La destinazione “attrezzature pubbliche e di quartiere” non è di natura espropriativa
1. Il ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo della stessa di provvedere su un’istanza del privato al fine di sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, ed esso risulta esperibile in presenza di un obbligo di provvedere nei confronti del richiedente rispetto al quale l’Amministrazione sia rimasta inerte, con la conseguenza che tale inadempimento si configura tutte le volte in cui l’Amministrazione contravviene ad un preciso obbligo di provvedere, e tanto sia in base ad espresse previsioni di legge, sia nelle ipotesi che discendono dai principi generali o dalla peculiarità del caso. Si è peraltro precisato che nel processo instaurato per fare constare l’illegittima inerzia della pubblica amministrazione, il giudice amministrativo può valutare la fondatezza dell’istanza solo ove l’attività che essa avrebbe dovuto porre in essere abbia carattere vincolato, discendendone che, in caso contrario, la sentenza deve limitarsi alla declaratoria dell’obbligo di provvedere.
2. L’istituto sotteso alla domanda azionata dal ricorrente non può trovare applicazione allorquando si sia in presenza di atti a contenuto generale rimessi alla scelta discrezionale dell’Amministrazione e rispetto alla quale non sia configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l’esistenza di un obbligo per l’Ente di procedere all’adozione di atti a contenuto pianificatorio.
3. Costituisce principio consolidato l’assunto per cui il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica; di contro, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione. Si è in tal senso precisato che i vincoli di destinazione urbanistica sono soggetti a decadenza solo se sono preordinati all’espropriazione o comportano l’identificazione e dunque se svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, diminuendone in modo significativo il valore di scambio; di conseguenza la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di proprietà privata, non comporta l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che è funzionale all’interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione, effettuata dallo strumento urbanistico, che definisce i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale.
4. La destinazione “attrezzature pubbliche e di quartiere” non può essere ritenuta di natura espropriativa, con la conseguenza che non è configurabile alcun obbligo per il Comune di provvedere a rimodulare ex novo tale destinazione per sua natura di durata indeterminata.
Avv. Giovanni Dato
Pubblicato il 31/03/2017
N. 00499/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01768/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1768 del 2016, proposto da:
Centro Marmi Carrara S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Matteo Cutrera, Edward W.W. Cheyne, con domicilio eletto presso lo studio Edward W.W. Cheyne in Firenze, via Santo Spirito, 29;
contro
Comune di Carrara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Sonia Fantoni, Marina Vannucci, domiciliato ex art. 25 cpa presso Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;
per l’accertamento
dell’obbligo del Comune di Carrara di provvedere alla ritipizzazione dell’area identificata al Catasto del Comune di Carrara al foglio n. 65, p.lle 307,324,803,804,805 e 806, di proprietà della Centro Marmi Carrara s.r.l.;
e per quanto occorrer possa, laddove ritenuto atto avente natura provvedimentale, per l’annullamento della nota del Sindaco del Comune di Carrara del 17 novembre 2016, prot. n. 833382.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Carrara;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2017 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società ricorrente, affermandosi proprietaria di un compendio immobiliare sito nel Comune di Carrara, costituito da due fabbricati a destinazione industriale (nell’attualità dismessi) e di un’area pertinenziale di mq 12.034, espone che, nel vigente Piano strutturale comunale, il compendio, è ricompreso nell’UTOE n. 10 della zona urbana a), c.d. ”di Piombara”, con destinazione “aree edificate a prevalente funzione industriale-artigianale”.
L’art. 22.3 delle NTA del PS, stabilisce, per quanto di interesse, la possibilità di riqualificazione dell’area e quindi lo sfruttamento del patrimonio edilizio esistente attraverso “la conferma dello stato di fatto con possibilità di ristrutturazione edilizia e di sostituzione edilizia a parità di superficie coperta, ma anche il cambio di destinazione d’uso, … con attività idonee al carattere ambientale e di testimonianza culturale e storica della città”.
2. Per contro, il Regolamento urbanistico comunale approvato con deliberazione consiliare n. 69/2005 aveva disciplinato l’area quale zona F, sottozona G1, destinata ad attrezzature pubbliche e di quartiere.
2.1. Con istanza del 27 giugno 2016 Centro Marmi chiedeva al Comune di Carrara di provvedere alla ritipizzazione del compendio in parola indicando, quale possibile e più celere modalità operativa, la variante semplificata al Regolamento urbanistico vigente, ex art. 30 della l. reg. Toscana n. 65/2014, evidenziando che il vincolo a servizi, a suo tempo impresso dall’atto di governo del territorio agli immobili de quo, doveva ritenersi scaduto, essendo trascorso il quinquennio dalla sua imposizione ai sensi dell’art. 55 della l. reg. Toscana n. 1/2005, siccome approvato nell’agosto del 2005.
2.2. All’esito della risposta del Settore opere pubbliche, urbanistica del Comune, la ricorrente richiedeva chiarimenti in ordine ai tempi di avvio del procedimento tramite proposta di variante al Consiglio comunale.
L’Ufficio, con comunicazione del 3 ottobre 2016, esponeva che con deliberazione consiliare n. 66 del 31 agosto 2015 era stato dato avvio al procedimento per la formazione del nuovo Piano Operativo Comunale le cui previsioni urbanistiche avrebbero ricompreso anche l’area in questione, comunicando di aver comunque trasmesso l’istanza di ritipizzazione ai professionisti incaricati della redazione del nuovo Piano per una valutazione tecnica della proposta.
2.3. La ricorrente, ritenendo insoddisfacente la risposta offerta, inoltrava formale diffida a provvedere all’avvio di una procedura di variante puntuale al R.U., relativa cioè alla sola area di proprietà della Centro Marmi.
Con nota del 17 novembre 2016, il Sindaco del Comune di Carrara ribadiva che l’iter avviato dal Comune per l’adozione del nuovo POC assolveva pienamente all’obbligo facente capo all’Amministrazione di dare riscontro all’istanza della deducente, precisando anche che ”l’eventuale adozione di una variante specifica all’attuale Regolamento Urbanistico, pur essendo contemplata dalle normative vigenti” avrebbe costituito “un ingiustificato e notevole aggravio per gli uffici comunali totalmente impegnati nella predisposizione del nuovo strumento urbanistico generale”.
3. Ritenuto che, in tal modo, il Comune si fosse sostanzialmente sottratto all’obbligo di provvedere, la società in intestazione proponeva ricorso avverso l’asserito silenzio inadempimento e per l’accertamento dell’obbligo di provvedere nel senso indicato nelle istanze di cui sopra.
Si costituiva in giudizio il Comune di Carrara opponendosi all’accoglimento del gravame.
Nella camera di consiglio del 22 marzo 2017 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
4. Si può prescindere dall’eccezione avanzata dalla difesa dell’amministrazione, volta a disconoscere la legittimazione della ricorrente in ordine a talune particelle catastali di cui viene affermata la proprietà, giacché il ricorso non è suscettibile di accoglimento.
Quanto all’azione di cui all’art. 117 c.p.a. va subito rilevato che il ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo della stessa di provvedere su un’istanza del privato al fine di sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, ed esso risulta esperibile in presenza di un obbligo di provvedere nei confronti del richiedente rispetto al quale l’Amministrazione sia rimasta inerte, con la conseguenza che tale inadempimento si configura tutte le volte in cui l’Amministrazione contravviene ad un preciso obbligo di provvedere, e tanto sia in base ad espresse previsioni di legge, sia nelle ipotesi che discendono dai principi generali o dalla peculiarità del caso (Cons. Stato, sez. V, 13 ottobre 2016 n. 4235).
Si è peraltro precisato che nel processo instaurato per fare constare l’illegittima inerzia della pubblica amministrazione, il giudice amministrativo, in forza delle modifiche apportate all’art. 1 comma 5, l. n. 241 del 1990, può valutare la fondatezza dell’istanza solo ove l’attività che essa avrebbe dovuto porre in essere abbia carattere vincolato, discendendone che, in caso contrario, la sentenza deve limitarsi alla declaratoria dell’obbligo di provvedere (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 7 febbraio 2007 n. 179).
Ne segue che, sul piano meramente procedimentale, non appare sussistere l’affermato silenzio inadempimento del Comune dal momento che questo, come sopra esposto, ha più volte motivatamente dato riscontro all’istanza della parte, anche se non nel senso dalla medesima divisato.
5. Peraltro, non può sottacersi che l’istituto sotteso alla domanda azionata dalla ricorrente non può trovare applicazione allorquando si sia in presenza di atti a contenuto generale rimessi alla scelta discrezionale dell’Amministrazione e rispetto alla quale non sia configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l’esistenza di un obbligo per l’Ente di procedere all’adozione di atti a contenuto pianificatorio (Cons. Stato Sez. IV, 11-12-2014, n. 6081).
5.1. In ogni caso, oltre ad avere ragionevolmente motivato il proprio diniego a provvedere in ragione dell’imminente approvazione del nuovo atto di pianificazione generale del territorio (POC) all’interno del quale anche attraverso lo strumento partecipativo delle osservazioni l’interessata potrà far valere le sue ragioni, il Comune nelle sue difese nega che sussista il presupposto per l’invocata riqualificazione giuridica dell’area di proprietà della ricorrente. E ciò in quanto, contrariamente a quanto sostenuto con il ricorso, il vincolo che la ricorrente assume essere di natura espropriativa, non sarebbe affatto scaduto, trattandosi, invece, di un vincolo di carattere conformativo.
La tesi merita adesione.
Secondo la ricorrente il vincolo a servizi esistente sull’area per effetto del RU del 2005 avrebbe cessato di essere efficace per effetto del decorso del quinquennio ai sensi dell’art. 55, co. 5, l. reg. n. 1/2005 secondo cui “Le previsioni di cui al comma 4 ed i conseguenti vincoli preordinati alla espropriazione sono dimensionati sulla base del quadro previsionale strategico per i cinque anni successivi alla loro approvazione; perdono efficacia nel caso in cui, alla scadenza del quinquennio dall’approvazione del regolamento o dalla modifica che li contempla, non siano stati approvati i conseguenti piani attuativi o progetti esecutivi”.
L’affermazione non può essere seguita.
Costituisce principio consolidato l’assunto per cui il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica; di contro, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (Cons. Stato, sez. IV, 24 agosto 2016 n. 3684; id., sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321).
Si è in tal senso precisato che i vincoli di destinazione urbanistica sono soggetti a decadenza solo se sono preordinati all’espropriazione o comportano l’identificazione e dunque se svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, diminuendone in modo significativo il valore di scambio; di conseguenza la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di proprietà privata, non comporta l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che è funzionale all’interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione, effettuata dallo strumento urbanistico, che definisce i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale (Cons. St., sez. IV, 9 dicembre 2015, n. 558; Id., 8 settembre 2015, n. 4155).
Ne consegue che la destinazione impressa alla proprietà della ricorrente (attrezzature pubbliche e di quartiere) non può essere ritenuta di natura espropriativa, con la conseguenza che non era configurabile alcun obbligo per il Comune di provvedere a rimodulare ex novo tale destinazione per sua natura di durata indeterminata (T.A.R. Toscana, sez. III, 7 gennaio 2015 n. 7)
Discende da quanto esposto che il ricorso va dichiarato inammissibile seguendo la liquidazione delle spese la soccombenza, come in dispositivo precisato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese di lite che si liquidano in € 3.000,00, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere, Estensore
Gianluca Bellucci, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Bernardo Massari
Armando Pozzi
IL SEGRETARIO