Partecipazione “effettiva” al procedimento amministrativo

1. Le norme di cui all’art. 7, l. n. 241 del 1990 non vanno applicate in modo meccanico e formalistico ma devono essere intese nel senso che le memorie ed osservazioni prodotte dal privato nel corso del procedimento amministrativo siano effettivamente valutate dall’Amministrazione ed è necessario che di tale valutazione resti traccia nella motivazione del provvedimento finale; ed inoltre, nell’ambito del procedimento amministrativo, l’onere di motivazione che incombe sulla p.a. in ordine alle “memorie scritte e documenti” presentati dai soggetti di cui agli artt. 7 e 9, l. 7 agosto 1990 n. 241, non è tale da ricomprendere in sé la confutazione punto per punto e analiticamente di tutte le osservazioni e i rilievi ivi formulati dai soggetti interessati, richiedendosi piuttosto che la P.A. dia conto (anche in modo sintetico ma chiaro e comprensibile nello stesso tempo) della ragione sostanziale della decisione maturata tenuto conto dell’apporto collaborativo dei soggetti coinvolti nel procedimento e che della relativa valutazione resti traccia nella motivazione del provvedimento finale.

Avv. Giovanni Dato

N. 00520/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00670/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso, numero di registro generale 670 del 2014, proposto da:
Varano Maria, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Scuderi, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Velia, 96;
contro
Comune di Agropoli, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Manzo Martina, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Lipani, con domicilio eletto, in Salerno, alla via A. Nifo, 2, presso l’Avv. Angela Ferrara;
per l’annullamento
– del provvedimento, prot. n. 0261 del 7.01.2014, successivamente ricevuto, con cui il Responsabile dell’Area Tecnica – Assetto ed Utilizzazione del Territorio – del Comune di Agropoli ha revocato il permesso di costruire, n. 4616/9025 del 15.10.2012;
– della nota, prot. n. 26074 del 21.10.2013, d’avvio del procedimento;
– della nota, prot. n. 31415 del 23.12.2013;
– d’ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2016, il dott. Paolo Severini;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

FATTO
La ricorrente, divenuta proprietaria di un sottotetto alla piazza T. Mainenti del Comune di Agropoli, rappresentava che, il 14.02.2012, aveva presentato istanza di recupero abitativo, ai sensi e per gli effetti della l. R. C. n. 15/2000, e che, esaminati gli atti ed acquisito il nulla osta paesaggistico, il Responsabile dell’U. T. C. aveva rilasciato il permesso di costruire, n. 4616, rub. n. 9025, del 15.10.2012; che, ultimati i lavori (tanto che il sottotetto aveva già funzione abitativa, essendo stato anche arredato), e quando già utilizzava il bene, aveva ricevuto la notifica della comunicazione d’avvio del procedimento per la revoca del permesso di costruire, sul rilievo che il precedente proprietario – Capaldo Giuseppe – avrebbe compiuto abusi, consistiti nell’innalzamento, in un punto, del solaio di copertura, per circa 40 cm.; che aveva fatto pervenire, al Comune, le proprie deduzioni, segnalando che era venuta a conoscenza del problema, solo a seguito della nota comunale e, inoltre, che la ritenuta abusività parziale del locale doveva ritenersi superata, per effetto del provvedimento di dissequestro – operato il 26.08.88 – dall’allora Pretore di Agropoli, emesso a seguito di accertamento tecnico – ai sensi del quale era stato stabilito che: “L’intervento edilizio del Capaldo non ha comportato aumenti di superficie e di volumi”, e aveva chiesto d’archiviare il procedimento. Ma il Responsabile dell’Area aveva, dapprima, inviato la nota, prot. 26074 del 21.10.2013 (con cui si comunicava la non accettazione delle osservazioni presentate) e, poi, il provvedimento di revoca del permesso di costruire, fondato sull’esistenza dell’ordinanza di demolizione, prot. n. 20483 del 29.12.1987. La ricorrente esponeva, dunque, che il precedente proprietario, Capaldo Giuseppe, nel 1987 aveva proceduto – senza richiedere concessione o autorizzazione – alla demolizione e ricostruzione della copertura, abbassando anche il piano di calpestio (corrispondente ad altro, sottostante, appartamento, sempre di sua proprietà) di circa 40 cm; che, per tali lavori, l’allora Assessore all’Urbanistica aveva emanato ordinanza di sospensione lavori, n. 12040 del 16.07.1987; che il suo dante causa aveva quindi presentato, il 22.07.87, richiesta di autorizzazione edilizia in sanatoria, poi rilasciata, con atto n. 2049 del 20.08.1987; tuttavia, eseguiti i lavori, il cantiere era stato oggetto di una nuova verifica, che aveva evidenziato la realizzazione di un piano mansarda, mediante l’abbassamento del solaio di calpestio e l’innalzamento del solaio di copertura, di circa 40 cm.; sicché era stata, dapprima, emessa l’ordinanza di sospensione n. 16677 del 17.10.87 e, poi, l’ordinanza di demolizione, n. 20483 del 29.12.87; che, il 17 ottobre, le opere erano state sottoposte a sequestro, in virtù di provvedimento del Pretore di Agropoli, nell’ambito del procedimento penale, originatosi a carico del Capaldo; la ricorrente rappresentava, quindi, che, in virtù dell’intervenuto sequestro, le opere – rispetto a quelle sanzionate dall’Amministrazione Comunale – non avevano subito modifiche; e che, nel corso del procedimento penale, il Pretore aveva espletato una consulenza tecnica, sulla cui base aveva disposto il dissequestro delle opere, in data 26.08.1988 (sulla base della seguente motivazione: “Ritenuto che dalla disposta perizia tecnica appare certo che l’intervento edilizio del Capaldo non ha comportato aumenti di superficie e di volume e che lo stesso non può avere destinazione diversa da sottotetto non abitabile” – pag. 10 e 11 della perizia); sicché, concluso il procedimento penale con l’assoluzione, il dante causa della ricorrente aveva, evidentemente, ritenuto che i provvedimenti sanzionatori, emessi dall’Amministrazione Comunale, fossero, di fatto, anche essi caducati, al punto tale, da non ritenere necessario presentare domanda di condono (ai sensi della l. 734/94); lo stesso, cioè, aveva “confidato nell’assoluta liceità e legittimità delle opere, assistite dall’autorizzazione in sanatoria n. 2049 del 20.08.87, a questa conformi come statuito in sede penale”; e “ancor di più convinta di ciò” era la ricorrente, subentrata nella proprietà dell’immobile al Capaldo, la quale era completamente estranea alla vicenda, verificatasi nel 1987; tale sua estraneità alla commissione dell’abuso, nonché il lungo lasso di tempo trascorso e la verifica, in sede penale, della conformità di quanto edificato, rispetto all’autorizzazione in sanatoria, n. 2049/87, era stato lo specifico oggetto delle osservazioni, rassegnate, dalla stessa, all’Amministrazione Comunale. Le stesse, peraltro, non erano servite a orientare diversamente il Responsabile dell’Ufficio, il quale aveva adottato il contestato provvedimento di revoca del permesso di costruire, che veniva impugnato per i seguenti motivi:
– I) VIOLAZIONE DI LEGGE (artt. 1 e ss., l. R. C. n. 15/2000, in rel. artt. 10 e ss. d. P. R. 380/01); ECCESSO DI POTERE (difetto assoluto dei presupposti – carenza d’istruttoria – erroneità della motivazione – abnormità – illogicità – perplessità): le opere, sanzionate con l’ordinanza di demolizione, n. 20493 del 29.12.87, erano le stesse, sottoposte a sequestro giudiziario, da parte del Pretore di Agropoli, il 17.10.1987 (esse, infatti, non potevano aver subito modifiche, perché il cantiere era stato sottoposto a sequestro dal 17.10.87 – in data, cioè, antecedente all’ordinanza – e fino al 26.08.88); le stesse opere, per le quali l’Amministrazione aveva ritenuto esserci stato un innalzamento del solaio di copertura di 40 cm. (con la realizzazione di un piano mansarda), erano state sottoposte a una verifica tecnica, su ordine del Pretore, all’esito della quale l’Autorità Giudiziaria aveva accertato che l’intervento edilizio, eseguito dal suo dante causa, non aveva comportato aumenti né di superficie né di volumi e che la struttura – come si presentava – non poteva avere destinazione diversa, da sottotetto non abitabile; la ricorrente evidenziava, quindi, il contrasto tra quanto accertato dall’Autorità Giudiziaria – confortato da perizia tecnica – e quanto sostenuto dall’Amministrazione Comunale, ovvero che v’era stato aumento d’altezza del solaio di copertura, e che era stato realizzato un piano mansarda; quanto al primo elemento, se davvero fosse stato innalzato il solaio di copertura di 40 cm., vi sarebbe dovuto essere necessariamente stato un aumento dei volumi, laddove il volume non risultava incrementato; mentre il secondo elemento era smentito dalla verifica, operata dal consulente del Pretore, che aveva stabilito che l’unica destinazione d’uso possibile del sottotetto era quella di “non abitabile”; la ricorrente affermava che tali circostanze facevano “stato”, ai fini della determinazione della natura abusiva o meno delle opere; per di più il Giudice Penale, sempre in virtù dell’accertamento tecnico, operato dal proprio consulente, aveva accertato che il Capaldo “per le opere oggetto di causa” (ovvero quelle censurate nell’ordinanza di demolizione del 29.12.87) era in possesso di autorizzazione per manutenzione straordinaria, ottenuta in sanatoria dal Sindaco di Agropoli in data 20.08.87, ovvero aveva accertato “la perfetta conformità tra le opere realizzate e quelle assentite in detta autorizzazione”; sicché erano insussistenti, a suo avviso, le condizioni per poter pervenire alla revoca (annullamento) del permesso di costruire, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato;
– II) VIOLAZIONE DI LEGGE (artt. 1 e ss., l. R. C. n. 15/2000 in rel. agli artt. 10 e ss. d. P. R. 380/01); ECCESSO DI POTERE (difetto assoluto dei presupposti – carenza d’istruttoria – erroneità della motivazione – abnormità – illogicità – perplessità): posto che le circostanze di cui sopra erano state palesate, dalla ricorrente, nelle osservazioni, rassegnate a seguito dell’avvio del procedimento, ma che l’Amministrazione non aveva ritenuto di accoglierle, la medesima ricorrente opinava che il Responsabile dell’Area avrebbe dovuto valutare la situazione e annullare l’ordinanza di demolizione, piuttosto che il rilasciato permesso di costruire, il quale si poneva “in perfetta conformità con l’autorizzazione in sanatoria, assentita 27 anni prima in favore del Capaldo”; e, se anche avesse ritenuto che il rilievo, “meramente formale”, dell’esistenza di un provvedimento sanzionatorio si ponesse quale ostacolo al rilascio del permesso di costruire, non avrebbe dovuto omettere di rendere un’opportuna valutazione circa la legittimità o meno dell’ordinanza, “in ragione pure dell’intervenuto consolidamento di un assetto di interessi anche e soprattutto a causa del pregresso comportamento mantenuto dall’Amministrazione”;
– III) VIOLAZIONE DI LEGGE (artt. 1 e ss., l. R. C. n. 15/2000 in rel. agli artt. 10 e ss. d. P. R. 380/01 – art. 7 l. 47/85 – artt. 31 e ss., d. P. R. 380/2001); ECCESSO DI POTERE (difetto assoluto dei presupposti – carenza d’istruttoria – erroneità della motivazione – abnormità – illogicità – perplessità): posto che il potere sanzionatorio dell’Amministrazione non era ovviamente sottoposto a nessun termine di prescrizione, la ricorrente osservava come fosse “altrettanto pacifico che l’applicazione (in tutti i suoi effetti) della sanzione debba avvenire in un termine ragionevole, decorso il quale la P. A. è tenuta a indicare in modo puntuale le ragioni che ancora le impongono di agire a distanza di tempo”; e, nella specie, non poteva ritenersi “che dopo 27 anni non si sia superato il limite della ragionevolezza e che lo stato di inerzia in cui pervicacemente si è adagiata l’Amministrazione non abbia consolidato in capo al privato una posizione che non può essere semplicemente superata”, tanto più ove il comportamento inerte dell’Amministrazione aveva ingenerato, nella stessa ricorrente, “la certezza che la vicenda fosse stata chiusa a seguito del giudizio penale che aveva accertato la piena conformità delle opere a quanto precedentemente autorizzato in sanatoria”;
– IV) VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 21 nonies l. 241/90); ECCESSO DI POTERE (difetto assoluto dei presupposti – carenza d’istruttoria – erroneità della motivazione – abnormità – illogicità – perplessità) – Violazione del giusto procedimento: ai sensi dell’art. 21 nonies (dovendosi, secondo la ricorrente, escludere nella specie la revoca e dovendo, dunque, l’atto essere valutato, alla stregua di un annullamento d’ufficio), l’azione in autotutela andava esercitata: 1) in un termine ragionevole; 2) sussistendo le ragioni di interesse pubblico; 3) tenendo conto degli interessi dei destinatari; ma nella “revoca” non v’era traccia delle ragioni di interesse pubblico, che imponevano l’esercizio dell’autotutela, né s’era operata una valutazione degli interessi della ricorrente, titolare di una posizione più che consolidata, né era stata eseguita una ponderazione degli interessi contrapposti; qualora, poi, si fosse voluto identificare il provvedimento gravato con una vera e propria revoca, la ricorrente poneva in risalto come il permesso di costruire non fosse revocabile, difettando comunque le condizioni, previste dall’art. 21 quinquies della l. 241/90;
– V) VIOLAZIONE DI LEGGE (artt. 7 e ss. l. 241/90); ECCESSO DI POTERE (difetto assoluto dei presupposti – carenza di istruttoria – erroneità della motivazione) – Violazione del giusto procedimento: la ricorrente, nelle osservazioni fatte tenere all’Amministrazione Comunale, a seguito della comunicazione dell’avvio dei procedimento, aveva chiarito “la liceità della struttura sulla quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 4616/2012”; ciò nonostante, in sede di riscontro delle sue osservazioni, il Responsabile dell’Area aveva ritenuto – senza spiegarne i motivi – che la stessa ricorrente non avrebbe dimostrato la liceità del fabbricato esistente, nella zona che riguarda la copertura; laddove v’era la prova che le opere contestate erano quelle, realizzate in virtù dell’autorizzazione del 20.08.87, sicché le stesse andavano ritenute perfettamente lecite.
Il Comune di Agropoli non si costituiva in giudizio, nel quale, invece, interveniva “ad opponendum” Manzo Martina, proprietaria – in virtù di decreto di assegnazione del 12.05.2005, emesso dal G. E. del Tribunale di Vallo della Lucania – dell’appartamento, sito in Agropoli alla piazza T. Mainenti, collocato al piano inferiore rispetto al sottotetto, oggetto del provvedimento impugnato, rilevando come la proprietà dello stesso sottotetto fosse in contestazione, essendo pendenti diverse azioni giudiziarie volte alla dimostrazione che il cespite era, in realtà, di proprietà della stessa interveniente, in quanto compreso nel decreto d’assegnazione di cui sopra; nonché osservando come i lavori, oggetto del titolo edilizio, su cui l’Amministrazione era intervenuta in via di autotutela, avevano procurato danni alla sua proprietà, consistiti essenzialmente in fessurazioni riguardanti i muri perimetrali, il che fondava il suo interesse e la sua legittimazione ad intervenire nel presente giudizio.
Seguiva il deposito di una relazione tecnica, nell’interesse della ricorrente e, nell’interesse dell’interveniente, di documenti (tra cui un avviso di conclusione delle indagini preliminari, a firma del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania, nei confronti, tra gli altri, anche della ricorrente, per reati connessi al rilascio del p. di c. n. 4616 del 15.10.2012 e al sopralluogo effettuato, in data 14.12.2012, dalla Polizia Municipale di Agropoli, presso l’immobile de quo, nonché ad abusi edilizi, segnatamente commessi anche dalla ricorrente, per aver realizzato talune opere in difformità dal citato permesso di costruire, n. 4616/2012) e di una memoria difensiva, nella quale la stessa controdeduceva, rispetto ai motivi di ricorso, rilevando, in particolare, come l’annullamento d’ufficio (piuttosto che revoca), in via di autotutela, del permesso di costruire, rilasciato alla ricorrente nel 2012, s’era reso necessario, in quanto l’Amministrazione aveva riscontrato la falsa rappresentazione, da parte della richiedente, delle condizioni di fatto e di diritto, preesistenti al rilascio del titolo; nonché evidenziando come la ricorrente fosse la nuora di Capaldo Giuseppe, e non una terza acquirente del compendio immobiliare de quo, del tutto estranea alle vicende che l’avevano riguardato.
Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 17.04.2014, la Sezione respingeva la domanda cautelare, sulla base della seguente motivazione: “Rilevato che per la natura del provvedimento impugnato (revoca, rectius annullamento d’ufficio di un permesso di costruire) l’invocata tutela cautelare appare inidonea a garantire, se del caso, la stabile soddisfazione dell’interesse della ricorrente all’edificazione; Rilevato altresì, quanto al “periculum in mora”, che non è stato ordinato alcun ripristino dello stato dei luoghi; Rilevato che la questione va piuttosto decisa, sotto il profilo sostanziale, nella competente sede di merito”.
Seguiva il deposito, nell’interesse della ricorrente, di una memoria di replica alle argomentazioni, esposte dall’interveniente “ad opponendum”.
All’esito della pubblica udienza dell’8.01.2015, la Sezione osservava che l’Amministrazione Comunale di Agropoli aveva omesso di produrre, come stabilito dall’art. 46 cpv. c. p. a., il provvedimento impugnato, nonché “gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio”; ritenuto, pertanto, che tale produzione fosse necessaria, e che, alla stessa, dovesse accompagnarsi la trasmissione al Tribunale, nel termine perentorio di giorni sessanta, decorrente dalla comunicazione in via amministrativa ovvero dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della stessa ordinanza, di una documentata relazione di chiarimenti, circa i fatti dedotti in ricorso e circa quelli, segnalati dall’interveniente “ad opponendum”; nella prefata relazione si sarebbe dovuto precisare se, dopo l’avviso di conclusione della indagini preliminari, allegato in copia dalla stessa interveniente, fosse seguito l’esercizio dell’azione penale, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania, e, in caso positivo, informare il T. A. R., circa lo stato del relativo procedimento.
L’adempimento, da parte del Comune, alla suddetta ordinanza istruttoria perveniva, in data 29.05.2015.
Seguiva il deposito di documentazione, da parte della ricorrente.
Nell’imminenza della discussione del ricorso, la stessa ricorrente e l’interveniente ad opponendum producevano memorie difensive riepilogative.
All’udienza pubblica del 23.02.2016, il gravame passava in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Carattere dirimente, con assorbimento d’ogni altra doglianza, riveste la considerazione della censura, rubricata sub 5) nell’atto introduttivo del giudizio, con cui è stato denunziato, da parte ricorrente, il malgoverno della disposizione, di cui all’art. 7 della l. 241/90, sub specie dell’omessa, effettiva, confutazione delle osservazioni difensive, rassegnate dalla ricorrente medesima, nel corso del procedimento, dopo aver ricevuto la comunicazione d’avvio del procedimento, volto all’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, di cui in epigrafe.
Dall’esame degli atti del procedimento, risulta documentalmente provato che:
in data 21.10.2013, prot. 26074, il Responsabile dell’Area Tecnica – Assetto e Utilizzazione del Territorio del resistente Comune inviava, alla ricorrente e al suo tecnico, comunicazione dell’avvio del procedimento, in autotutela, per la revoca del p. di c., n. 4616/9025 del 15.10.2012;
in data 26.11.2013, prot. 29282, la ricorrente depositava, presso l’Ufficio Urbanistica del Comune, le proprie osservazioni difensive, circa il prefigurato provvedimento di secondo grado, che l’ente s’accingeva ad emanare;
in data 23.12.2013, prot. 31415, il predetto Responsabile comunale dell’Area Tecnica trasmetteva, alla ricorrente e al suo tecnico, una nota, avente ad oggetto: “Comunicazione in merito alle osservazioni pervenute in data 26.11.2013 prot. n. 29282”;
in data 7.01.2014, prot. 0261, lo stesso Responsabile dell’Area Tecnica licenziava il contestato provvedimento di revoca –rectius anullamento d’ufficio – del citato permesso di costruire.
Orbene, ad onta dell’invio, alla ricorrente e al suo tecnico, di una nota di riscontro alle osservazioni da quest’ultima presentate, in chiave partecipativa, nel corso del procedimento di secondo grado, distinta formalmente dal provvedimento, infine adottato, ritiene il Collegio che il Comune di Agropoli si sia praticamente sottratto all’osservanza della disciplina di legge, in tema di comunicazione dell’avvio del procedimento, ex artt. 7 e ss. l. 241/90, omettendo di esplicitare le ragioni, per le quali non aveva ritenuto che le osservazioni della ricorrente, tendenti a patrocinare un esito diverso, rispetto al preannunziato esercizio del potere d’annullamento d’ufficio del permesso di costruire in oggetto, potessero essere meritevoli di favorevole considerazione.
Se si guarda, infatti, sia alla “comunicazione” in merito alle osservazioni de quibus, sia alla ripresa della stessa, contenuta, in maniera speculare, nel testo del provvedimento impugnato, ci si rende agevolmente conto di come, nonostante lo sdoppiamento formale, in tal modo realizzato, le argomentazioni del Comune, circa le controdeduzioni della Varano, sono rimaste, in entrambi i casi, affidate in ultima analisi all’anodina frase: “Ritenendole quest’Ufficio non accolte, in quanto non dimostrano la liceità del fabbricato esistente nella zona che riguarda la copertura”.
Orbene, come correttamente osservato dalla difesa di parte ricorrente, tale ribadita espressione, in realtà, si presenta come del tutto sganciata dalle osservazioni del privato, cui pure, nominalmente, si riferisce, omettendo, in realtà, di spiegare le concrete ragioni, per cui l’Amministrazione non aveva ritenuto di accogliere le controdeduzioni, rassegnate dalla Varano.
In sostanza, osserva il Collegio come l’Amministrazione Comunale di Agropoli abbia fornito, della disciplina, in tema di comunicazione d’avvio del procedimento, una lettura assolutamente riduttiva, oltre che “burocratica”, come tale inidonea ad assolvere alla specifica funzione, alla stessa assegnata dalla giurisprudenza prevalente, avendo il Comune ritenuto, in particolare, che fosse sufficiente, allo scopo di garantire una corretta dialettica infraprocedimentale, indirizzare, al privato e al suo tecnico, una “comunicazione” circa le osservazioni presentate da quest’ultimo, precedente e formalmente distinta dal provvedimento conclusivo del procedimento; laddove l’Ufficio competente avrebbe dovuto, onde rispettare nella sostanza le norme in commento, entrare nel merito delle osservazioni licenziate dal privato, esplicitando perché le stesse non fossero accoglibili.
In giurisprudenza, in senso conforme, si tengano presenti le massime seguenti: “Le norme di cui all’art. 7, l. n. 241 del 1990 non vanno applicate in modo meccanico e formalistico ma devono essere intese nel senso che le memorie ed osservazioni prodotte dal privato nel corso del procedimento amministrativo siano effettivamente valutate dall’Amministrazione ed è necessario che di tale valutazione resti traccia nella motivazione del provvedimento finale” (T. A. R. Napoli (Campania), Sez. III, 4/11/2008, n. 19267); “Nell’ambito del procedimento amministrativo, l’onere di motivazione che incombe sulla p.a. in ordine alle “memorie scritte e documenti” presentati dai soggetti di cui agli artt. 7 e 9, l. 7 agosto 1990 n. 241, non è tale da ricomprendere in sé la confutazione punto per punto e analiticamente di tutte le osservazioni e i rilievi ivi formulati dai soggetti interessati, richiedendosi piuttosto che la p. a. dia conto (anche in modo sintetico ma chiaro e comprensibile nello stesso tempo) della ragione sostanziale della decisione maturata tenuto conto dell’apporto collaborativo dei soggetti coinvolti nel procedimento e che della relativa valutazione resti traccia nella motivazione del provvedimento finale” (T. A. R. L’Aquila (Abruzzo), Sez. I, 6/06/2007, n. 285).
Né, del resto, il Comune di Agropoli, rimasto estraneo al giudizio, ha replicato alla dirimente censura in questione, invocando, ad es., la cd. sanatoria dei vizi formali, ex art. 21 octies, comma 2, ultima parte, della legge generale sul procedimento amministrativo (“Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”).
Nella specie, pertanto, della valutazione operata dal Comune, circa le osservazioni difensive del privato, non è restata, insomma, alcuna traccia, in tal modo inverandosi la violazione della disciplina legislativa de qua, con conseguente annullamento, per tale dirimente ragione formale – procedimentale, del provvedimento di secondo grado, oggetto d’impugnazione.
Per la regola della soccombenza, l’Amministrazione Comunale di Agropoli va condannata al pagamento, in favore della ricorrente, di spese e compensi di lite, liquidati come in dispositivo, oltre che alla rifusione del contributo unificato versato; laddove le stesse vanno compensate, quanto all’interveniente ad oppnendum (cui evidentemente non è ascrivibile la violazione formale in oggetto).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, nei sensi di cui in parte motiva, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Agropoli al pagamento, in favore della ricorrente, di spese e compensi di lite, che liquida complessivamente in € 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge, e lo condanna inoltre alla restituzione, sempre in favore di Varano Maria, del contributo unificato, versato nella misura di € 650,00 (seicentocinquanta/00).
Compensa ogni altra spesa di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Paolo Severini, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)