine di sessanta giorni, ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01, per la formazione del silenzio-rifiuto; nel caso in esame, l’istanza di sanatoria è stata espressamente rigettata con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti);
– è univocamente affermato che il potere repressivo degli abusi edilizi sorge, con carattere vincolato, dall’accertamento della realizzazione di opere prive del prescritto titolo abilitativo e sull’unico presupposto della mancanza di esso, ed è sufficientemente motivato con riferimento alla descrizione dell’abuso, fondandosi su un interesse pubblico che è in re ipsa, coincidente con l’esigenza di ripristino della situazione compromessa dall’illecita attività edilizia (cfr., da ultimo, la sentenza della Sezione del 27/8/2016 n. 4110: << L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio >> (T.A.R. Campania, sez. II, 30.1.2015, n. 601)”);
– è altresì escluso che l’ordinanza di demolizione debba contenere l’indicazione dell’area che verrà acquisita di diritto al patrimonio del Comune, come anche in tal caso a più riprese statuito da questa Sezione (cfr. la sentenza del 15/7/2016 n. 3549, con richiami, secondo cui “l’individuazione specifica dell’area da acquisire non è un elemento essenziale dell’ordine di demolizione, dovendo piuttosto essere contenuta nell’atto che opera l’acquisizione”);
– non è richiesta la previa comunicazione di avvio del procedimento (cfr, per tutte, la citata sentenza del 27/8/2016 n. 4110: “Invero per giurisprudenza, assolutamente prevalente e condivisa dal Collegio: << Gli atti sanzionatori in materia edilizia, dato il loro contenuto vincolato sia nell’an che nel quid, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento ai sensi dell’art. 7 l n. 241 del 1990 e non richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario. (…)>>).
1.3- V’è da aggiungere che la ricorrente non ha svolto censure avverso l’impugnato ordine di sospensione dei lavori del Genio civile, la cui emanazione è conseguente all’esecuzione di lavori aventi la descritta connotazione ed è dettata (come enunciato dalla Regione nella memoria difensiva) dalla L.R. n. 9 del 1983, che impone in zona sismica il deposito al Genio civile del progetto dei lavori (cfr. la sentenza della Sezione del 21/6/2016 n. 4800: <<Al riguardo osserva il Collegio che a tutela dal rischio sismico, in forza degli artt. 17 e 18 della L. n. 64 del 1974 il privato interessato a realizzare una costruzione, sopraelevazione o riparazione ha l’obbligo di presentare il progetto corredato del calcolo strutturale, a firma di professionista abilitato (ingegnere o architetto), all’Ufficio del Genio civile competente per territorio, il quale, compiuto il prescritto esame, comunica al Comune competente al rilascio del titolo edilizio la propria “autorizzazione”, in assenza della quale i lavori non possono essere intrapresi e portati a termine>>).
2- I motivi aggiunti investono il provvedimento di diniego della d.i.a. in sanatoria, formulato dal Comune argomentando che:
– a prescindere dall’integrazione della pratica (tra l’altro, con la documentazione fotografica dello stato preesistente), la difformità più rilevante si configura nell’utilizzazione residenziale del tetto-suppenno e, per essa, è necessario ripristinare l’originario stato dei luoghi;
– è rinvenibile un aumento di volumetria urbanistica, insuscettibile di conseguire l’autorizzazione paesaggistica postuma, e non può essere accordata la d.i.a. in sanatoria per interventi di ripristino della conformità urbanistica.
Al di là dell’involuta formulazione del provvedimento (messa in rilievo dalla ricorrente), esso si fonda su un presupposto legittimo ed assorbente, resistendo quindi alle censure svolte con i motivi aggiunti, che vanno conseguentemente respinti.
2.1- Quanto alla denunciata violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/90, va osservato che il diniego di sanatoria si fonda sull’inconciliabilità paesaggistica cosicché, stante il suo carattere vincolato, esso non è invalidato dall’omissione del preavviso di cui alla norma invocata (cfr., in tema, Cons. Stato, sez. IV, 25/9/2014 n. 4809: “E’ sufficiente ricordare, in proposito, l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa, a mente della quale il provvedimento che nega la richiesta di concessione in sanatoria è atto vincolato: pertanto, la mancata comunicazione del preavviso di diniego non produce, in base al principio di cui all’art 21-octies, effetti vizianti, ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti diversi (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2714)”; conf., tra le altre, con ulteriori richiami, la sentenza di questa Sezione del 17/9/2015 n. 4564).
2.2- Le altre censure sono principalmente accomunate dalla denuncia del deficit di istruttoria, mirando a sostenere che l’intervento non ha natura residenziale e non comporta aumento di volumetria urbanistica, per cui può conseguire l’autorizzazione paesaggistica postuma (secondo, quinto e sesto motivo).
Le affermazioni sono smentite dall’indubbia realtà dei fatti, che manifesta l’esecuzione di un complesso di nuove opere (come sopra descritte e analizzate), per le quali è esclusa la compatibilità paesaggistica, come rappresentato nel provvedimento.
La richiesta di sanatoria contrasta difatti con quanto previsto dall’art. 167, quarto comma, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004, a tenore del quale la compatibilità paesaggistica può essere accertata, sempre che “i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, (…) non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
La sanabilità postuma dell’opera sotto l’aspetto paesaggistico è dunque esclusa in presenza di nuove superfici o volumi, per l’evidente finalità di preservazione posta alla base della tutela paesaggistica, che impedisce di mantenere nuovi ingombri in zona ove è vietata l’edificazione in assenza di autorizzazione paesaggistica.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la norma riguarda qualsiasi incremento volumetrico, finanche interrato (cfr., di recente, la sentenza della Sezione del 30/8/2016 n. 4124), aggiungendosi che esulano dal concetto solo le opere aventi funzione servente e prive di funzionalità autonoma (cfr. per il comune e generale principio, benché espresso in diversa fattispecie, Cons. Stato, sez. V, 13/3/2014 n. 1272: “integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnicofunzionali della costruzione medesima” (Cons. St., Sez. IV, 15 gennaio 2013, n. 223) e tale non può considerarsi il balcone che non si connoti per una mera funzionalità decorativa”).
Nel caso in esame, si è quindi in presenza di un intervento concretatosi nella realizzazione di volumi e superfici utili prima non esistenti e che non può conseguire l’assenso per la compatibilità paesaggistica, atto necessario presupposto al rilascio del titolo edilizio in sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01.
A ciò consegue l’infondatezza delle censure, essendo stato il diniego di sanatoria legittimamente adottato sulla base dell’impossibilità di rilascio del nulla osta paesaggistico in via postuma.
2.3- Quanto alla mancata indicazione delle norme urbanistiche che disciplinano la realizzazione degli interventi edilizi nella zona, occorre precisare che il diniego è adeguatamente sorretto dalla enunciata preclusione alla compatibilità paesaggistica, che assorbe ogni altra valutazione di ordine strettamente urbanistico.
Inoltre, il diniego è fondato sull’insanabilità delle opere, per cui assolve alla funzione tipica dell’accertamento di conformità (negando la sanatoria richiesta), mentre le affermazioni sulla necessità di ripristinare lo stato dei luoghi rafforzano il concetto e non comportano sviamento dalla funzione tipica.
3- Conclusivamente, alla stregua delle osservazioni che precedono, vanno respinti il ricorso e i motivi aggiunti.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali nei confronti dell’intimato Comune, non costituito in giudizio, ponendo a carico della ricorrente il pagamento degli onorari e delle spese di giudizio in favore della Regione, secondo la regola della soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Nulla per le spese processuali nei confronti del Comune di Ottaviano.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della Regione Campania degli onorari e delle spese di giudizio, che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Donadono, Presidente
Gianmario Palliggiano, Consigliere
Giuseppe Esposito, Consigliere, Estensore