Dichiarazione di pubblica utilità priva dei termini e riparto di giurisdizione

1. La dichiarazione di pubblica utilità priva di termini iniziali e finali per l’avvio e compimento dei lavori e delle occupazioni è da ritenere radicalmente nulla, onde l’occupazione costituisce mero comportamento materiale in nessun modo ricollegabile ad un esercizio abusivo dei poteri della P.A..
2. La controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario allorché ricorra la fattispecie di comportamento della P.A. adottato in carenza di potere a causa della dichiarazione di pubblica utilità priva dei menzionati termini, configurabile, tra le altre, nell’ipotesi in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di pubblica utilità sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (perché, ad esempio, lo stesso non contenga l’indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e dell’opera, richiesta dalla l. n. 2359 del 1865, art. 13, e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale di limitare il potere discrezionale della pubblica amministrazione, al fine di evitare di mantenere i beni espropriabili in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all’ulteriore finalità di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell’azione amministrativa).
3. Nel caso di vizi della procedura espropriativa che rendano quest’ultima giuridicamente inesistente e radicalmente nulla, viene meno il potere espropriativo dell’Amministrazione e l’affievolimento del diritto soggettivo di proprietà sui beni espropriando. Ne consegue una situazione di carenza di potere che incide negativamente sia sul decreto di occupazione temporanea che su quello di esproprio, sia sull’irreversibile trasformazione dell’immobile successivamente, verificatasi i quali, siccome non collegati ad un fine di pubblico interesse legalmente dichiarato, divengono pur essi inidonei a sottrarre alla parte privata la disponibilità del bene. La situazione giuridica venuta a crearsi integra, dunque, mera occupazione-detenzione illegittima dell’immobile privato, costituente illecito permanente, rispetto al quale sono esperibili le azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene, secondo le previsioni degli artt. 2043 e 2058 c.c., con diritto per il proprietario di ottenere dal giudice ordinario, previa disapplicazione degli atti adottati in carenza di potere, la restituzione dell’immobile.

Avv. Giovanni Dato

N. 00473/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02053/2004 REG.RIC.
N. 00827/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2053 del 2004, proposto da:

Morra Alberto, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Gallo, con domicilio eletto in Salerno, via Fieravecchia n.40, presso l’avv. Di Sirio;

contro
Comune di Albanella, rappresentato e difeso dall’avv. Demetrio Fenucciu, con domicilio eletto in Salerno, via Memoli n.12;

sul ricorso numero di registro generale 827 del 2015, proposto da:
Morra Alberto, in persona della procuratrice dott.ssa Alessia Morra, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Gallo, con domicilio eletto in Salerno, via F. P. Volpe n. 36, presso l’avv. Di Sirio;
contro
Comune di Albanella;
per l’annullamento
della delibera di G.C. n. 34 del 5.3.1999, della delibera del Commissario ad acta n. 43 del 24.9.1996, di tutti gli atti connessi e presupposti, nonché per la condanna al risarcimento dei danni da “occupazione cd. usurpativa”, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ed in via subordinata al risarcimento dei danni da “occupazione cd. acquisitiva”, oltre accessori, al risarcimento del danno conseguente alla diminuzione di valore della residua parte del fondo non interessata dalla realizzazione dell’opera, oltre accessori, al risarcimento del danno conseguente alla perdita di n. 17 piante secolari di olivo, nonché al pagamento dell’indennità di occupazione temporanea di urgenza, legittima ed illegittima, oltre interessi e rivalutazione monetaria, e per la condanna alla restituzione delle aree non utilizzate per l’esecuzione dei lavori

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Albanella;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2016 il dott. Ezio Fedullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Espone il ricorrente, con il ricorso n. 2053/2004, di essere unico proprietario del fondo ubicato in Albanella (SA) alla via Roma, esteso ha. 1.37.19, identificato in catasto al foglio 36, p.lla 22, avente destinazione edificatoria siccome ricadente in zona C2 – edilizia residenziale pubblica del P.R.G., adottato a più riprese dal Commissario ad acta e non ancora approvato.
Espone altresì che, con delibera n. 43 del 24.9.1996, il Commissario ad acta del Comune di Albanella, in applicazione dell’art. 51 l. n. 865/1971, approvava un programma costruttivo avente ad oggetto la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria a servizio di un futuro intervento di edilizia residenziale pubblica, approvava il piano particellare di esproprio comprendente anche il fondo di proprietà del ricorrente e dichiarava che l’approvazione del progetto equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità, fissando in anni cinque il solo termine per l’inizio ed il compimento delle operazioni di espropriazione, ma senza fissare quelli per l’inizio e la conclusione dei lavori.
Espone ancora che, con l’impugnata delibera n. 34 del 5.3.1999, il Comune intimato, prima ancora dell’inizio delle opere e sulla scorta della intervenuta adozione (con delibera n. 55 del 22.9.1998) del nuovo P.R.G. oltre che al fine di tenere conto dello studio geologico del dott. Bruno Pacifico, modificava radicalmente il progetto originario approvato con la delibera n. 43 del 24.9.1996, limitando l’intervento concernente Albanella capoluogo ad una sola delle due mini-aree originarie (intervento “B”), riducendo così l’area degli interventi dagli originari mq. 9.996 a mq. 5.304 e prevedendo altresì la realizzazione di 3 lotti in luogo degli iniziali 6, senza peraltro fissare i termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e delle opere, nonostante il carattere innovativo del progetto approvato.
Con decreto n. 4 del 22.3.1999, quindi, il Sindaco del Comune di Albanella disponeva l’occupazione d’urgenza di un’area avente una estensione di mq. 2.077, facente parte della maggiore consistenza di proprietà del ricorrente, indicata in catasto al foglio 36, p.lla 22, ed in data 4.5.1999 l’amministrazione intimata prendeva anche possesso della superficie suindicata, redigendo il relativo verbale di immissione in possesso nonché verbale di stato di consistenza, dal quale risultava la presenza di n. 17 piante di olivo secolari.
Il ricorrente quindi, nel rappresentare che, nonostante la realizzazione di una parte dell’opera progettata, conclusa nel mese di febbraio 2003, l’amministrazione comunale non ha mai emesso il decreto di esproprio, deduce in primo luogo, a sostegno della proposta domanda di annullamento degli atti impugnati, che la delibera di G.C. n. 34 del 5.3.1999, nonostante non abbia ad oggetto l’approvazione di una mera “perizia di variante tecnica e suppletiva”, ma l’approvazione ex novo del progetto di opera pubblica sostitutivo di quello esecutivo approvato con delibera commissariale n. 43 del 24.9.1999, non contiene l’obbligatoria indicazione dei termini per l’inizio e la conclusione delle espropriazioni e dei lavori, ai sensi dell’art. 13 l. n. 2359/1865, trattandosi non dell’approvazione di un piano particolareggiato P.E.E.P., la durata della cui efficacia è fissata ex lege, ma dell’approvazione di un programma costruttivo ex art. 51 l. n. 865/1971 nell’ambito di un Comune dotato di P.R.G. solo adottato, con la conseguenza che la dichiarazione di pubblica utilità in essa contenuta deve considerarsi tamquam non esset e la condotta occupativa dell’amministrazione rientra nello schema della cd. occupazione usurpativa.
Ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi, prosegue il ricorrente, ove si ritenesse che la dichiarazione di p.u. trova la sua fonte nella precedente delibera commissariale n. 43 del 24.9.1996, anch’essa mai notificata come la delibera di Giunta n. 34 del 5.3.1999, nemmeno essa contenendo i termini per l’inizio e la conclusione delle opere (ma solo delle espropriazioni).
Un ulteriore vizio delle delibere suindicate scaturisce poi, allega il ricorrente, dall’omissione della comunicazione di avvio dei procedimento inteso alla dichiarazione di pubblica utilità delle opere, in violazione dei diritti partecipativi dell’interessato.
In ogni caso, viene dedotto in ricorso, l’avvenuta realizzazione di parte delle opere (ovvero delle opere di urbanizzazione, senza realizzare i tre lotti di alloggi) in presenza di una dichiarazione di p.a. invalida o, comunque, dopo la scadenza della stessa, anche assumendo a riferimento la dichiarazione di p.u. contenuta nella delibera commissariale n. 43 del 24.9.1996 (scadente in data 10.10.2001) e considerato che solo con determina n. 289 del 7.8.2002 è stata offerta al ricorrente l’indennità di occupazione, lo legittima a richiedere la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da cd. occupazione usurpativa ed alla restituzione delle aree non utilizzate: in tale contesto, la carenza di potere espropriativo, originaria o sopravvenuta, rendendo inapplicabile l’istituto dell’occupazione cd. appropriativa, impone di fare applicazione dello schema della cd. occupazione usurpativa, con la conseguente spettanza al ricorrente, che dichiara di rinunciare espressamente al risarcimento del danno in forma specifica, del risarcimento per equivalente calcolato in relazione al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
In via gradata, continua il ricorrente, qualora il Tribunale dovesse ritenere che le opere sono state realizzate durante il periodo di vigenza di una valida ed efficace dichiarazione di p.u., determinando l’irreversibile trasformazione del fondo, dovrà ritenersi verificata la fattispecie della cd. occupazione acquisitiva, con la conseguente spettanza al suddetto del diritto al risarcimento del danno, facendo applicazione dei parametri di cui all’art. 5 bis d.l. n. 333/1992, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Viene altresì articolata domanda di condanna risarcitoria con riferimento al danno conseguente alla perdita di valore della parte del fondo non direttamente interessata dall’opera e non più utilizzabile, oltre accessori, nonché in relazione al danno conseguente alla perdita delle 17 piante di olivo secolare insistenti sull’area.
Infine, viene richiesta la condanna dell’amministrazione al pagamento dell’indennità di occupazione temporanea di urgenza, in misura pari ad 1/18 del valore venale del fondo per ogni anno di occupazione, ovvero nella diversa misura che sarà accertata dal giudice adito.
Il difensore del Comune di Albanella si oppone all’accoglimento del ricorso, del quale eccepisce altresì sia l’inammissibilità, perché afferente alla giurisdizione del giudice ordinario, sia la tardività, con riferimento alla domanda di annullamento in esso contenuta.
Con il ricorso n. 827/2015, invece, il ricorrente ha riassunto dinanzi a questo Tribunale, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. amm., il giudizio già instaurato dinanzi al Tribunale civile di Salerno, avente causa petendi e petitum corrispondenti a quelli caratterizzanti il precedente ricorso n. 2053/2004, e conclusosi con la sentenza n. 3935 del 5.8.2014, con la quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Tanto premesso, deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi, siccome perfettamente coincidenti da un punto di vista soggettivo ed oggettivo.
Deve inoltre osservarsi che la statuizione di difetto di giurisdizione adottata dal giudice ordinario non è condivisibile.
Tale conclusione, evidente per quanto concerne la domanda di condanna del Comune intimato al pagamento dell’indennità di occupazione legittima, appare a questo Tribunale ineludibile anche con riguardo alla domanda principale, intesa al conseguimento del risarcimento del danno connesso all’occupazione sine titulo della proprietà del ricorrente e corrispondente, nell’ottica attorea, al valore venale del bene stesso (alla cui restituzione il suddetto dichiara di non avere interesse).
Invero, a prescindere dalla correttezza delle qualificazioni utilizzate dalla parte ricorrente per inquadrare la fattispecie dedotta in giudizio, non vi è dubbio che la domanda articolata principaliter si fondi sulla nullità in radice della dichiarazione di pubblica utilità, perché carente, in modo totale o parziale (a seconda cioè che si abbia riguardo alla delibera di G.C. n. 34 del 5.3.1999 o alla delibera del Commissario ad acta n. 43 del 24.9.1996), della indicazione dei termini per l’inizio e la conclusione delle espropriazioni e dei lavori.
In proposito, non solo il giudice amministrativo è orientato nel senso che “la dichiarazione di pubblica utilità priva di termini iniziali e finali per l’avvio e compimento dei lavori e delle occupazioni è da ritenere radicalmente nulla, onde l’occupazione costituisce mero comportamento materiale in nessun modo ricollegabile ad un esercizio abusivo dei poteri della P.A.” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1133 del 28 febbraio 2012), ma la stessa Corte regolatrice della giurisdizione ha a più riprese affermato la spettanza della controversia al giudice ordinario allorché ricorra “la fattispecie di comportamento della p.a. adottato in carenza di potere a causa della dichiarazione di p.u. priva dei menzionati termini”, configurabile, tra le altre, nell’ipotesi in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (perché, ad esempio, lo stesso non contenga l’indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e dell’opera, richiesta dalla l. n. 2359 del 1865, art. 13, e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale di limitare il potere discrezionale della pubblica amministrazione, al fine di evitare di mantenere i beni espropriabili in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all’ulteriore finalità di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l’interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell’azione amministrativa) (cfr. Cassazione civile, sez. un., n. 832 del 23 gennaio 2012).
I suesposti principi sono stati anche recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. sentenza n. 12179 del 12 giugno 2015), essendosi affermato che “nel caso di vizi della procedura espropriativa che rendano quest’ultima giuridicamente inesistente e radicalmente nulla, viene meno il potere espropriativo dell’Amministrazione e l’affievolimento del diritto soggettivo di proprietà sui beni espropriando. Ne consegue una situazione di carenza di potere che incide negativamente sia sul decreto di occupazione temporanea che su quello di esproprio, sia sull’irreversibile trasformazione dell’immobile successivamente, verificatasi i quali, siccome non collegati ad un fine di pubblico interesse legalmente dichiarato, divengono pur essi inidonei a sottrarre alla parte privata la disponibilità del bene. La situazione giuridica venuta a crearsi integra, dunque, mera occupazione-detenzione illegittima dell’immobile privato, costituente illecito permanente, rispetto al quale sono esperibili le azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene, secondo le previsioni degli artt. 2043 e 2058 cod. civ., con diritto per il proprietario di ottenere dal giudice ordinario, previa disapplicazione degli atti adottati in carenza di potere, la restituzione dell’immobile”.
Sulla scorta dei richiamati principi giurisprudenziali, quindi, ed ai sensi dell’art. 59, comma 3, l. n. 69 del 18 giugno 2009 (“se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito”), deve disporsi la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affinché si pronuncino sul sollevato conflitto negativo di giurisdizione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dispone la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affinché si pronuncino sul sollevato conflitto negativo di giurisdizione ed in particolare affinché affermino la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia introdotta con i ricorsi in esame.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)