Sentenza Corte dei Conti 1 Marzo 2016, n. 68 – Sezione Giurisdizionale Piemonte

Con sentenza depositata l’8 luglio 2014 n. 88 della Sezione Giurisdizionale del Piemonte un agente contabile in qualità di responsabile dell’Ufficio economato di un Comune della medesima Regione venne condannato per l’irregolare emissione di due buoni spesa aventi per oggetto “Acquisto buste per regali di Natale ai dipendenti”. L’agente contabile presentò tempestivamente opposizione ai sensi dell’art. 51 r.d. n. 1214/1934 e dell’art. 94 r.d. n. 1038/1933, lamentando essenzialmente tre profili della sentenza di condanna citata:
1 – Violazione del diritto di difesa in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, in quanto il medesimo non venne né convocato né si diede la possibilità di partecipare al relativo giudizio di conto;
2 – Erronea imputazione dei buoni contestati al capitolo delle “spese di rappresentanza”;
3 – Mancata applicazione dell’art. 4 del Regolamento comunale per il Servizio di Economato, che autorizzerebbe, a parere della difesa, acquisti per cancelleria e costi per convegni cerimonie e manifestazioni e dell’art. 72 del Regolamento comunale di contabilità, che individua le spese di rappresentanza.
Durante la discussione la difesa aggiunse la violazione dell’art. 3, comma 2 del Testo Unico degli Enti locali (di seguito TUEL), secondo cui: “Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.” In particolare al ricevimento di Natale, in ordine al quale vennero emessi i buoni di spesa oggetto del giudizio di conto, sempre secondo la difesa sarebbero state invitate personalità esterne di alto profilo istituzionale, rientrando, pertanto, tra i fini di promozione del territorio comunale previsti dalla citata norma. Con la citata sentenza n. 68/2016 della medesima sezione regionale, dopo puntuale motivazione, venne rigettata la difesa e confermata la sentenza di condanna.
Grazie a questa pronuncia si ha la possibilità di ribadire alcuni concetti del tutto attuali sul giudizio di conto.
Orbene ai sensi dell’art. 103 della Costituzione la Corte dei Conti in veste giurisdizionale ha competenza generale in materia di contabilità pubblica. Tale competenza non riguarda solo fattispecie illecite che comportano un danno erariale in senso proprio, ma anche la corretta gestione del denaro pubblico, che viene affidato agli agenti contabili soprattutto per le finalità previste dalla legge e comunque per apportare benefici apprezzabili alla collettività.
Questa conclusione trova costante conferma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. Con decisione 7 maggio 1975, n. 114 la Corte conclude: “È principio generale del nostro ordinamento che il pubblico denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni debba essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale. Requisito indispensabile del giudizio sul conto è quello della necessarietà in virtù del quale a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprietà dell’ente è consentito sottrarsi a questo fondamentale dovere. Se la giurisdizione contabile non avesse tale carattere non potrebbe assolvere alla sua obbiettiva funzione di garanzia ed è per questo che nel nostro sistema l’obbligo del rendiconto giudiziale (salvo deroghe temporanee ed eccezionali per i conti consuntivi degli enti locali tassativamente disposte con leggi per il periodo bellico e post-bellico fino alle gestioni relative all’esercizio finanziario 1953) ha trovato costante applicazione.
Con successiva sentenza costituzionale nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli art. 122, primo comma, del d. l. vo P.R.S. 29 ottobre 1955, n. 6, riapprovato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, intitolato “Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana” ribadì gli stessi principi. Infatti la legge regionale citata di fatto impediva alla Corte dei Conti d’instaurare il giudizio di conto. Si legge nella sentenza: “Una violazione la quale si articola in un duplice livello: da una parte, nel sottoporre l’attivazione del giudizio di conto a condizioni dipendenti in gran parte dalla volontà di organi interni del comune stesso che dovrebbe essere controllato, rendendo così inoperante l’obbligo del tesoriere comunale di presentare comunque i conti consuntivi per il giudizio della Corte dei conti e tramutando quest’ultimo in un giudizio meramente eventuale; e, dall’altra parte, nel prevedere che la deliberazione di approvazione del conto consuntivo da parte del Consiglio comunale assume lo stesso valore giuridico e la stessa efficacia della decisione di approvazione della Corte dei conti in sede di giudizio sul conto consuntivo, sostituendo così, illegittimamente, un’approvazione di natura politico-amministrativa a una decisione giurisdizionale sulla regolarità contabile, un giudizio del controllato a un giudizio del controllore.” Perciò l’obbligo di presentare il conto a fine esercizio si estende a tutti gli agenti contabili, ancorché privati o di fatto, che maneggiano denaro pubblico. Conseguentemente il giudizio di conto rientra tra i compiti di controllo giurisdizionale della Corte dei conti.
E’ pur vero che una parte della dottrina (PASQUALUCCI, l’evoluzione del rito contabile dal giudizio di conto sino all’attuale giudizio di responsabilità, in http://www.amcortedeiconti.it), sulla base del novellato art. 111 della Costituzione esprime qualche perplessità sulla costituzionalità del giudizio di conto. E’ noto che il comma 3 della norma preveda che l’accusato nel giudizio penale sia informato della natura e dei motivi dell’accusa. Per analogiam tale principio si estende a qualsiasi giudizio di responsabilità. Secondo tale autore il giudizio di conto è essenzialmente superato, perché, in caso di ammanchi nella gestione finanziaria è sempre possibile instaurare l’ordinario giudizio di responsabilità amministrativa. In particolare a suffragio di tale tesi viene citato l’art. 44 r.d. n. 1038/1933, secondo il quale: “Quando con la responsabilità di colui che ha reso il conto giudiziale concorra la responsabilità di altri funzionari non tenuti a presentare il conto, si riunisce il giudizio di conto con quello di responsabilità; ma, se speciali circostanze lo richiedono, si può procedere contro i responsabili del danno anche prima del giudizio di conto. “
Tali obiezioni non trovano conferma né dalla Corte Costituzionale né dalla Corte di Cassazione.
La Corte Costituzionale con varie sentenze (da ultimo sentenza del 9 luglio 2008 n. 291) mette in luce il peculiare ruolo del Pubblico Ministero contabile, con particolare riguardo al giudizio di conto. Egli è giudice a tutela non solo degli interessi pubblici a beneficio della collettività, ma anche degli interessi concreti e particolari degli agenti contabili. Da ciò deriva il rispetto del principio del contradditorio di cui all’art. 111 Cost.
La medesima Corte già concluse peraltro con sentenza n. 104/1989: “Il Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale. Egli rappresenta l’interesse generale al corretto esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni amministrative e contabili, e cioè un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati; non l’interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure essi convergenti con il primo. Egli vigila per l’osservanza delle leggi, per la tutela cioè dello Stato e per la repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, ma non effettua un controllo diretto ad accertare se i provvedimenti delle autorità amministrative siano stati emanati con l’osservanza delle leggi e con il rispetto dei criteri della buona e regolare amministrazione. La legge non gli attribuisce l’amplissimo potere di svolgere indagini a propria discrezionalità in un ampio settore dell’amministrazione senza che, secondo le circostanze, sia presumibile la commissione di illeciti produttivi di danni. Non è sufficiente, cioè, la mera supposizione. Il suo intervento non può basarsi su mere ipotesi.”
D’altra parte la Suprema Corte di Cassazione con sentenza a SS.UU. del 9 ottobre 2009, n. 12367 ribadisce che il giudizio di conto è essenziale, perché permette di valutare la legittimità dei flussi finanziari non solo delle gestioni pubbliche, ma anche di quelle che sono affidate a società private.
Infine l’art. 28 reg. proc. r.d. n. 1038/1933, che prevede possibilità da parte del giudice istruttore di inviare un foglio di rilievo all’agente contabile per chiedere chiarimenti o informazioni. Tale procedimento è ormai divenuta una prassi consolidata, tale da considerarla una forma di contraddittorio, seppur del tutto peculiare. La circostanza viene esattamente richiamata anche nella sentenza n. 68/2016.
La legittimità del giudizio di conto è pertanto soprattutto fondata sulla natura del procedimento. Infatti esso è soprattutto un procedimento di controllo, ancorché strutturato dal legislatore in forma giurisdizionale. La fase istruttoria è esattamente un controllo di regolarità del conto. Se il magistrato istruttore non riscontra irregolarità propone il discarico dell’agente contabile, che si trasforma in approvazione del conto se è dello stesso parere il Pubblico Ministero contabile e il Presidente della Sezione. Solo nell’ipotesi in cui il magistrato istruttore proponga la condanna dell’agente contabile o non vi sia parere conforme di discarico da parte degli altri soggetti processuali appena citati, il processo si svolgerà innanzi al Collegio, che si concluderà con udienza pubblica dibattimentale senza la convocazione dell’agente contabile. Perciò solo da questo momento il giudizio di conto rileva responsabilità in capo all’agente contabile e da questo momento lo stesso agente contabile potrà opporsi. La struttura peculiare del giudizio è appare giustificata dal rilievo che il rendiconto assume nel procedimento contabile. La sua regolarità determina la conformità della spesa agli interessi della collettività.
Perciò la sentenza n. 68/2016 ricorda puntualmente: “[…] lo schema tracciato dal legislatore è strutturato in maniera tale da posticipare il contraddittorio alla sola fase processuale introdotta con l’opposizione contabile, ma siffatto differimento, evidentemente, non intacca minimamente il fondamentale diritto di difesa, che può essere esercitato nella sua interezza, dapprima, a seguito della decisione discrezionale dell’agente contabile di invocare il prefato istituto [ossia l’opposizione al giudizio di conto] e, successivamente, con gli ordinari mezzi d’impugnazione […]”
Nella pronuncia la confutazione di tutti gli altri punti della difesa è una conseguenza dei principi enunciati. La regolare destinazione della spesa è esattamente la ragione del giudizio. Non a caso si legge nella sentenza: “[…] la mera presenza nel bilancio per la gestione dell’Ente di un capitolo, anche di natura oggettivistica, virtualmente inerente all’onere in questione, non giustifica. Sol per questo, la regolarità della spesa imputata al medesimo, in quanto occorre sempre riscontrare la piena conformità dell’onere assentito con le finalità istituzionali del Comune e la sussistenza delle ulteriori condizioni che albergano in modo consolidato nel diritto vivente e nei canoni generali di contabilità pubblica […]” Nella fattispecie concreta non solo non sono state ravvedute ragioni di pregio giuridico, rientranti tra i fini istituzionali dell’Ente, ma non si sono riscontrate eventuali proroghe ipotizzabili in presenza di un evento eccezionale, straordinario ed ufficiale.

Commento – Renzo Remotti