Differenza fra accertamento di conformità e condono edilizio

1. Dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale).
2. Alla fattispecie dell’accertamento di conformità non può applicarsi la sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003, poiché, come anche è stato precisato, a seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47″ (attuale art. 36 del d.P. R. n. 380 del 2001 ) “(…) non perde efficacia l’ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio. E’ pertanto erroneo affermare che la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria formazione, anche sub specie di silenzio rigetto, di un nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, cosicché l’amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza si è formata in tema di condono edilizio, ossia di richiesta che trova il suo fondamento in una norma di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi.”, non potendo trovare applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’ art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.”, per cui “Sostenere…che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento.
3. Nella disciplina recata dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non par dubbio che il proprietario sia coinvolto nel procedimento successivo all’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (in particolare, nel sub-procedimento relativo all’acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime), a prescindere da una sua diretta responsabilità nell’illecito edilizio. La giurisprudenza amministrativa ha avuto, peraltro, agio di affermare che tale sistema non presenta profili di criticità sul piano del rispetto dei principi costituzionali (in tali ricomprendendo anche quelli desumibili dalle disposizioni sovranazionali che trovano applicazione nel nostro ordinamento, quali norme interposte, in base al novellato art. 117 Cost.); e tanto per la dirimente ragione che la materia attiene a sanzioni in senso improprio, non aventi carattere “personale” ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio. L’acquisizione al patrimonio del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione, pur differenziandosi dalla stretta e immediata misura ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione, partecipa della stessa natura reale di tale sanzione, in quanto concorre a rendere effettiva l’efficacia ripristinatoria dell’ordine giuridico violato. Non si tratta di sanzione di un comportamento (omissivo), perché se così fosse lo schema procedimentale applicativo dovrebbe essere quello della l. 24 novembre 1981, n. 689, la quale invece non si applica alle misure ripristinatorie reali, nel cui alveo questa stessa ablazione va iscritta. Nondimeno, poiché si tratta comunque di conseguenza oggettivamente incidente sul diritto di proprietà (estesa al sedime ed eventualmente all’area per opere analoghe), e postulante un volontario inadempimento da parte dell’obbligato, occorre – in omaggio a un elementare criterio di conoscenza ed esigibilità – che la persona del proprietario, tenuto al pari del responsabile alla rimozione dell’abuso (o comunque a subire le conseguenze della demolizione), abbia avuto piena conoscenza dell’abuso ed abbia avuto modo di collaborare con l’Amministrazione per ripristinare la legalità violata a mezzo dell’intervento abusivo non direttamente a lui ascrivibile. Solo a fronte della prova di un proprietario del tutto ignaro dell’abuso e dell’ordine demolitorio adottato dalla amministrazione quale misura sanzionatoria si prospetta l’illegittimità del provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale quale conseguenza dell’inadempimento rispetto all’ordine di demolizione. In sostanza, infatti, la misura dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale si presenta non tanto e non solo come conseguenza dell’edificazione senza titolo da parte del responsabile, ma anche come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di ripristino impartito anche al proprietario, che, sebbene non responsabile dell’opera abusiva, detenga materialmente il bene e che, pur potendo e dovendo provvedere ad eliminare l’abuso, non lo abbia fatto né si sia in alcun modo adoperato in tal senso. La suddetta misura non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l’esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, che integra un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell’abuso stesso, del quale può rendersi responsabile sia l’esecutore dell’abuso sia il proprietario.

Avv. Giovanni Dato
Pubblicato il 11/08/2017
N. 09296/2017 REG.PROV.COLL.
N. 05405/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5405 del 2016, proposto da:
GIANNINI Piera e GATTA Alessandro, rappresentati e difesi dall’avv. Domenicangelo Strippoli, presso il cui Studio sono elettivamente domiciliati in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 51;
contro
il COMUNE DI ROCCA DI PAPA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per l’annullamento, previa adozione di misure cautelari
della determinazione b/36 di presa d’atto della comunicazione di inottemperanza all’ingiunzione a demolire e dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’edificio abusivo sito in Via Maschio delle Faete n. 34 e del previo provvedimento presupposto di accertamento dell’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 181/2016.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista l’ordinanza 16 settembre 2016 n. 5494 di accoglimento parziale della istanza cautelare proposta;
Esaminate le ulteriori memorie depositate in giudizio dalla parte ricorrente;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 maggio 2017 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. – Premettono i ricorrenti che in data 10 aprile 2006 veniva accertata, a carico della sola Signora Piera Giannini, l’infrazione di norme edilizie con riferimento all’immobile sito nel Comune di Rocca di Papa alla Via Maschio delle Faete n. 34. A tale evento seguiva l’ordinanza n. 110 del 24 aprile 2006, indirizzata ancora una volta alla sola Signora Giannini, con la quale era ingiunta la demolizione delle opere abusive.
Successivamente, in data 12 giugno 2006, la Signora Giannini presentava richiesta di sanatoria ai sensi del DPR 380/2001, ma solo a distanza di dieci anni, in data 22 febbraio 2016, la sanatoria era negata.
Contestualmente al diniego di sanatoria il Comune di Rocca di Papa comunicava l’accertamento dell’inottemperanza alla ordinanza ingiuntiva del 2006 e quindi, con atto b/36 del 22 febbraio 2016 era disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive e dell’area di sedime pari all’intera particella catastale. Tale atto veniva per la prima volta notificato anche al Signor Alessandro Gatta.
2. – Dolendosi della illegittimità del comportamento mantenuto dal Comune di Rocca di Papa e della illegittimità dei provvedimenti adottati, i Signori Piera Giannini e Alessandro Gatta chiedono ora il giudiziale annullamento di tali provvedimenti proponendo due ordini di censure:
– in primo luogo gli atti sarebbero illegittimi in quanto, una volta intervenuto il diniego di sanatoria, il Comune avrebbe dovuto esercitare nuovamente il potere repressivo sanzionatorio coagulandolo in un nuovo provvedimento ingiuntivo della demolizione delle opere abusive;
– in secondo luogo i provvedimenti sarebbero illegittimi in quanto notificati ad uno solo dei comproprietari dell’immobile, essendosi limitato il Comune a notificare al Signor Gatta esclusivamente l’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
Da qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.
3. – Non si è costituito in giudizio il Comune di Rocca di Papa.
Con ordinanza 16 settembre 2016 n. 5494 la Sezione ha parzialmente accolto l’istanza cautelare proposta, limitatamente alla fondatezza del rilievo inerente alla mancata notifica dell’ordinanza di demolizione nei confronti del Signor Gatta.
I ricorrenti hanno prodotto ulteriori memorie confermando le già rassegnate conclusioni.
All’udienza pubblica del 15 maggio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. – Quanto al primo motivo di ricorso il pensiero del Collegio, in merito alla necessità per il Comune di procedere all’emissione di un nuovo provvedimento di ingiunzione a demolire quando sia stata denegata una sanatoria, non è del medesimo avviso dei ricorrenti.
Per l’esame della questione è anzitutto necessario richiamare la differente natura dei due istituti, dell’istanza di sanatoria, ovvero di richiesta dell’accertamento della così detta doppia conformità ex art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e della domanda di condono edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003.
Al riguardo la giurisprudenza, con valutazione che il Collegio condivide e da cui non vi è qui motivo per discostarsi, ha chiarito che “dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001 ) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale)” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 2 febbraio 2015 n. 466 nonché da ultimo ed ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 6 febbraio 2017 n. 732).
5. – Per tali osservazioni, alla fattispecie dell’accertamento di conformità non può applicarsi la sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003.” (così TAR Lazio, Sez. I-quater, 2 marzo 2012 n. 2165), poiché, come anche è stato precisato, “A seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47” (attuale art. 36 del d.P. R. n. 380 del 2001 ) “(…) non perde efficacia l’ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio (…)” (cfr. TAR Lazio, Sez I-quater, 24 gennaio 2011 n. 693).
E’ pertanto erroneo affermare che la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria formazione, anche sub specie di silenzio rigetto, di un nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, cosicché l’amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza “si è formata in tema di condono edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2010 n. 1750), ossia di richiesta che trova il suo fondamento in una norma di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi.”, non potendo trovare applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’ art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.”, per cui “Sostenere…che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2014 n. 2307).
Ne deriva che il primo motivo di ricorso è infondato.
6. – E’ invece fondato, come è stato già rilevato in sede cautelare, il secondo motivo di gravame dedotto.
Va premesso, tenuto conto delle censure dedotte dalla parte ricorrente, che nella disciplina recata dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non par dubbio che il proprietario sia coinvolto nel procedimento successivo all’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (in particolare, nel sub-procedimento relativo all’acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime), a prescindere da una sua diretta responsabilità nell’illecito edilizio. La giurisprudenza amministrativa ha avuto, peraltro, agio di affermare che tale sistema non presenta profili di criticità sul piano del rispetto dei principi costituzionali (in tali ricomprendendo anche quelli desumibili dalle disposizioni sovranazionali che trovano applicazione nel nostro ordinamento, quali norme interposte, in base al novellato art. 117 Cost.); e tanto per la dirimente ragione che la materia attiene a sanzioni in senso improprio, non aventi carattere “personale” ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2015 n. 1927).
L’acquisizione al patrimonio del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione, pur differenziandosi dalla stretta e immediata misura ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione, partecipa della stessa natura reale di tale sanzione, in quanto concorre a rendere effettiva l’efficacia ripristinatoria dell’ordine giuridico violato. Non si tratta di sanzione di un comportamento (omissivo), perché se così fosse lo schema procedimentale applicativo dovrebbe essere quello della l. 24 novembre 1981, n. 689, la quale invece non si applica alle misure ripristinatorie reali, nel cui alveo questa stessa ablazione va iscritta (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. VI, n. 1927/2015 cit.).
7. – Nondimeno, poiché si tratta comunque di conseguenza oggettivamente incidente sul diritto di proprietà (estesa al sedime ed eventualmente all’area per opere analoghe), e postulante un volontario inadempimento da parte dell’obbligato, occorre – in omaggio a un elementare criterio di conoscenza ed esigibilità – che la persona del proprietario, tenuto al pari del responsabile alla rimozione dell’abuso (o comunque a subire le conseguenze della demolizione), abbia avuto piena conoscenza dell’abuso ed abbia avuto modo di collaborare con l’Amministrazione per ripristinare la legalità violata a mezzo dell’intervento abusivo non direttamente a lui ascrivibile.
Solo a fronte della prova di un proprietario del tutto ignaro dell’abuso e dell’ordine demolitorio adottato dalla amministrazione quale misura sanzionatoria si prospetta l’illegittimità del provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale quale conseguenza dell’inadempimento rispetto all’ordine di demolizione (cfr., sul tema, Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016 n. 1951).
In sostanza, infatti, la misura dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale si presenta non tanto e non solo come conseguenza dell’edificazione senza titolo da parte del responsabile, ma anche come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di ripristino impartito anche al proprietario (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2016 n. 358), che, sebbene non responsabile dell’opera abusiva, detenga materialmente il bene e che, pur potendo e dovendo provvedere ad eliminare l’abuso, non lo abbia fatto né si sia in alcun modo adoperato in tal senso (così T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 3 maggio 2016 n. 273).
La suddetta misura non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l’esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, che integra un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell’abuso stesso, del quale può rendersi responsabile sia l’esecutore dell’abuso sia il proprietario (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 8 gennaio 2016 n. 14).
Fermo quanto sopra, risulta in atti che l’ordinanza di demolizione 24 aprile 2006 n. 110 è stata notificata alla Signora Piera Giannini e soltanto l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio anche al Signor Alessandro Gatta comproprietario (per quanto emerge dalle visure catastali).
Pertanto, sotto tale profilo, il provvedimento qui impugnato risulta essere illegittimo.
8. – In virtù delle suesposte osservazioni il secondo motivo di censura dedotto si presenta fondati ed il ricorso proposto va quindi accolto con annullamento dell’atto impugnato.
Stima il Collegio, in virtù delle ragioni che provocano l’accoglimento del ricorso, che sussistano, nondimeno, giusti motivi per dichiarare la compensazione delle spese di giudizio, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a..
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 15 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente
Francesco Arzillo, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Stefano Toschei

Leonardo Pasanisi
IL SEGRETARIO