Vicinitas est mater discordiarum. Il volto polifunzionale del risarcimento del danno da immissioni nocive.
di Valentina Lo Voi
- Le disciplina delle immissioni in Italia: dalla tesi ulpianea al concetto di “normalità dell’uso”.
- L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 cod. civ. e il rinnovato rilievo soggettivo riconosciuto al diritto di proprietà
- Il risarcimento del danno non patrimoniale da immissioni illecite e il filtro selettivo della “inviolabilità”
- I rimedi al tort of nuisance in Inghilterra: opportunità di una rilettura della disciplina alla luce dei principi della Cedu
- Considerazioni conclusive
- Le disciplina delle immissioni in Italia: dalla tesi ulpianea al concetto di “normalità dell’uso”
Al di là della Manica il diritto di proprietà, e, con esso, il diritto alla privacy e alla tranquillità domestica, è stato da sempre considerato uno dei fulcri su cui ergere l’intero sistema giuridico[1].
Una previsione di tal natura non era presente né nel codice civile del 1865, né in quello francese. L’art. 544 code civil del 1804, non ha subito modifiche, ma si è avvalso dell’opera suppletiva di dottrina e giurisprudenza che hanno fatto ricorso ai principi dell’abuso del diritto e ai problemi di vicinato per risolvere le questioni concrete[2].
In Italia invece si è dovuto attendere il XX secolo affinché venisse introdotta una norma che disciplinasse la materia delle immissioni.
Il primo intervento legislativo sul punto si è avuto nel 1937, con l’art. 35 del libro “delle cose e dei diritti reali”[3].
L’art. 844 cod. civ., poi, ha reso legittime le immissioni purché le stesse non siano tali da superare la normale tollerabilità, avuto riguardo anche alla situazione dei luoghi.
Gli anni precedenti all’introduzione della norma erano quelli della seconda rivoluzione industriale, con i suoi indubbi vantaggi economici e con gli inconvenienti derivanti proprio dalle immissioni e dalle ripercussioni delle attività industriali sul vicinato.
La dottrina civilistica preferiva restare radicata al noto brocardo di Ulpiano[4] “In suo enim alii hactenus facere licet, quatenus nihil in alienum immittat: fumi autem, sicut aquae esse immissionem“. Era una concezione assoluta della proprietà che non tollerava immissioni.
Risulta significativo, in proposito, lo spaccato storico deducibile dalla relazione della Commissione per la riforma del codice ove si afferma, a commento dell’art. 35, come la tesi “romanistica” non sarebbe stata più sostenibile, date le esigenze delle industrie, e il necessario agglomeramento delle costruzioni, per cui anche la dottrina iniziava ad accogliere il concetto della “normalità dell’uso”[5].
La scelta della “normale tollerabilità” si inserisce in un contesto socio economico del tutto diverso da quello precedente, operando un significativo riferimento al bilanciamento dei concetti di esigenze della produzione e ragioni della proprietà, nonché di solidarietà e di necessaria coesistenza sociale.
La Commissione per la redazione del codice civile richiamò espressamente la disciplina del codice civile tedesco, e cioè il § 906 del Bürgerliches Gesetzbuch (B.G.B.) che già nel 1900 aveva stabilito che “il proprietario di un immobile non può vietare l’immissione di gas, vapori, odori, fumo, fuliggine, calore, rumori, scuotimenti o simili ingerenze provenienti da un altro immobile, in quanto l’ingerenza non incida o incida solo non essenzialmente sull’uso dell’immobile”.
Il legislatore italiano, tuttavia, rispetto a quello tedesco ha inserito come criterio di valutazione della normale tollerabilità anche la considerazione della “condizione dei luoghi”, senza precisare se si tratti di “una condizione materiale” o di “una condizione sociale”, come il carattere abituale dell’attività industriale da cui le immissioni derivano[6].
L’analisi della disciplina nazionale in materia di immissioni, quindi, dovrà prendere le mosse dall’art. 844 c.c che, congiuntamente con l’art. 659 c.p., vieta le immissioni di rumori, fumi e odori provenienti da terzi, qualora superino la normale tollerabilità. Detto concetto dovrà essere valutato alla stregua della comune coscienza e della sensibilità sociale, avuto riguardo, però, alla condizione dei luoghi nei quali è inserita la proprietà che subisce le immissioni e al novero dei soggetti interessati al fenomeno[7].
La ratio legis delle norme citate è quella di tutelare l’ordine pubblico, la salvaguardia della tranquillità e del riposo ma anche le occupazioni dei proprietari, soprattutto nel caso in cui a subire le immissioni siano immobili destinati a uso abitativo, configurandosi un reato se il disturbo coinvolga un numero indeterminato di persone.
Qualora sia interessato dal disturbo un numero indeterminato di persone si realizza infatti la fattispecie sanzionata dall’art. 659 c.p.; laddove, invece, il disturbo sia stato diretto nei confronti di un solo soggetto, si manifesta una violazione di natura civilistica tutelabile con una ordinaria azione civile, anziché con una querela.
Volendo limitare il campo di analisi al solo diritto civile emerge preliminarmente la formulazione in negativo dell’art. 844 cod. civ. Da ciò si evince che la finalità primaria perseguita dalla norma sia specificamente quella di regolare i rapporti tra proprietà immobiliari, incentivando, nel limite dell’altrui normale tollerabilità, l’efficiente sfruttamento del fondo.
La conferma di tale affermazione appare ricavabile dal comma 2 del medesimo articolo, ove si precisa che l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo conto della priorità dell’uso.
L’azione esperita ai sensi dell’art. 844 c.c. dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale, a tutela della proprietà; essa è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni stesse e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare[8].
Contestualmente, può essere chiesto il risarcimento degli eventuali danni patrimoniali sofferti dall’attore (si pensi, ad esempio, alle spese sostenute per l’insonorizzazione dell’immobile resasi necessaria in conseguenza delle immissioni intollerabili).
Relativamente ai danni non patrimoniali, invece, la Consulta[9], quasi mezzo secolo addietro, chiarì che l’art. 844 c.c. mira a risolvere il conflitto tra proprietari dei fondi vicini per le influenze negative delle attività svolte con riguardo esclusivo al diritto di proprietà, e non contempla invece le immissioni che rechino pregiudizio alla salute umana; nondimeno, la Corte Costituzionale ricordò come alla tutela di tale bene giuridico primario presiedono comunque altre norme[10].
- L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 cod. civ. e il rinnovato rilievo soggettivo riconosciuto al diritto di proprietà
A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso si è fatta avanti l’idea che, accanto alle “ragioni della proprietà”, il trattamento normativo delle immissioni dovesse necessariamente conferire rilievo anche alla tutela “delle esigenze di vita” della persona: dal diritto alla salute e al rigoroso contenimento dell’inquinamento ambientale, al diritto alla serenità interiore e al rispetto delle abitudini di vita[11].
La giurisprudenza[12] infatti evidenziò la distinzione tra l’azione ex art. 844 c.c. e quella di responsabilità aquiliana per la lesione del diritto alla salute e, allo stesso tempo, l’ammissibilità del concorso delle due azioni: l’attore fa valere il danno identificato nel fastidio, nel disagio, nell’esasperazione e nella tensione psicologica sopportati a causa delle immissioni di rumore e, pertanto, domanda, ad un tempo, la cessazione ed il risarcimento.
Alla rivisitazione del significato normativo attribuibile alla disciplina codicistica delle immissioni ha contribuito anche l’elaborazione dottrinale[13] sull’art. 844 cod. civ.; nel ribadire la compatibilità di tale disposizione con i valori fondamentali sanciti dalla Costituzione, infatti, è stata riconosciuta la possibilità di ricomprendere nell’ambito operativo della norma anche la tutela degli interessi considerati alla base dei diritti fondamentali della persona.
I giudici e gli studiosi hanno così sopperito all’inerzia del legislatore contrastando, attraverso l’esercizio della funzione di interpretazione ed applicazione della legge loro assegnata, gli effetti spesso insopportabili dei fenomeni immissivi anche e soprattutto sulle persone, oltre che sul valore dei beni immessi.
Alla stregua di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata della norma, si è così giunti a considerare il fattore salute intrinseco nella valutazione sia delle immissioni derivanti da attività produttive, sia delle immissioni patite nell’ambito dei rapporti di vicinato[14]. Infine, l’inserimento del diritto alla salute tra le situazioni giuridiche soggettive prese in considerazione dalla disciplina del fenomeno immissivo ha condotto ad escludere che, una volta accertato il superamento della soglia della normale tollerabilità, se ne potesse comunque consentire la prosecuzione salvo indennizzo.
È stato questo contesto a consentire un’ulteriore apertura[15] – di cui si dirà oltre – tesa a riconoscere anche la risarcibilità del danno c.d. esistenziale, ovvero dell’interferenza alla tranquillità della vita personale e familiare all’interno della propria casa di abitazione; in altre parole si è giunti a considerare rilevante il pregiudizio alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, pur in assenza di un danno biologico[16].
In tema di immissioni acustiche[17], peraltro, il danno non patrimoniale è stato ricondotto alla lesione del diritto alla libera estrinsecazione della personalità garantito dall’art. 2 Cost., comprensivo del diritto all’attività di riposo, svago, intrattenimento, nonché del diritto di usufruire di ogni utilità della propria abitazione, quale il diritto alla serenità domestica ed alla vita di relazione.
Alla rappresentazione dell’art. 844 c.c. quale strumento di tutela del valore della persona, oltre o addirittura per il tramite degli interessi più tipicamente dominicali espressi dal titolare del bene immesso[18], ha concorso il riferimento giurisprudenziale alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU), in considerazione del rango primario loro riconosciuto tra le fonti del diritto interno[19].
L’art. 17 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’UE, in particolare, annovera il diritto di proprietà tra le libertà fondamentali, e da ciò deriva tanto un ampliamento dei poteri e delle facoltà riconosciuti al singolo proprietario, quanto un ridimensionamento degli spazi di intervento concessi al legislatore per coniugare, ove necessario, l’esercizio del diritto di proprietà con il perseguimento dell’utilità sociale.
Anche il primo protocollo addizionale alla CEDU si apre con l’espresso riconoscimento della protezione della proprietà privata.
Deve peraltro segnalarsi come sia la Convenzione (art. 8) che la Carta (art. 7), sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare e del proprio domicilio[20]. La giurisprudenza interna ha ormai da tempo dedotto proprio da tali disposizioni l’ulteriore conferma della necessità di sanzionare immissioni nocive provenienti da fondi vicini, anche nel caso in cui esse determinino l’indebita compressione del diritto all’integrità delle proprie abitudini di vita ovvero la lesione di interessi e valori connessi al libero sviluppo della personalità umana[21].
Il riferimento al diritto dell’Unione europea ha avvalorato un’interpretazione in chiave soggettivistica del diritto di proprietà ma ha anche consentito, appigliandosi all’art. 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE ed all’art. 8 della CEDU, di ricondurre al concetto di salute la nozione, decisamente più generica, di benessere nel godimento dell’abitazione. In tal modo è stato possibile dilatare lo spettro degli interessi da preservare contro immissioni intollerabili, spaziando da quelli direttamente connessi al fondo immesso a quelli più genericamente attinenti alla salubrità dell’ambiente nel quale la persona trova la sede principale del proprio sviluppo e della propria realizzazione[22].
- Il risarcimento del danno non patrimoniale da immissioni illecite e il filtro selettivo della “inviolabilità”
Come già sopra evidenziato, l’azione disciplinata dall’art. 844 c.c. – per la sua ubicazione all’interno del codice civile – è stata definita tradizionalmente quale azione negatoria di natura reale avente ad oggetto il bilanciamento tra le contrapposte esigenze della proprietà (del fondo gravato dalle immissioni) e della produzione (del fondo dal quale le immissioni provengono). Il tutto in un’ottica legata alla tradizione secondo cui l’art. 844 c.c. era volto alla tutela contro le immissioni industriali.
Del diritto di proprietà, però, come si è visto, è stata fornita una lettura in chiave soggettivistica che ha portato a conferire all’art. 844 cod. civ. una vis expansiva che consente, oggi, l’ammissibilità del cumulo dell’azione inibitoria di cui all’art. 844 c.c. e dell’azione risarcitoria di natura aquiliana finalizzata al risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni.
Elemento necessario del fondato esperimento dell’azione di responsabilità extracontrattuale al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, è la lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione[23].
La principale ragione giustificatrice della risarcibilità dei danni non patrimoniali da immissioni è stata infatti rinvenuta nella lesione del diritto alla salute. La dottrina ha avuto modo di descrivere una sorta di “mutazione genetica”[24] dell’art. 844 c.c. che, da norma volta a proteggere l’interesse del proprietario al pieno godimento delle utilità (economiche) ritraibili dal fondo, è divenuta strumento di tutela (ripristinatorio-inibitorio-risarcitoria) della sfera giuridica non patrimoniale di soggetti che col fondo presentino uno stabile “collegamento”[25].
Sotto l’egida dell’interpretazione costituzionalmente orientata, l’art. 844 c.c. è stato, quindi, letto in sinergia (con l’art. 2043 c.c. prima, e) con l’art. 2059 c.c. (poi), venendone conseguentemente rimodellati i presupposti e l’ambito di applicazione. Ove utilizzato a protezione del diritto alla salute, esso non tollera, infatti, alcun giudizio di bilanciamento con le “esigenze della produzione”, sicché al giudice non è consentito autorizzare la continuazione delle immissioni, contro il versamento di un indennizzo (secondo quanto previsto dal secondo comma della disposizione).
L’accertamento in concreto del superamento della “normale tollerabilità” in funzione del diritto alla salute[26], in altri termini, pone le immissioni nell’area dell’illecito extracontrattuale, aprendo la strada ai rimedi tipici della relativa fattispecie: ossia l’azione inibitoria ex artt. 844 c.c. e, se del caso, 700 c.p.c., e l’azione risarcitoria ex artt. 2043 o 2059 c.c.[27].
Ciò cui si ha riguardo nel bilanciamento tra le posizioni giuridiche soggettive è il rango della situazione di chi subisce le immissioni. Il giudizio di “ingiustizia” del danno, nell’ottica dell’art. 2043 c. c., soppianta ab externo la valutazione dell’intollerabilità delle immissioni, tipica del bilanciamento “interno” alla fattispecie dell’art. 844 c.c.
Il danno (c.d. biologico) da lesione del diritto alla salute presuppone, tuttavia, la sussistenza di una lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale[28].
Il problema che quindi si è posto è stato quello di comprendere come tutelare i contrapposti interessi nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile una lesione medico-legale.
Le soluzioni che si sono profilate sono state due.
Una prima ipotesi ha configurato il danno non patrimoniale risarcibile quale diretta conseguenza della lesione del diritto di proprietà.
Un secondo possibile scenario ha, invece, relegato sullo sfondo il diritto di proprietà, giustapponendogli un’altra situazione giuridica soggettiva, di natura non patrimoniale e di (ipotizzata) rilevanza costituzionale, dalla cui lesione far discendere il risarcimento ex art. 2059 c.c.
Non è possibile in questa sede dar conto della genesi e dello sviluppo storico del concetto giuridico di inviolabilità, in tutte le sue implicazioni costituzional-pubblicistiche per comprendere quando la sua lesione integri l’ingiustizia costituzionalmente qualificata richiesta dalle sentenze del 2008[29].
Ciò che, tuttavia, può notarsi è come il concetto di inviolabilità implichi l’afferenza al nucleo essenziale della dignità della persona, sia dal punto di vista generale e astratto (nel senso che richiama il catalogo delle libertà fondamentali e dei diritti della personalità morale dell’individuo), sia sotto il profilo concreto (vale a dire in relazione all’intensità del coinvolgimento del diritto nella vicenda giuridica occorsa nella fattispecie considerata). Nel primo significato, l’inviolabilità trova la sua frontiera espansiva (ma, al contempo, il proprio limite) nella rilevanza assiologica della persona; nel secondo significato esclude che possano rientrarvi offese di minima entità, inidonee a colpire il nucleo inviolabile dell’interesse[30].
Ogni diritto inviolabile, infatti, rappresenta un limite per altri interessi, cosicché l’eccessiva proliferazione dei diritti inviolabili, da un lato, e l’indiscriminato risarcimento dei danni c.d. bagatellari, dall’altro, renderebbero sempre meno pregnante il filtro selettivo dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata (cui l’ordinamento ricollega la tutela risarcitoria rafforzata dell’art. 2059 c.c.), enfatizzando il principio di solidarietà a scapito del principio di tolleranza verso la vittima dell’illecito[31].
Alla luce di quanto finora espresso deve quindi rilevarsi che tra gli interessi inerenti alla persona dotati di rilevanza costituzionale non può annoverarsi il diritto di proprietà, il quale non partecipa di quella “essenziale connotazione di incondizionatezza e di primarietà”, caratteristica dei c.d. diritti fondamentali assoluti (vale a dire, dei valori della personalità)[32] , e la cui lesione potrà quindi dare luogo al risarcimento del danno non patrimoniale solo nei casi di ricorrenza del reato o di espressa previsione legislativa[33].
La soluzione non potrà allora che ricercarsi nel secondo dei possibili scenari inizialmente delineati, ovvero quello che relegherebbe sullo sfondo il diritto di proprietà, giustapponendogli un’altra situazione soggettiva non patrimoniale dalla cui lesione far discendere un risarcimento non patrimoniale.
Per ottenere tale obiettivo il richiamo alle fonti sovranazionali viene utilizzato quale grimaldello ermeneutico per superare l’ostacolo della “non inviolabilità” dell’interesse leso dall’illecito. Ne deriva una sorta di “trasfigurazione” del diritto di proprietà, del quale vengono enfatizzati gli aspetti più direttamente legati alla sfera morale del titolare, suscettibili di farla transitare nell’area dei diritti (inviolabili) della personalità.
Su questa scia si collocano talune decisioni di merito quali, ad esempio, quella del Tribunale di Trieste che, con sentenza del 9 dicembre 2013, riconobbe il diritto al risarcimento in favore del proprietario di un appartamento che aveva subito per cinque anni infiltrazioni dalla terrazza sovrastante, “per la violazione non tanto del diritto di proprietà in senso lato, quanto piuttosto limitatamente alla sua estrinsecazione quale diritto al pieno godimento della propria abitazione, ovverosia a quello spazio essenziale per la serena esplicazione della persona”[34].
Ancora, merita di essere menzionata la sentenza del Tribunale di Palermo del 18 giugno 2010 che riconobbe il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore del proprietario di un garage per l’occupazione abusiva e la modificazione dello stesso illegittimamente operata dai proprietari confinanti, rifacendosi all’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (il quale, letto in sinergia con gli artt. 2 e 42 Cost., consentirebbe di ascrivere la proprietà “alla categoria dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti”).
Da queste decisioni viene fuori l’enucleazione di nuovi diritti inviolabili della persona che, rapidamente, si sono allontanati dal riferimento al diritto di proprietà. Per la prima volta, infatti, nel 2015[35] i giudici giunsero ad esplicitare che oggetto della lesione sarebbe potuto essere, in caso di immissioni, il “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”, protetto dall’art. 8 della CEDU, pur senza predicarne espressamente la natura inviolabile.
Tutto ciò dopo che, invero, alcuni anni prima, la Cassazione aveva invece escluso che fosse risarcibile un pregiudizio “esistenziale” da immissioni, non accompagnato dalla lesione dell’integrità psico-fisica, e che dunque il diritto alla tranquillità familiare potesse assurgere al rango delle posizioni giuridiche costituzionalmente protette[36].
Acquisisce, allora, importanza centrale stabilire se l’incidenza delle fonti sovranazionali riesca a dotare l’interesse del soggetto esposto a immissioni intollerabili (ma non vittima di un danno biologico in senso stretto) del carattere dell’inviolabilità; e se tale interesse possa continuare ad ascriversi al diritto di proprietà (sia pure re-interpretato), ovvero costituisca il nucleo di altro diritto, direttamente riferibile alla persona del danneggiato. Il diritto di proprietà, così come sancito dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali il diritto di proprietà, quale diritto al rispetto dei propri beni, è tutelato anche sotto forma di ristoro del danno non patrimoniale da immissioni: il soggetto che subisce le immissioni intollerabili non viene propriamente “privato” dell’oggetto del suo diritto, ma, al più, subisce una limitazione nel relativo godimento[37].
Altra norma generalmente richiamata, come si è altresì rilevato[38], con riguardo alle immissioni intollerabili è l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, intitolata al “diritto al rispetto della vita privata e familiare”.
I concetti di “vita privata” e “domicilio” sono lì intesi in senso ampio, a delineare la protezione dello spazio fisico in cui si svolge la vita privata dell’individuo da qualsivoglia interferenza materiale o immateriale, idonea a turbare il godimento in tranquillità di tale spazio (tra cui, appunto, le immissioni).
Non manca, infine, il riferimento al combinato disposto degli artt. 17 (tutela della proprietà privata) e 52 (portata dei diritti garantiti) della Carta europea dei diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza).
Per comprendere però come tali norme operino nel nostro ordinamento è necessario ricordare che, a seguito della modifica dell’art. 117 Cost. ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001, la Corte Costituzionale ha attribuito alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo il rango di “norme interposte” tra la legge ordinaria e la Costituzione, di modo che tal disposizioni costituiscono un parametro di valutazione della legittimità costituzionale della legge ordinaria[39]. Da ciò discende la necessità di interpretare il diritto interno degli Stati aderenti in maniera conforme al dettato della Convenzione.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo assurge, pertanto, a parametro interpretativo fondamentale per l’applicazione, da parte del giudice nazionale, dei principi consacrati nella Convenzione, costituendone il “diritto vivente”[40].
Si tratta però di norme dall’effetto indiretto e, in ogni caso, pur volendo ammettere una diretta applicabilità, non appare affatto scontato che questo imponga necessariamente il riconoscimento, ai fini risarcitori, dell’inviolabilità dell’interesse in tutte le sue declinazioni fattuali (per quel che più direttamente qui interessa, in tutti i casi di immissioni eccedenti la normale tollerabilità).
È allora opportuno domandarsi se allo stato del diritto vivente il “diritto al rispetto della vita privata e familiare” rispetti il filtro selettivo dell’inviolabilità, apprestato dalla ricostruzione teorica fatta propria dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Ci si deve altresì domandare se l’assetto nel quale il connotato dell’inviolabilità non appartiene al diritto di proprietà, e concerne “diritti già positivizzati”[41], sia suscettibile di essere permeato dalle norme sovranazionali (e, in ultima analisi, dalla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo), senza passare attraverso una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. Ciò soprattutto se si considera che il risarcimento del “danno morale” viene sovente tributato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo senza alcuna motivazione, che non sia la tautologica affermazione per cui “la Corte reputa che il ricorrente nella concreta vicenda abbia subito un danno morale”.
In tal modo, diviene pressoché impossibile apprezzare gli elementi di fatto di volta in volta presi in considerazione dalla Corte per giungere alle statuizioni risarcitorie, che restano, quindi, connotate dalla più ampia (e incontrollabile) discrezionalità, e delle quali non è possibile, pertanto, verificare la coerenza con gli assetti interpretativi espressi dalla giurisprudenza interna[42].
Per quanto concerne, invece, il diritto all’abitazione, lo stesso – atteggiandosi a diritto sociale, ed essendo definito come inviolabile dalla giurisprudenza costituzionale[43] – può vedere riconosciuta una tutela risarcitoria nei soli casi in cui il soggetto sia stato radicalmente privato, sia pur temporaneamente, della disponibilità di un immobile effettivamente adibito a casa di abitazione[44]; non già quando, come nel caso di specie, lamenti un disturbo o un fastidio nel godimento di un immobile che non sia mai stato costretto ad abbandonare[45].
Si è visto come le barriere erette a difesa dell’ispirazione esclusivamente dominicale dell’art. 844 c.c. siano state sostanzialmente abbattute; eppure, malgrado il diffuso ricorso all’inibizione parziale o totale di immissioni giudicate intollerabili, anche e soprattutto in relazione alla garanzia dell’integrità di valori considerati fondanti la personalità umana, è divenuto irrefrenabile il bisogno di surrogazione monetaria del disagio subito, quand’anche esso assuma le impalpabili sembianze di un sacrificio esistenziale solo soggettivamente apprezzabile.
Tale evoluzione suscita dunque preoccupazioni e perplessità laddove non sia più ravvisabile la funzione assolta da un’obbligazione risarcitoria che, per quanto continui ad essere definita come misura riparatoria[46], in ossequio alla finalità di compensazione della lesione subita dal danneggiato assegnata più in generale al sistema normativo della responsabilità civile, appare oggettivamente estranea, quanto ai suoi criteri determinativi, alla logica della deducibilità anche solo presuntiva dall’an e dal quantum dell’interferenza patita e da riparare.
Così come dubbi sono sorti in merito alla funzione assolta dal risarcimento del danno non patrimoniale, soprattutto dove dietro le singolarità della reazione risarcitoria al danno non patrimoniale inferto alla persona vittima dell’illecito, si lascerebbero intravedere delle finalità sanzionatorie irriducibili alla mera reintegrazione del diritto violato[47].
E invero, proprio con riguardo al danno esistenziale procurato da immissioni intollerabili, il rapporto di equivalenza tra lesione subita e misura riparatoria rischia di risolversi in una mera petizione di principio, con la conseguenza che la propensione a disporre reazioni punitive nei riguardi di chi, operando nella sfera della propria libertà individuale, produca interferenze negli equilibri esistenziali altrui, indipendentemente dall’accertamento di una sua disposizione soggettiva colposa o dolosa, può risultare incongrua rispetto ai principi di civiltà giuridica sui quali il nostro ordinamento si fonda.
- I rimedi al tort of nuisance in Inghilterra: opportunità di una rilettura della disciplina alla luce dei principi della Convenzione Edu.
“La casa di un inglese è il suo castello”, questa locuzione racchiude in sé l’atteggiamento di estremo rispetto per la privacy e la tranquillità domestica che vigono in Inghilterra.
In questa sede, tuttavia, ci si propone di analizzare il solo aspetto rimediale e, nello specifico, il rapporto tra il rimedio dell’injunction e il risarcimento del danno, al fine di verificare se, oltre Manica, al diritto di proprietà viene data la medesima lettura “convenzionalmente” orientata adottata in Italia e se vi è lo stesso atteggiamento di prodigalità risarcitoria.
Per far ciò bisogna partire dalla Sez. 2 del Lord Cairns’ Act del 1858, che statuisce che “In tutti i casi in cui la Court of Chancery[48] è competente a conoscere delle domande di concessione di injunction per l’inadempimento di qualunque tipo di patto, contratto o altro genere di accordo, la stessa Corte potrà, se lo ritenga opportuno, concedere al danneggiato il risarcimento dei danni in aggiunta alla, o in luogo della, injunction, o della esecuzione in forma specifica, nella misura che essa determinerà”[49].
Il tema dei rapporti tra il rimedio inibitorio e quello risarcitorio trasse nuovi motivi di approfondimento anche da una serie di pronunce che seguirono all’emanazione della sopracitata Sez. 2. Il giudice Lindley nel caso London and Blackwall Ry v. Cross del 1886 sostenne che il primo principio delle injunctions è che “prima facie” non si ottiene il rimedio inibitorio per illeciti rispetto ai quali la tutela risarcitoria risulti adeguata[50]. Nel caso Proctor v. Bayley[51], anticipando un principio che poi sarebbe, poi, stato fatto proprio nel caso Shelfer del 1895 si affermò che il rimedio dell’injunction non si sarebbe potuto concedere ove vi fosse prova che l’autore dell’illecito non avrebbe avuto intenzione di ripeterlo in futuro o che avrebbe potuto essere compensato adeguatamente in denaro.
Il rimedio inibitorio sarebbe stato comunque preferibile quando quello risarcitorio si fosse rivelato inefficace a seguito dell’indigenza del danneggiante ovvero quando la natura del tort, come nel caso della nuisance, avesse carattere permanente, e richiedesse quindi una tutela più intensa[52].
Illuminante per la configurazione definitiva del sistema rimediale in materia di nuisances fu il caso Shelfer v. London city Lights[53] ove L.J. Smith sostenne che nelle azioni per nuisance il risarcimento del danno può essere preferito all’ordine giudiziale di rimozione della molestia solo quando: 1) la lesione del diritto sia di poco conto; 2) essa sia suscettibile di valutazione economica; 3) la stessa possa essere adeguatamente compensata con una somma di denaro; 4) le circostanze del caso concreto siano tali da far ritenere vessatoria la concessione dell’injunction; 5) l’attore, per inerzia o negligenza, si sia dimostrato immeritevole dell’inibitoria.
Anche gli atti legislativi[54] che si sono susseguiti continuarono a far ritenere superstite la possibilità per i giudici – nell’esercizio del potere discrezionale loro conferito – di concedere l’inibitoria, sia con riferimento a danni già prodotti[55], sia con riferimento a danni futuri e temuti.
Dall’analisi degli orientamenti giurisprudenziali più recenti appare sempre confermato[56] il favore verso il contenimento del diritto alla concessione del rimedio inibitorio, così come risulta evidente una tendenza ad una visione in chiave pubblicistica del rapporto interprivato che sembra costituire il più significativo e palese punto di rottura nei confronti di un passato liberistico.
In questo scenario, in cui si continuavano ad alternare decisioni che applicavano rigidamente la regola sancita dal caso Shelfer e decisioni che, invece, ritenevano quei principi non tassativi, si colloca una recente decisione della UK Supreme Court, trovatasi, ancora una volta, a dover cercare di rimediare all’eterno conflitto tra i valori e le aspirazioni dell’“io” e le esigenze e gli interessi della collettività[57].
La UKSC, nel caso Coventry, si schiera in favore di un approccio più flessibile, incline ad ammettere, discrezionalmente, il risarcimento del danno quale alternativa all’ingiunzione. Si tratta di un approccio affine a quello praticato negli Stati Uniti, considerato più efficiente in una prospettiva di analisi economica, e tuttavia raramente seguito dalle giurisdizioni inglesi sul presupposto che si sarebbe sostanziato in un “acquisto” del diritto di commettere una nuisance[58].
La Suprema Corte stabilisce (o, forse, ribadisce) i principi già enucleati nel caso Shelfer v. City of London Electric Lighting Co [1895] secondo cui è compito dei giudici stabilire, discrezionalmente, se vi siano o meno i presupposti per concedere l’injunction o, viceversa, se non debba spettare il solo risarcimento.
I giudici devono quindi decidere il rimedio da accordare in base alla portata del pregiudizio arrecato al diritto di proprietà; alla possibilità di ristorare il pregiudizio economico con una (modesta) somma di denaro; e, infine, al disagio che l’injunction potrebbe causare al soggetto responsabile dell’immissione.
Come precisato dalla Corte Suprema, tali poteri devono essere applicati in modo elastico, avendo riguardo alla situazione concreta e dando, altresì, rilievo alla circostanza di un’eventuale previa autorizzazione che potrebbe far propendere l’organo giudicante per preferire il risarcimento all’injunction[59].
Tale ultima circostanza potrebbe essere l’inizio di una profonda trasformazione dell’intera materia[60]. La posizione del soggetto privato che subisce le immissioni “autorizzate” potrebbe infatti divenire assolutamente residuale ove le immissioni non superino la normale tollerabilità.
Tuttavia, se tale decisione costituisce un importante punto di svolta nel sistema del property law inglese, non è detto che possa però convivere pacificamente con la rinnovata lettura che sembrerebbe discendere dall’applicazione dei principi derivanti dalla CEDU. È verosimile che proprio la UKSC dovrà tornare sul tema rivedendo la propria posizione, in considerazione del ruolo cui la stessa è chiamata, ossia quello di realizzare una più marcata distinzione tra i poteri dello Stato e di assicurare così una maggiore garanzia dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione europea, divenuta applicabile nell’ordinamento inglese in seguito allo Human Rights Act del 1998.
- Considerazioni conclusive
Dall’analisi svolta è evidente la necessità di procedere con urgenza ad una rinnovata lettura delle funzioni assolte dalle norme in materia di responsabilità civile, così da consentire l’azionamento di criteri di regolazione giuridica comunque più coerenti e controllabili in relazione al dilagante ricorso al risarcimento del danno quale rimedio a lesioni di valori personali non apprezzabili oggettivamente per equivalente monetario. Quella che potrebbe apparire una disfunzionalità alla logica riparatoria di un’obbligazione risarcitoria, poiché disposta indipendentemente dalla misurabilità oggettiva della lesione da reintegrare, potrebbe forse essere letta quale tentativo giudiziale di realizzare l’effettività della tutela dei diritti fondamentali della persona. In presenza di danni non apprezzabili in termini patrimoniali la dottrina infatti ritiene che il problema non sia più quello di risarcire, di trasferire il costo degli incidenti, ma quello di tutelare mediante l’istituto della responsabilità civile determinate situazioni giuridiche soggettive o interessi meritevoli di tutela[61].
In quest’ottica, allora, la razionalità meramente riparatoria cui il rimedio risarcitorio dovrebbe rispondere appare ineluttabilmente destinata a una progressiva compromissione. Sarebbe in altri termini proprio la crescente sistematicità del ricorso al giudizio equitativo a rendere sempre più difficoltoso coniugare il perseguimento dell’effettività dei diritti fondamentali per via giudiziale con quel minimo di certezza e prevedibilità della sanzione risarcitoria che, nelle ipotesi di danni patrimonialmente apprezzabili, sono normalmente garantite dalla delimitazione della misura dell’obbligazione risarcitoria al calcolo del valore del danno per equivalente monetario, secondo i rigorosi criteri sanciti dagli artt. 1223 c.c. ss.
Finché il legislatore non interverrà in modo organico sulla funzione assolta dal risarcimento del danno non patrimoniale e sui conseguenti criteri da adottare per la sua quantificazione, scegliendo così di rivedere la propria generosa apertura di credito a favore dell’equità giudiziale, l’unica soluzione percorribile in materia resta proprio la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.
Pur senza l’attenzione che sarebbe stata dovuta con riguardo a quello che pare un nuovo approccio alla materia, un primo passo forse è già stato fatto.
Il riferimento è al Decreto Destinazione Italia[62], il quale ha rivitalizzato una delle ipotesi di pena privata previste dal nostro ordinamento[63], applicabile in via di autotutela dall’assemblea condominiale.
Il novellato art. 70 disp. att. c.c., infatti, prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio possa essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800.
L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 2, c.c.
Pertanto, il condomino che lamenti delle immissioni nocive potrebbe sollecitare l’assemblea ad irrogare la sanzione pecuniaria a carico del soggetto disturbatore; d’altra parte, l’amministratore non potrebbe rifiutare di investirla della questione, posto che rientra tra i propri doveri curare l’osservanza del regolamento di condominio (23).
Oltre al fatto che possa essere previsto un aggravamento della sanzione in caso di recidiva, tale soluzione presenta un ulteriore elemento di deterrenza.
Infatti, risulta invertita la posizione processuale delle parti, in quanto non sarà il soggetto disturbato a dover adire la via giudiziaria per ottenere tutela, ma sarà il disturbatore, ove ritenga di opporsi alla sanzione irrogata, a dover impugnare la relativa delibera assembleare; a ciò si aggiunga che l’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della delibera stessa, salvo che la sospensione non sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
Il legislatore ha quindi sostanzialmente introdotto una sanzione applicabile a prescindere dall’elemento soggettivo e con funzioni deterrenti e sanzionatorie. Non appare, invero, peregrina l’idea di adattare questo meccanismo all’intera materia delle immissioni per evitare la torsione funzionale a cui, invece, risulta, allo stato, sottoposto l’istituto della responsabilità civile nella materia in esame.
Conclusivamente, quindi, per l’ordinamento italiano la soluzione non potrà che consistere nel fissare un limite al risarcimento, sempre nel rispetto dell’integralità dello stesso e senza cadere nell’ambito della diversa figura dell’indennità. Tale limite verosimilmente dovrà esser cercato anche prendendo a prestito quei principi che la UKSC ha espresso, da ultimo, nel caso Coventry: il risarcimento potrà, cioè, esser preferito all’injunction solo ove questo sia di modesta entità. Tuttavia l’identificazione, in concreto, del significato da attribuire all’aggettivo “modesto” rischia sin d’ora di prestare il fianco a criteri incerti e non prevedibili.
[1] Un’approfondita indagine sulla disciplina del tort of nuisance in Inghilterra è presente in Serio, Le immissioni nel fondo del vicino nell’esperienza giuridica inglese, in Serio, Studi comparatistici sulla responsabilità civile, Torino, 2007, pp. 2 e ss.
[2] Blaise, Responsabilité et obligations coutumières dans le rapports de voisinage, in Revue trimestrielle de droit civil, 1965, 261 ss.
[3] Pandolfelli – Scarpello – Stella Richter – Dallari, Codice civile, Libro della proprietà, Milano, 1941, 82 ss.
[4] D.VIII, 5 fr. 8, § 5
[5] Il testo si ritrova in Pandolfelli – Scarpello – Stella Richter- Dallari, cit., 82, Il richiamo della dottrina si riferisce a Bonfante, Scritti giuridici vari, II, Proprietà e servitù, Torino, 1918, 838 ove si critica l’ossessione dell’immissio, precisando che l’immissioni di sostanze negli altrui fondi avvenivano senza i macchinari dell’industria moderna.
[6] Si veda Pugliatti, Della proprietà fondiaria, in Comm. al cod. civ. diretto da D’Amelio, III, sub art. 35, 174 ss.
[7] In tal senso si è espressa Cass. pen., Sez. III, 20 febbraio 2018, n. 17124.
[8] Cfr. Cass., Sez. II, 23 marzo 1996, n. 2598; Cass., Sez. II, 4 agosto 1995, n. 8602.
[9] Corte cost. 23 luglio 1974, n. 247.
[10] In primo luogo ci si riferisce all’art. 32 della Costituzione, e, poi, al t.u. delle leggi sanitarie di cui al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, e la legge 31 dicembre 1962, n. 1860, sull’impiego pacifico della energia nucleare nonché, con particolare riferimento agli inquinamenti atmosferici, la legge 13 luglio 1966, n. 615. Resta salva in ogni caso l’applicabilità del principio generale di cui all’art. 2043 del codice civile.
[11] Visintini, voce Immissioni, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1980, p. 1218 ss.; Tampieri, Il danno esistenziale da immissioni acustiche nell’universo del danno alla persona, in Resp. civ. prev., 2003, p. 1209 ss. Tra le pronunce dell’epoca rilevanti a riguardo cfr. Cass., 6 aprile 1983, n. 2396; Cass., 8 settembre 1989, n. 3675.
[12] Cass. SS.UU., 15 ottobre 1998, n. 10186.
[13] Petruso, voce Immissioni, in Digesto, disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2012, p. 553 ss.
[14] Cfr. Cass., 11 aprile 2006, n. 8420, in Giust. civ., 2007, con nota di Costanza, Evoluzioni e involuzioni giurisprudenziali in tema di immissioni, p. 465 ss.
[15] Cass., Sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20927, che richiama Cass., Sez. III, 31 marzo 2009, n. 7875, ord.
[16] Nel concetto di danno esistenziale rientrerebbe ogni ostacolo alla dimensione attivo-relazionale del valore uomo. In questo senso, cfr. Sapone, Verso una nuova stagione(esistenzialista) del diritto privato, in Nuova giur. civ., 2014, p. 596.
[17] Cass., Sez. II, 24 aprile 2014, n. 9283.
[18] Il godimento implica, in fatto, il rapporto della persona con la cosa e perciò vi è nel godimento un ineliminabile momento soggettivo, come tale rilevante per il diritto, rappresentato dalle condizioni personali dell’autore dell’attività.
[19] Cfr. Gambaro, Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e influenza sul diritto interno in tema di diritto di proprietà, in Riv. dir. civ., 2010, p. 115 ss.; Salvi, La proprietà privata e l’Europa, diritto di libertà o funzione sociale?, in Riv. crit. dir. priv., 2009, p. 409 ss. In virtù del particolare rilievo che l’art. 117 Cost. attribuisce all’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, il giudice nazionale è chiamato ad una costante attività di coordinamento tra i contenuti precettivi del diritto interno e quelli disposti dal diritto europeo. È necessario, quindi, richiamare Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e 349, ove, in relazione alla diffusa prassi dell’occupazione acquisitiva di immobili privati da parte della pubblica amministrazione in vista della realizzazione di opere pubbliche, si è dichiarata l’illegittimità costituzionale del criterio legale di calcolo dell’indennità da esproprio e, per quanto qui interessa, si è affermata soprattutto la necessità che, in caso di apparente contrasto tra norme di diritto interno e norme di diritto sovranazionale, nella specie sancite dalla CEDU, il giudice ordinario attribuisca alle norme di diritto interno un significato conforme alle disposizioni internazionali, sempre che ciò sia consentito dalla formulazione del testo della norma di diritto interno, dovendosi altrimenti sottoporre al giudizio di legittimità costituzionale la disposizione del diritto sovranazionale.
[20] Proprio il rinvio all’art. 8 della Convenzione è il presupposto di diverse sentenze della Corte di Strasburgo in cui è riconosciuta la violazione del diritto fondamentale al benessere della persona nel godimento della propria abitazione per immissioni determinate da inquinamento ambientale. Cfr. Corte eur. dir. uomo, 9 dicembre 1994, n. 16798/90, Lopez Ostra c. Spagna, in Riv. giur. amb., 1996, p. 745, con nota di Arcari. Si veda, anche, Piccinni, Immissioni e tutela della persona. Contaminazioni personalistiche dell’art. 844 cod. civ., in Nuova giur. civ., 2012, p. 28 ss.
[21] Cass., sez. un. 1 febbraio 2017, n. 2611. Dinisi, Immissioni intollerabili e danno non patrimoniale da lesione del diritto al godimento dell’abitazione, in Resp. civ. prev., 2017, p. 834. L’A. rileva che “l’appiglio argomentativo fornito dall’art. 8 CEDU ha, dunque, l’effetto di espandere l’ambito oggettivo del diritto inviolabile all’abitazione fino a ricomprendervi lesioni che erano lasciate prive di tutela risarcitoria dalla giurisprudenza precedente”.
[22] Si tratta, invero, di una impostazione non innovativa, già in un risalente orientamento il diritto alla salute non era più riguardato solo sotto il profilo dell’incolumità fisica della persona ma era anche rappresentato più ampiamente come diritto ad un ambiente salubre . Cfr. Cass., sez. un., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giur. it., 1980, I, 1, c. 859.
[23] Che, secondo le sentenze delle Sezioni unite della Cass., nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008, in Foro it., 2009, I, 120, con note di Palmieri, Pardolesi-Simone, Ponzanelli, Navarretta, integra il novero dei “casi previsti dalla legge” di cui all’art. 2059 c.c., in uno con la ricorrenza di una fattispecie di reato e l’espressa previsione della legge ordinaria.
[24] La Battaglia, Immissioni intollerabili e risarcimento del danno non patrimoniale: il ritorno del danno esistenziale?, Il corriere giuridico, 10/2018, p. 1249.
[25] Si vedano Cass., 17 gennaio 2011, n. 939, in Giur. it., 2012, 1, 62, con nota di Giorgianni, in cui, a un avvocato che lamentava la violazione del diritto di proprietà sul proprio studio legale, in relazione al rumore proveniente dal ventilatore di un negozio, la Corte riconobbe la legittimazione a intentare un’azione inibitorio-risarcitoria contro il conduttore del negozio, facendo espresso riferimento, nella motivazione, al diritto alla salute; Cass., 11 aprile 2006, n. 8420, in Foro it., 2006, I, 3412 (che parla di “interpretazione estensiva della norma [l’art. 844 c.c.,], costituzionalmente orientata, in relazione al fattore salute, che è ormai intrinseco nella attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato”); o, ancora, Cass., 2 aprile 2015, n. 6786, in Resp. civ. prev., 2015, 1291, che afferma che l’art.844 “in linea di principio mira alla tutela della proprietà nella sua pienezza, con riferimento alle multiformi esigenze di vita e di piena fruibilità del bene e non dunque solo alla tutela della salute in quanto tale. Tuttavia è innegabile che comunque sussista una stretta connessione tra immissioni e diritto alla salute, in un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata e generalmente accolta dalla giurisprudenza”.
[26] Accertamento che – secondo Cass., 20 gennaio 2017, n. 1606 – deve essere effettuato con criteri autonomi rispetto a quelli tipici della legislazione c.d. pubblicistica, che abbiano “riguardo alla situazione concreta, alla specifica situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, considerando le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti attraverso l’applicazione di un criterio di tipo comparativo che prenda le mosse dalla rumorosità di fondo sulla quale si innestano le immissioni intollerabili denunciate, contemperando le esigenze della proprietà privata con quelle della produzione”.
[27] In tal senso Cass. 12 luglio 2016, n. 14180.
[28] Ampie definizioni di danno biologico sono state date dalla giurisprudenza. In particolare Cass. 12 maggio 2006, n. 11039 e Cass. 30 ottobre 2018 n.27482.
[29] Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975.
[30] Navarretta, Diritti inviolabili e responsabilità civile, in Enc. dir., Ann., VII, Milano, 2013, 361. L’Autrice dà una definizione interessante: “la nozione di inviolabilità si traduce in un accertamento che l’offesa alla persona presenti un rilievo sufficiente ad invocare la concreta essenza del valore insito nel diritto, ossia l’inviolabilità orizzontale, legata al dictum di una tutela rafforzata, il che certamente non si riscontra per offese bagatellari, schermabili dietro la definizione astratta dell’ampio contenuto dei diritti ma in concreto inidonee a coinvolgere l’essenza del loro valore”.
[31] Navarretta, Danno non patrimoniale e responsabilità extracontrattuale, in Ead., (a cura di), Il danno non patrimoniale, Milano, 2010, 39.
[32] Donati, I diritti inviolabili della persona umana nel quadro dell’art. 2 Cost., in Studi in onore di Davide Messinetti, Napoli, 2008, 370.
[33] Si pensi all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazioni), che prevede un indennizzo per il pregiudizio (anche) non patrimoniale, nell’ipotesi di acquisizione, al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione, del bene immobile occupato e “modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”. In linea con tale risultato appare la riflessione di Castronovo, Danno esistenziale: il lungo addio, in Danno e resp., 2009, 7, che, con riguardo al diritto di proprietà, conclude che “sono piuttosto la natura del diritto e la sua funzione tipicamente patrimoniale a impedire la trasposizione della tutela dal patrimonio alla persona”.
[34] Diritto espressamente definito “fondamentale”, tutelato dagli artt. 7 e 17 della Carta di Nizza.
[35] Cass., 19 dicembre 2014, n. 26899, in Danno e resp., 2015, 917, con nota di Menga.
[36] Si tratta di Cass., 20 marzo 2012, n. 4394, in Giust. civ., 2012, I, 1438; Cass., 8 marzo 2010, n. 5564, in Danno e resp., 2010, 776,con nota di Ponzanelli; Cass.,19 agosto 2011, n. 17427, 112, con nota di Ziviz.
[37] Filippi, Lesione del diritto di proprietà e danno non patrimoniale: per le S.U. questo matrimoni non s’ha da fare, in Resp. civ., 2009, 60 e ss.
[38] Si veda §2.
[39] Nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che “le disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione che ad esse attribuisce la Corte europea dei diritti dell’uomo, integrando uno degli obblighi internazionali, cui si riferisce il precetto costituzionale, possono assumere il rango di fonte integrativa del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117 Cost., primo comma, determinando l’incostituzionalità della legge ordinaria con essa contrastante”.
[40] Si veda Cass., 30 settembre 2011, n. 19985, in Giur. it., 2012, 1030.
[41] Navarretta, Diritti inviolabili e responsabilità civile, cit., 354.
[42] Angiolini, L’interpretazione estensiva dell’art. 1, Prot. 1, CEDU: fra tutele proprietarie e beni comuni, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 328.
[43] Corte cost., 21 marzo 2007, n. 94, in Giur. cost., 2007, 902; Corte cost., 26 marzo 2010, n. 121, ivi, 2010, 1358.
[44] Trib. Milano, 3 settembre 2012 e Trib Brindisi, 26 marzo 2013, entrambe commentate da Rolli, Diritto di abitazione e risarcimento del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2014, 522.
[45] Ciocia, Lesione del diritto all’abitazione, in Danno e resp., 2013, 356.
[46] Salvi, voce Risarcimento del danno, in Enc. dir., 1989, p. 1087.
[47] Busnelli, Deterrenza, responsabilita` civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, p. 930.
[48] La storia e le attribuzioni di questo organo sono compiutamente descritte in Criscuoli – Serio, Introduzione allo studio del diritto inglese – Le fonti, Milano,2016, 184 e ss.
[49] Spry, Equitable remedies, London, 1971, 543 e ss.
[50] Si veda London and Blackwall Ry v. Cross[1886], 31 Ch. D. 354, 369.
[51] Proctor v. Bayley [1889] 42 Ch.D, 390.
[52] Lumley v. Wagner [1852] I De G.M. & G. 604, 616. Del caso, riguardante l’injunction comminata ad una cantante lirica – la signora Wagner – si è occupato Frignani, L’injunction nella Common Law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, 139 e ss.
[53] Shelfer v City of London Electric Lighting Co (1895) 1 Ch 287.
[54] Ci si riferisce, in particolare allo “Statute Law revision Act” del 1898, da leggere in combinato disposto con la Sez. 5 dello “Statute Law Revision and Civil Procedure Act” del 1183 e al “Supreme Court of judicature (Consolidation) Act” del 1925.
[55] In tal senso si veda Leeds Industrial Cooperative v. Slack [1924] A.C. 851, H.L.
[56] Invero una decisione di segno contrario si ebbe nel caso Kennaway v. Thompson [1980] 3 All. ER 329. Per un’approfondata analisi della pronuncia richiamata si rinvia a Serio, Le immissioni nel fondo del vicino nell’esperienza giuridica inglese, in Studi comparatistici sulla responsabilità civile, op. cit., 3 e ss.
[57] Ci si riferisce al caso Coventry v. Lawrence [2014] UKSC 13.
[58] Macrory, Regulation, enforcement and governance in enviromental law, Oxford, 2014, 384.
[59] Per quanto, invero, non può non considerarsi l’opinione di Lord Mance, sostenuta anche da Lord Neuberger, secondo cui: “the right to enjoy one’s home without disturbance is one which I would believe that many, indeed most, people value for reasons largely if not entirely independent of money” [para 168].
[60] Tale auspicio è fatto proprio da Pontin, Private Nuisance in the Balance: Coventry v Lawrence (No 1) and (No 2), Journal of Environmental Law, Volume 27, Issue 1, March 2015, Pages 119–137.
[61] Gallo, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, 10.
[62] D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9.
[63] Per un’elencazione, per definizione, non esaustiva, delle prestazioni sanzionatorie contemplate dall’ordinamento, si rinvia a Cass. SS.UU., 5 luglio 2017, n. 16601.